Grazie Presidente,
se la telecamera potesse inquadrare non il sottoscritto ma l’emiciclo farebbe apprezzare un’aula completamente vuota. Lei Presidente ed il sottoscritto soli ad affrontare il tema della vita e della morte, sancendo ancora una volta la distanza siderale tra politica e diritti veri e cioè i diritti civili dei cittadini.
Dove sono coloro che si dichiarano favorevoli al suicidio assistito? Dove sono coloro che hanno sostenuto che la vita è un bene non disponibile nella facoltà decisionale del singolo individuo? I commentatori con enfasi hanno comunicato agli italiani che finalmente è stato approvato in commissione il testo base su quella che io, che sono stato per ben tre anni relatore del provvedimento (e poi rimosso con atto irriguardoso e vendicativo), ho definito ‘’morte volontaria medicalmente assistita’’. In questi mesi hanno levato forte la loro voce i censori di una morale oscurantista e medioevale che condannano la decisione del malato di non volere più vivere una esistenza, fatta di dolori e sofferenze, che non è più disposto a sopportare. Sto intervenendo perché lo ritengo doveroso nei confronti di tutte quelle persone che ho assistito nella mia vita, di quelle donne, uomini, bambini che oggi con ci sono più e che mi hanno chiesto con un filo di voce “fai presto”… che mi hanno detto “basta… non ce la faccio più”.
Tutte persone che come noi amavano la vita e che avrebbero lottato fino all’ultimo per difenderla ma che in quel letto di sofferenza hanno ritenuto che quella non era più vita e che non c’era più nessuna libertà da difendere ma che anzi erano diventati loro stessi prigionieri di una esistenza senza più prospettive. Una vita dipendente esclusivamente da una fiala di oppiaceo o da una mano caritatevole che li aiutasse a non soffrire o a respirare meglio. Una vita che non è più vita! Quelle persone le ho aiutate, assistite, accompagnate e le ho sostenute nelle loro ultime volontà, ho raccolto l’ultimo soffio di quella vita che stava per spegnersi. L’ho fatto in silenzio a differenza di questi 900 deputati che in questi mesi hanno pontificato sul tema dell’eutanasia e del suicidio assistito. Lontani distanze abissali da quello che avviene nella mente di un malato terminale. Di chi non vuole più continuare quel percorso di umiliazione, sofferenza, solitudine. Sentimenti che nessuno riesce ad affrontare in modo risolutivo.
Umiliazione perché spesso la perdita della propria identità corporea è talmente grave ed evidente che la persona non riesce più ad accettarsi. Ricordo un giovane con una neoplasia della zona testa-collo che a causa della deturpazione del proprio viso non voleva più guardarsi allo specchio perché non si riconosceva in quella mostruosità che era lì davanti ai suoi occhi.
Quel ragazzo l’ho medicato tante volte mentre piangeva per il dolore ma soprattutto per la rabbia e la consapevolezza di essere stato privato di quanto aveva più caro e cioè il suo volto. Evitavamo di guardarci negli occhi perché era davvero difficile farlo.
Poi la sofferenza è il secondo aspetto che va considerato perché non tutti i dolori possono essere sedati, ne esistono alcuni che neanche le più alte dosi di oppiacei riescono a lenire pena la perdita completa della coscienza del malato. E ci sono malati che non vogliono, proprio non vogliono perderla quella coscienza, quella lucidità che consente loro di essere ancora vivi e liberi di disporre della propria vita. Ebbene sono proprio queste persone di cui ci stiamo occupando in questa legge. Le persone che consapevolmente ed in piena libertà ed autonomia hanno deciso di morire.
Perché non vogliono consegnare il loro corpo non più cosciente nelle mani di altri. Vogliono finire lì, in quel momento liberandosi di quella estrema sofferenza. Noi siamo chiamati a tutelare questa loro libera scelta. Lo dobbiamo a loro ed a noi stessi.
Infine c’è la solitudine che forse è il sintomo più irrisolvibile. Questo perché davanti alla perdita di ogni prospettiva, davanti alla certezza che da quel momento non esistono altro che cannule, medicazioni dolorosissime, disgusto per il cibo, speranze infrante, menzogne…. per carità dette sempre a fin di bene ma che ti fanno sentire una persona che dipende totalmente dagli altri, ci si sente veramente soli… soli con la propria malattia. In questa condizione il malato non riesce più ad accettare di vivere e decide di chiuderla lì.
Concludo con una metafora che mi ha sempre convinto. Il dono della vita, quel dono che considera la nostra esistenza un bene inalienabile perché non appartiene all’uomo in quanto dono dal Signore. Quando ciascuno di noi riceve in dono una magnifica torta, magari ne mangia molte fette, qualche altra la condivide con altri, poi magari si forza e ne mangia ancora un’altra ma infine si accorge che l’ultima piccola fetta di quella torta è andata a male è avariata e non è più commestibile…. È costretto a mangiarla anche se avariata?
La mia risposta è NO!! Deve essere libero di rifiutarla e come me la pensa la maggioranza degli italiani. Oggi stiamo discutendo di una legge che consentirà a quelle persone che sono in possesso di quei requisiti previsti dalla Corte Costituzionale di dire NO!
Tuttavia questa speranza è vana perché questo Parlamento, ed è bene che i cittadini italiani lo sappiano, ha deciso di non approvarla questa legge perché tutto verrà messo a tacere chissà fino a quando. Perché prima bisognerà occuparsi del bilancio, poi del recovery plan, poi di altre emergenze, poi dell’elezione del Presidente della Repubblica e poi di chissà cos’altro. E poi verrà il momento del referendum sull’eutanasia legale che toglierà questo Parlamento dall’imbarazzo di dovere legiferare perché saranno i cittadini italiani a decidere.
Per quanto mi riguarda non smetterò mai di parlare del diritto di ognuno di noi di essere trattato con dignità e rispetto anche nell’ultimo momento della propria vita. Per questo interverrò in questa aula ad ogni seduta per ricordarlo.
Giorgio Trizzino, ex direttore sanitario dell’ospedale Civico di Palermo, è un deputato iscritto al Gruppo misto