I soldi non bastano mai. Tanto più ai tempi del Coronavirus, dove le bocche da sfamare si moltiplicano e i problemi si accentuano. Prendete la Regione: il 29 marzo, quando tutti sono con l’acqua alla gola e nel bel mezzo di una pandemia, il presidente Nello Musumeci annuncia – quasi in stereofonia col premier Conte – che la Sicilia mette in piedi una misura eccezionale per venire incontro agli indigenti: 100 milioni di euro per l’assistenza alimentare. Sono il primo strumento per combattere la povertà. Il gesto di generosità di Musumeci arriva a qualche ora di distanza dalle prime “manovrine” di Roma, che annuncia 400 milioni “sùbito”, ma per tutta Italia. La Sicilia ci fa un figurone. Ma sono trascorsi più di due mesi e il comune di Ragusa, per citarne uno, solo a partire da oggi comincerà con l’erogazione dei voucher. Di una parte, almeno. I funzionari, con in testa il dirigente del dipartimento alla Famiglia, sono riusciti a liberare appena 30 milioni dei 100 promessi (nel frattempo, diventati 200 in Finanziaria). E per di più non si tratta di soldi del bilancio regionale, bensì presi “in prestito” dall’Europa. Da qui le difficoltà di rendicontazione e le lungaggini.
E non è finita. Perché anche la Legge di Stabilità regionale, il cui valore quest’anno supera il miliardo e mezzo, si regge su risorse incerte: parliamo dei cosiddetti fondi Poc (il piano operativo complementare) che l’Europa, con la compartecipazione dello Stato, nel piano d’azione 2014-20 ha destinato agli investimenti. Ma che la Regione, per far fronte alle difficoltà del momento, vuole trasformare in “spesa corrente”. Probabilmente ci riuscirà in parte, ma fino ad allora le risorse sono “congelate”. In attesa di giudizio. Musumeci e Armao non sanno più che pesci prendere, perché in realtà i conti sono a secco e Palermo necessita di continui rifornimenti da Roma e da Bruxelles.
Da due anni, ormai, al Ministero dell’Economia, è in corso un negoziato con lo Stato, per cercare di liberare risorse aggiuntive, in base alle cosiddette attuazioni statutarie che la Regione non si è mai vista riconoscere (tant’è anche ancora oggi Armao parla di uno “scippo” da 70 miliardi negli ultimi dieci anni). Nel frattempo la Sicilia dovrà arrangiarsi – lo sa benissimo – ma fatica a mettere in piedi un cambio di passo sostanziale, che le permetta di diventare virtuosa e, come auspica Renzi nel suo libro in uscita (“La mossa del cavallo”), di poter condurre una trattativa senza vedersi imputare, sull’altro fronte, sprechi e inefficienze che ormai da decenni turbano l’opinione pubblica.
Nella settimana appena conclusa, il deputato regionale del Movimento 5 Stelle, Luigi Sunseri, ha scattato una fotografia della situazione siciliana dall’interno, riagganciandosi ad alcuni avvenimenti che hanno segnato gli ultimi mesi. Ben prima che la pandemia azzerasse le già poche certezze della politica: “Partiamo dal principio – è l’esordio di Sunseri -: come sapete la Corte dei Conti, lo scorso anno, ha certificato un risultato complessivo negativo di gestione dell’esercizio finanziario pari a più di un miliardo, definendolo il più alto della serie storica in contabilità armonizzata. In pratica la Regione ha speso più di quanto ha incassato. In particolare, la Corte dei Conti ha evidenziato che le quote di disavanzo del bilancio avrebbero dovuto trovare copertura finanziaria nel bilancio di previsione 2019-2021, secondo le modalità stabilite dal decreto legislativo 118/2011. Sono andato a Roma, ho incontrato Conte e gli ho rappresentato il problema. Il Governo (a Roma) ha, quindi, deciso di concedere alla Sicilia la spalmatura del disavanzo in 10 anni, a condizione che venga sottoscritto un accordo contenente specifici impegni di rientro dal disavanzo stesso”.
