Matteo Salvini difende pubblicamente il generale Roberto Vannacci – lo fa durante una diretta Facebook dal Ministero, che in realtà è un pretesto per far vedere che è tornato in ufficio – e lui, che è sempre rimasto nei paraggi di Roma durante l’estate, invoca prudenza. Quella che serve, dice Antonio Tajani, “quando si occupano incarichi di responsabilità”. Ancora, il vicepremier leghista vuole abbracciare l’AfD in vista delle Europee e lui, Tajani – tradizionalmente pacato – risponde in pubblica piazza che “mi fanno schifo”. La difficile coesistenza tra i due vicepremier – cominciata, i più attenti lo ricorderanno, già nel giorno in cui il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera – è stata costante negli ultimi mesi. Dalle pensioni minime alla tassa sulle banche, dall’autonomia differenziata alla guerra in Ucraina, qualche volta la divergenza di posizioni è stata così evidente, da far pensare al preludio di uno scontro più ampio. Altre volte è stata molto più strisciante. Impercettibile, quasi, o comunque sopita perché sovrastata da dossier ben più importanti. E più seri.
Negli ultimi giorni, però, questo battibeccare a distanza si è instaurato in un’altra – e ben più grande – storia. Una storia che ha a che fare con il ruolo di Tajani all’interno del governo, ma soprattutto sul (volontario e involontario) ridimensionamento del peso di Forza Italia all’interno della maggioranza, a cui ha contributo anche Giorgia Meloni, senza troppe formalità.
L’epifania di quella che era una manovra già in atto è stata evidente nell’ultima conferenza stampa prima delle ferie estive. Era appena finito il Cdm e i ministri erano sul punto di congedare la stampa, quando Salvini al termine del suo intervento, tra lo stupore degli astanti, diceva: “Ultima cosa, abbiamo tassato gli extraprofitti delle banche”. Una misura inattesa anche dai commentatori più attenti. Il povero Tajani – lo ammetterà la stessa premier qualche giorno dopo – non era stato informato. Escluso dalla cena di Marina di Bibbona dove, con tutta probabilità, Salvini e Meloni hanno suggellato il patto degli extraprofitti, con annessa foto da far trapelare, Tajani subìva la misura che Forza Italia non avrebbe mai voluto. “Se lo avessimo saputo, saremmo intervenuti prima”, erano, infatti, i commenti dei giorni dopo. Nonostante questo, per senso del dovere, il vicepremier forzista si è visto costretto, in prima battuta, a difendere il provvedimento,
Poi, tra una telefonata con i suoi e l’altra – c’è chi sostiene anche con la famiglia Berlusconi e con Mediolanum, ma l’interessato nega – un po’ per convinzione, un po’ per non deludere gli interlocutori bancari, un po’ perché pressato dai suoi che si affannavano a dire “non siamo i soldatini di Meloni”, Tajani ha risposto per le rime. “Mai più blitz in Cdm!”, è stata la velina che ha mandato. Velina stracciata da Giorgia Meloni, che giustificava la decisione presa in prima persona e nel più stretto riserbo (ma la Lega di Salvini e Giorgetti sapeva eccome) con la motivazione che “la notizia non doveva girare troppo”. Un masso lanciato in un lago in una giornata senza vento avrebbe fatto meno rumore: queste parole sono state raccolte dai forzisti con gelo, disappunto e anche un po’ di rabbia. Continua su Huffington Post