Anche a Roma si sono accorti della gestione scriteriata del Turismo da parte di Fratelli d’Italia, il partito della premier. E così la Corte dei Conti ha aperto un paio di indagini per fare chiarezza su alcuni protagonisti della stagione degli sprechi: uno ha fatto la gavetta in Sicilia, cioè quel Sandro Pappalardo – finito nel mirino dei magistrati per una questione di rimborsi e compensi – che è stato primo assessore al ramo durante il governo di Nello Musumeci. Si dimise dall’incarico per diventare consulente dell’Enit, facendo spazio al Balilla. L’Ente nazionale per il Turismo oggi rappresenta il “braccio armato” della ministra Daniela Santanché. Quello con cui la sedicente manager, già indagata per falso in bilancio (nella vicenda Visibilia), continua a distribuire prebende a clientes già passati dall’Isola: su tutti, il patron di Rcs Sport, Urbano Cairo, impegnato nell’organizzazione del Giro d’Italia.

E’ una vicenda che si sovrappone perfettamente a quella siciliana. I protagonisti sono più o meno gli stessi, i “mandanti” pure, cambiano solo le sfumature, e il malloppo è corposo. Da quando l’Enit è stato trasformato in società in house, per volere della stessa Santanché, costa 30 milioni l’anno. Ma come emerge da una puntuale inchiesta di Antonio Fraschilla su Repubblica, su 280 contratti stipulati 223 sono avvenuti per affidamento diretto. Un vizietto già noto al pubblico siciliano: la storia di Cannes prese la piega che tutti conoscono a causa dell’affidamento diretto per la realizzazione di uno shooting fotografico su donne e cinema, per 3,7 milioni, a una società lussemburghese dalle dubbie referenze: senza un Avviso pubblico ma solo in ragione di un servizio da prestare in “esclusiva” (fattispecie rigettata dal Tar, che ha accolto la sospensione del provvedimento in autotutela adottato dalla Regione siciliana).

E’ accaduto tutto all’inizio del 2023, sembra passata un’era, ma nessuno dei responsabili (né politici né burocrati) ha pagato. La vicenda è stata insabbiata. Nel mezzo è arrivata la polemica fra Messina e Schifani, ricucita dalla pace di Brucoli; l’avvicendamento fra Scarpinato e Amata, col primo che ha dovuto traslocare ai Beni culturali; il fallimento clamoroso del programma SeeSicily, col tentativo (fallito) di revocare il contratto con gli albergatori; e milioni su milioni dispersi nei rivoli della comunicazione, per eventi di dubbio valore, con ricadute ancora più dubbie sull’incremento dei flussi turistici. Della serie, la Sicilia si promuove da sé e non ci sarebbe neppure bisogno di certi sperperi.

Ma Fratelli d’Italia non ci sente e continua sulla stessa falsariga. Santanché, ad esempio, nella Capitale si è resa protagonista della campagna “Open to Meraviglia”, con la Venere influencer e uno spot ambientato in Slovenia: costo dell’operazione mezzo milione. L’attualità parla, invece, di altri investimenti a perdere ad opera di Enit: a cominciare dal contributo di 3,3 milioni a Rcs Sport per la sponsorizzazione del Giro d’Italia (la cifra non aveva mai superato i 2,6 milioni negli anni scorsi); altri 7 milioni sono stati destinati alle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina, manifestazione assai cara alla Lega di Matteo Salvini; 150 mila euro sono finiti ai tenori del Volo (o a chi per loro) per il concerto di Natale, già registrato alla Valle dei Templi, che verrà trasmesso da Mediaset la sera del 24 dicembre. Un appuntamento che ha impegnato la Regione siciliana – quella che non trova neppure le briciole per finanziare le legge contro il crack – con un contributo da 900 mila euro. Caspita.