Come Buttanissima racconta ormai dalla notte dei tempi, nel pacchetto di riforme indicato dal premier Conte, ma anche dai ministri Provenzano e Boccia, che sarebbe dovuto diventare effettivo entro 90 giorni, c’erano un ritaglio consistente della spesa corrente e una serie di iniziative per diminuire il peso enorme degli sprechi: “Questi impegni” spiega Sunseri, “in attuazione dei principi dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo e di responsabilità intergenerazionale. Impegni, ad oggi, non solo non mantenuti, ma addirittura rinviati al 2021”. Tuttavia, “solo mediante l’intervento del Governo centrale – asserisce il deputato grillino – si è potuto evitare il sicuro default della Regione”.
A mancare, però, è l’impegno. O, per dirla tutta, il rispetto della parola data: “Il Governo regionale non ha mai varato un piano di riforme tale da far intendere concretamente al Governo nazionale la reale volontà di sanarlo, questo bilancio – evidenzia Sunseri –. A nulla hanno portato, infatti, le dichiarazioni del Presidente della Regione circa la prosecuzione di un’azione di risanamento e di contenimento della spesa, avviata, a suo dire, già nei due anni precedenti. Andava garantito il rispetto di specifici parametri di virtuosità, quali la riduzione strutturale della spesa corrente, già con effetti a decorrere dall’esercizio finanziario 2020. Ad oggi solo parole, nessun atto concreto. Questo governo regionale non ha adottato seri piani di razionalizzazione di enti pubblici e società partecipate, provando magari, in primis, a mettere in ordine i conti delle stesse”.
Al ragionamento di Sunseri si potrebbe aggiungere una postilla: cioè che, all’interno dell’ultima Finanziaria, non solo non è stato previsto alcun taglio della spesa corrente, ma addirittura si è pensato di rifocillare le “povere” partecipate colpite dal virus (in previsione di un futuro sgretolamento del capitale) con 30 milioni di ricompensa. Mentre a una partecipata in perenne perdita, e ormai prossima all’estinzione, come Riscossione Sicilia, sono andati 25 milioni netti far fronte al minore gettito degli ultimi e dei prossimi mesi (in modo da poter pagare i dipendenti). Inoltre, per non farsi mancare nulla, palazzo dei Normanni ha messo in piedi una tabella H, anche in questo caso giustificata dall’emergenza, per rimpolpare i conti di enti e associazioni più o meno vicine ai deputati. Un’operazione da 11 milioni circa. La parte più cospicua della cifra è finita nelle casse della Società Interporti Siciliana di Catania (800 mila euro in due anni). Tornando ai “carrozzoni”: ce ne sarebbero alcuni da liquidare entro il 31 dicembre – almeno secondo una delibera approvata alla fine del 2019 – mentre altre (come l’Esa, e persino due istituti per il credito agevolato come Ircac e Crias) dovevano essere riformate, ammortizzando i costi e migliorando le funzioni. Eppure, è tutto fermo.
Sunseri ha deciso di fare il primo passo e andare lui in visita alle partecipate. Nel suo post spiega cos’ha trovato: “Sappiamo bene che la Regione siciliana si è sempre contraddistinta per un elevato numero sia di società partecipate e controllate, sia di enti (istituti, aziende, agenzie, consorzi, organismi comunque denominati) strumentali o sottoposti a controllo o a vigilanza dell’Amministrazione regionale. Il fenomeno delle partecipate, in ambito regionale, presenta indubbie criticità, determinate non solo dalla presenza di una pluralità di soggetti, di natura e dimensioni diverse, ma anche dallo scarso coordinamento tra il soggetto pubblico e l’ente partecipato. La Regione ha, infatti, ammesso che l’attuale sistema informativo non consente di rilevare i rapporti finanziari, economici e patrimoniali con le società partecipate, sicché il monitoraggio di tali rapporti avviene soltanto attraverso apposita corrispondenza. La carenza di monitoraggio è dimostrata dal limitatissimo numero di soggetti partecipati inclusi nel perimetro di consolidamento (v. bilancio consolidato deliberato il 5/11/2019) ridotto solo a quei pochi che “hanno trasmesso per tempo tutti i dati necessari”, nonostante la Regione sia dotata di normativa che permette di supplire all’inattività delle partecipate. Per rendere chiara questa criticità basti pensare che a fronte di 154 soggetti rientranti nel G.A.P. (Gruppo di Amministrazione Pubblica), soltanto 45 hanno fornito i dati necessari e, di questi ultimi, solo per 21 si è potuto procedere al consolidamento. E ciò ha reso il bilancio consolidato non realmente e concretamente illustrativo della situazione economica”.
