Dovrebbe essere il “campo largo” di sinistra a sollecitare la ricerca di un’alternativa: invece niente. Tra Renato Schifani e la seconda legislatura a Palazzo d’Orleans, si frappongono due rivali interni, sempre più accreditati: da un lato Mister Preferenze, premiato nell’urna di Bruxelles ma sacrificato sull’altare di Forza Italia: Edy Tamajo. Dall’altro l’enfant prodige patriota, allievo prediletto di La Russa e già detentore di un consenso trasversale tra le anime di FdI: Gaetano Galvagno. Saranno questi due giovanotti – nove anni di differenza sulla carta d’identità (a favore del più giovane Galvagno) – a insidiare il trono di Re Renato, che in questi giorni, tuttavia, ha fatto trapelare l’intenzione di riprovarci. Ma aver migliorato il rating della Sicilia e ridotto la compartecipazione alla spesa sanitaria dal 49 al 42,5%, non è condizione necessaria e sufficiente (magari avesse approvato una riforma…) per strappare il sì al resto della coalizione, già orientata su altri profili.
D’altronde, la storia recente ce lo insegna, i partiti del centrodestra sono assai vendicativi: per questo hanno precluso il bis a Musumeci. Schifani valuterà sino in fondo se esistono le condizioni, poi potrebbe rifugiarsi nella Capitale e continuare a svernare, come stava già facendo alla vigilia della chiamata di La Russa. Non c’è nulla di offensivo in questo, ma soltanto un’analisi lucida della realtà che – già oggi – lo vuole tagliato fuori dalla corsa. Il “padrino” La Russa, d’altronde, ha già cambiato cavallo: schierandosi con il giovane presidente dell’Ars. Sono entrambi di Paternò ed entrambi intenzionati a sfruttare l’eco del successo elettorale della Meloni (anche se rimangono tre anni prima delle Regionali) per piazzare in Sicilia la bandierina di Fratelli d’Italia.
I primi movimenti sono avvenuti nei giorni scorsi. La Russa ha trascorso qualche giorno di vacanza con Musumeci nel segno dell’amicizia (e della strategia); lo stesso Galvagno s’è fatto ritrarre al fianco dell’ex presidente della Regione e, in generale, può contare sulla benevolenza di un esercito largo e affiatato. Con epicentro a Catania: è vero che la corrente Diventerà Bellissima ha ripreso a scalare le montagne, e spera di offrire al partito un’alternative alle arroganze del Balilla; ma pure Manlio Messina, che detiene il controllo della frangia turistica, continua a rappresentare un importante anello di congiunzione tra i rappresentanti locali e il partito romano, dove a causa delle ultime vicende coniugali ha perso un po’ di smalto Francesco Lollobrigida. Galvagno, con la gestione della Federico II, ha dimostrato di poter dire la sua anche sul fronte della cultura, palesando le ambizioni tout court di un gruppo di potere che in Sicilia già controlla l’assessorato con Francesco Scarpinato. Il titolare dei Beni culturali e dell’Identità siciliana è un allievo fidato del Balilla ed è capace di sganciare fior di quattrini (a fine luglio sono partiti 4 milioni per Agrigento Capitale della Cultura). Come Elvira Amata, che controlla l’assessorato al Turismo, il mondo del cinema e tutte le loro connessioni: mettendo in campo, in maniera quasi scientifica, onerose campagne di comunicazione che stanno segnando la vita di questo governo (oltre che del precedente).
