La vittoria di Elly Schlein – che sia un rigurgito della sconfitta elettorale del 25 settembre, una contrapposizione speculare alla leadership di Meloni o una “rivoluzione”, come l’ha chiamata la diretta interessata – offre segnali importanti al Partito Democratico anche in Sicilia. Dove passa la linea del segretario regionale Anthony Barbagallo, da poco eletto alla Camera dei Deputati: è stato fra i primi a schierarsi con l’enfant prodige, seguendo l’indirizzo di Dario Franceschini (suo mentore nella Capitale). L’ex ministro ai Beni culturali aveva pronosticato il ribaltone, che ieri s’è avverato: “Un’onda travolgente cui nessuno credeva – ha twittato Franceschini -. Un’onda di speranze, di rabbia, di orgoglio, di entusiasmo che ha portato il popolo democratico a scegliere di farsi guidare verso il futuro da una giovane donna. Oggi inizia davvero una nuova storia”.
Il ribaltone è arrivato anche nell’isola, dove la “novità”, che ha portato nei gazebo oltre 40 mila persone (mentre al primo turno, al voto nei circoli, avevano partecipato in 15 mila), ha avuto un impatto devastante nei grandi centri. A Palermo città, dove anche un vecchio big come Antonello Cracolici, nelle ore di vigilia, ha offerto il proprio supporto a Schlein (dopo aver capeggiato la mozione Cuperlo), Elly ha superato il 73%. In provincia di Catania, su 9.300 votanti ha conquistato 6.299 voti. Più che il voto delle correnti, è stato il voto d’opinione ad andare dalla sua parte. E quello dei non iscritti. Si tratta, probabilmente, di una virata più netta a sinistra. Come per rincuorare, e irrobustire, quella parte di opinione pubblica che aveva perso i propri riferimenti nel Pd ed era stato costretto a ricercarli altrove: ad esempio nei Cinque Stelle di Giuseppe Conte.
L’asse col Movimento, a seguito di queste primarie e della scelta decretata dai gazebo, si riapre. Era stato lo scollamento alla vigilia delle Regionali a costare la sconfitta a Caterina Chinnici, un’entità semiastratta – politicamente parlando – durante la campagna elettorale, che infatti si è dissolta subito dopo le elezioni. Con Schlein, e con la figura che verrà fuori dal prossimo congresso regionale, il Pd ha l’obbligo e il dovere morale di scendere a compromessi con gli “ultimi”; di offrire un’alternativa alle destre; di ricucire il divario sociale, che in città come Palermo e Catania va affermandosi sempre di più; di catalizzare un consenso che è andato disperso in mille rivoli; di offrire una ricetta per la scuola e per il lavoro, i capitoli su cui l’assenza della sinistra è diventata latente; di rappresentare un’alternativa vera, e non la “stampella”, del governo di Renato Schifani; di smascherare gli scandali e il malcostume che attanagliano la Regione.
In Sicilia, ove Schlein ha chiuso la campagna elettorale (a Villa Filippina), il Partito Democratico ha bisogno di riappropriarsi dei volti. Prima della Chinnici, in campo per le Regionali, aveva schierato Franco Miceli, un altro esponente della società civile (era il presidente dell’Ordine degli Architetti) per le Amministrative di Palermo. Era fuggito dalla politica, aveva deciso di non metterci la faccia, chiamando in causa degli agnelli sacrificali: persone degnissime, nella vita e nella carriera professionale, ma fuori contesto e rassegnate alla sconfitta. Dalle prossime elezioni di maggio, specie a Catania e Siracusa, bisognerà cambiare passo.
Anche nell’Isola, Schlein avrà il suo bel da fare per unire (e ricostruire). Potrà contare sull’effetto pacificazione (finché dura) offerto dalla prova dei gazebo. I rappresentanti più in vista della mozione Bonaccini, il capogruppo all’Ars Michele Catanzaro e l’ex sindaco Nello Dipasquale, hanno avuto buone affermazioni nelle loro province: Agrigento e Ragusa. Ma altrove, per i sostenitori del governatore emiliano, è quasi una disfatta. Anche ad Enna, terra di Mirello Crisafulli, dove imperversa il sindaco di Troina Fabio Venezia (sponsor di Bonaccini), è stata un’affermazione a mani basse di Schlein con oltre 4 mila preferenze.
Il nuovo corso siciliano del Pd dovrà dare ascolto a chi ha scelto Schlein. A chi ha deciso di abbandonare le logiche correntizie e di potere, per offrire un sussulto di dignità e identità proveniente dal basso. A chi reclama una presenza femminile certa e solida, non più contraddistinta da “quote” di alcun colore, ma dalla capacità, dal merito e magari da un’agenda politica. A chi non s’arrende alla politica degli inciuci, ma cerca nuovi spunti di demarcazione fra chi comanda e chi controlla. Non sarà una rivoluzione, ma senz’altro è un bel segnale di cambiamento.