“A questo problema – continua il racconto del parlamentare grillino – se ne aggiunge immediatamente un altro, consequenziale e di diretta efficacia sulla finanza pubblica “allargata”. Per i soggetti nei confronti dei quali è stato possibile intervenire, il socio di maggioranza ha sempre continuato a rinviare la soluzione a futuri interventi strutturali, nonostante la consapevolezza della necessità – più volte evidenziata dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti – di una razionalizzazione “alta”. Da una completa disamina dei piani di razionalizzazione degli ultimi anni emerge il totale immobilismo della Regione siciliana e, in questo caso, del Governo Musumeci, posto che non vi è stata la completa esecuzione delle misure di razionalizzazione che, a loro volta, erano state già inserite nel piano di revisione straordinaria. La situazione è paradossale: per le società per le quali viene disposto il mantenimento, gli interventi di razionalizzazione (peraltro non chiaramente precisati) non vengono mai posti in essere, mentre per le società per le quali viene prevista la dismissione (es. messa in liquidazione o cessione della partecipazione) le suddette operazioni non giungono mai al termine. Neppure l’istituzione presso l’assessorato regionale dell’Economia di un Ufficio Speciale per le liquidazioni è bastato a coordinare ed ad accelerare le gestioni liquidatorie già in atto (ASI, ATO, EAS etc). I processi di liquidazione, spesso generati dalla scelta irrazionale di dar vita ad un sistema di gestione economicamente insostenibile, si sono poi rivelati come la causa di creazione di un nuovo bacino di precariato”.
Le liquidazioni, anziché chiudere i conti col passato, finiscono per arricchire la storia di nuovi capitoli in cui si moltiplicano le poltrone, e di conseguenze le spese. Pensate che fra le società da liquidare entro il 2020 ci sarebbe pure la Spi, Sicilia Patrimonio Immobiliare, che solo qualche mese fa, dopo l’asfissiante corpo a corpo con l’assessorato all’Economia, si è decisa a riconsegnare la password di un censimento effettuato dall’avventuriero Ezio Bigotti e costato una fortuna (110 milioni).
“In conclusione – riflette Sunseri – l’operato del Governo Musumeci, in ordine alla gestione delle società partecipate, è privo di coerenza sotto l’aspetto finanziario, economico e patrimoniale ma, soprattutto, è inidoneo ad assicurare una efficiente programmazione strategica sia nel breve che nel lungo periodo. La Regione continua, infatti, a rimanere vincolata ad inutili logiche di soccorso finanziario, sganciate da serie valutazioni sull’effettiva capacità delle società di rimanere nel mercato e di realizzare condizioni di equilibrio economico. Allo stesso tempo, come evidenziato dalla Corte dei Conti, non è stata mai compiuta un’analisi in ordine ai contributi erogati dalla Regione, non sempre in linea con il dettato normativo. La Corte dei Conti ha, altresì, messo in luce, in più occasioni, come le società partecipate dalla Regione si siano dimostrate geneticamente prive di sostenibilità economica. Non è ammissibile, ad oggi, il mantenimento di società pubbliche laddove il mercato sia in grado di rispondere in misura più adeguata ed efficiente alla domanda di beni e servizi resi dalle stesse società pubbliche. La Regione prenda atto del totale fallimento nella gestione economico e finanziaria di una grossa porzione della finanza pubblica”. E magari, dopo averlo fatto, non sarebbe male invertire la rotta. Se si vuole garantire un futuro a questa terra.