Si ritroveranno sul carro di Galvagno dopo aver appurato che il loro referente è più interessato alle poltrone romane – al parlamento e nei talk show – più che a sporcarsi le mani con la politica e col governo. Galvagno possiede il physique du role per ambire alla nomination: è giovane, fresco, sfrontato. E’ un abile mediatore e non utilizza le parole a caso. Di recente ha lisciato il pelo persino a Raffaele Lombardo, un altro catanese doc, senza prestarsi ad atteggiamenti salivosi: “E’ un alleato serio e leale – ha detto intervistato da Live Sicilia -. Per questo motivo faccio fatica a vederlo come una minaccia per il governo regionale o per la maggioranza, sotto ogni punto di vista”. Il feeling è già in atto. Il leader del Mpa, grazie alla sua vena espansionistica, ha riportato sulla stessa barca anche Gianfranco Micciché: uno che Galvagno lo stimava da prima, anche se l’atteggiamento ostruzionistico sulla formazione del secondo gruppo di Forza Italia all’Ars ne aveva mutato la considerazione.
Non appena il tormento dell’ex si sarà esaurito, anche Miccichè darà una bella spinta alle ambizioni del rampollo di Paternò. E non potrebbe essere altrimenti, dato che sul fronte opposto della barricata è schierato Edy Tamajo, l’ex amico per eccellenza. Entrato in Forza Italia al traino di Micciché, che l’aveva “scippato” con estremo garbo a Matteo Renzi, l’idillio è durato poco. La scalata di Tamajo ai berluscones, con il sorpasso a Micciché alle ultime Regionali e l’avvicinamento a Schifani, ha segnato la staffetta definitiva. Oggi Mister Preferenze si trova dalla parte opposta dello schieramento, con la sua corazza e i suoi scudieri.
Il ras di Mondello non ha nulla da invidiare a Galvagno. E’ partito da lontano, dal progetto di Sicilia Futura di Totò Cardinale (più orientato a sinistra), assieme a Nicola d’Agostino. E si è spostato progressivamente a destra, in compagnia del suo mentore, fino a diventare imprescindibile per la nuova Forza Italia. Il collegio nazionale dei probiviri aveva deciso di sospenderlo per un episodio di slealtà nei confronti del partito, ma di fronte a un credito di 121 mila preferenze (alle ultime Europee) e a un passo di lato apprezzatissimo dai vertici (per garantire il seggio alla Chinnici), ha cancellato la punizione. Per ora. Tamajo, oltre a Cardinale, può contare su tanti simpatizzanti di rango: Totò Cuffaro è uno di questi. Il leader della DC non lo ha sostenuto apertamente alle ultime Europee (bisognava contarsi su Dell’Utri, di Noi Moderati) ma ha lasciato che più di uno, nel suo partito, lo facesse senza nascondersi. Di fronte al tempo che passa e alle chance di Schifani che diminuiscono, l’assessore alle Attività produttive diventerà l’approdo ideale per i centristi che non vogliono soccombere alle logiche meloniane e della destra catanese. E anche i deputati forzisti salteranno subito sul carro di Tamaio pur di punire e liberarsi dell’odiato Schifani che li ha trattati a pesci in faccia (offrendo gli assessorati solo a tecnici d’area e mai a parlamentari eletti).
Tamajo proverà a farsi spazio anche a Roma, dove fin qui ha agito da osservatore interessato. Ma uno come lui, che gestisce una montagna di soldi destinandoli alle imprese (non esiste un assessorato di spesa più pesante), è forte di un consenso personale che nessuno può ignorare. Figurarsi i vertici azzurri (Tajani in testa) che puntano a raddoppiare il bottino delle Europee. Peraltro, dopo aver fiutato la brutta aria che tira attorno a Schifani – reo di trattare il partito come feudo – Tamajo avrebbe lasciato la porta aperta pure a Marco Falcone (altre 100 mila preferenze, così per gradire). Il rinnovamento di Forza Italia, piaccia o no, passa da loro due. In campagna elettorale se ne sono dette di ogni, ma la prospettiva di una fase nuova potrebbe convincerli a dialogare. Comunque vada, si prevedono tre anni di scorribande: per convincere Schifani a mollare, per accaparrarsi nuove fette di potere (la Sac di Catania è ambitissima), per armare – ognuno coi propri strumenti – i rispettivi contingenti.