Il partito dei nababbi ha preso a cuore anche le fiere e, pur senza coinvolgere direttamente gli operatori, ha stanziato 3 milioni per quelle di Londra e Cannes (a volte ritornano). Inoltre, per volontà del Ministero, ha esternalizzato (per 20 milioni) i servizi a supporto del portale Italia.it: a beneficiarne sarà Accenture, una multinazionale americana, già socio privato di Sicilia Digitale. Certe coincidenze sono davvero incredibili. L’Enit, nel frattempo, è finito anche nel mirino dell’Anac per una consulenza da 40 mila euro a uno studio di commercialisti. Il clima politico non è il massimo e si riflette sul leader indiscusso della corrente turistica: quel Francesco Lollobrigida uscito depotenziato dalla separazione con Ariana Meloni, sorella della premier, che ha fatto venire meno (anche) l’appellativo di Cognato d’Italia.

Qualche tempo fa, non appena il piano d’espansione divenne chiaro a tutti – con la richiesta di un assessore al ramo nelle principali regioni governate dal centrodestra – Lollo si difese spiegando che “in questi anni Fratelli d’Italia, con i suoi uomini e donne, ha curato con dedizione un settore che vale il 13% del Pil in questa nazione”. Negando, tuttavia, che “questo nostro interesse abbia ritorni poco chiari” e precisando che “per noi la politica è passione e ci occupiamo con grande cura di tutto ciò che riteniamo utile alla nostra Patria”. Oggi, però, il Ministro della Sovranità alimentare è in caduta libera. Come e forse peggio della Santanché.

Ad assestargli il colpo di grazia potrebbero essere le rivelazioni, semmai ce ne saranno delle altre, della signora Maria Rosaria Boccia, la cui tresca con Sangiuliano ha già causato le dimissioni del ministro della Cultura e l’imbarazzo nel governo. Ma Lollobrigida fatica a coltivare il suo impero, e non è soltanto una questione di gaffes: con Coldiretti il rapporto s’è sgonfiato a causa dei provvedimenti sulla peste suina, ritenuti inadeguati; anche i produttori di cannabis light ce l’hanno con lui perché il Ddl sicurezza la bandirà dal mercato perché “illegale” (nonostante il contenuto minimo di thc, uno dei principi attivi). Anche il suo staff, al Ministero, ha perso pezzi e l’evento del G7 Agricoltura organizzato a Siracusa, somiglia tanto all’ultima passerella: dopo l’allontanamento dal “cerchio magico” di Giorgia, si vocifera di uno scambio di ruolo con Tommaso Foti, attuale capogruppo di FdI alla Camera dei Deputati.

Sarebbe un durissimo colpo, con ricadute evidenti anche in Sicilia. Da Lollobrigida sono partite indicazioni vitali per la formazione del governo Schifani -come la nomina di Francesco Paolo Scarpinato- ma soprattutto si è materializzata la delega, una sorta di diritto all’impunità e all’onnipotenza, per il suo uomo di fiducia nell’Isola: il catanese Manlio Messina. Che a dire il vero un po’ di centralità nel partito l’ha già persa, a beneficio del tandem formato da La Russa e Musumeci. Il Balilla, così lo definiscono i detrattori interni ed esterni, ha pasteggiato per anni col portafogli dell’assessorato più capiente (secondo solo alle Attività produttive), ha deciso azioni, metodi, contributi da erogare e, soprattutto, chi finanziare; s’è scelto gli allievi più promettenti e i collaboratori più fidati (che ancora rivestono posizioni apicali, come alla Film Commission). L’idea che l’impero possa iniziare a sgretolarsi è una prospettiva inaccettabile. Ma che avrebbe una sua logica: pure nell’Isola, sia la procura della Corte dei Conti che la procura di Palermo non hanno ancora smesso di indagare sulle spese pazze del Turismo e persino la Commissione europea, ritirando il finanziamento da 20 milioni al programma SeeSicily, ha sancito la fine di un’era. Chi vuol capire, capisca.