La Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, dopo oltre 14 ore di camere di consiglio, ha condannato all’ergastolo il boss latitante Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92 di Capaci e Via D’Amelio costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli agenti delle loro scorte. Capo della mafia trapanese, Messina Denaro, è stato tra i responsabili della linea stragista di Cosa nostra imposta dai cortonesi di Totò Riina. La latitanza di Messina Denaro, originario del comune di Castelvetrano, nel Trapanese, è iniziata ufficialmente nel giugno 1993.
Secondo l’accusa, sostenuta in aula dal procuratore aggiunto Gabriele Paci, il boss Messina Denaro avrebbe determinato all’interno di Cosa nostra “un clima di unanimità senza il quale il capomafia corleonese Totò Riina non avrebbe potuto portare avanti i suoi piani stragisti, se non a rischio di una guerra di mafia”. “Non è sostenibile – ha spiegato il magistrato durante la requisitoria – che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso quella strada senza avere il consenso di Cosa nostra, perché se ci fosse stato il dissenso dei vertici di una delle province ci sarebbe stata una guerra”.
Quello che si è concluso ieri a Caltanissetta è il terzo processo che si celebra per la strage di Capaci e il quinto per la strage di via D’Amelio. Nelle altre tranche sono stati condannati a vario titolo capimafia ed esecutori materiali dei due attentati. La corte d’assise ha disposto provvisionali immediatamente esecutive per tutte le parti civili. Alle vedove e ai figli delle vittime sono stati liquidati 500 mila euro ciascuno, 300 mila ai fratelli, mentre ai nipoti somme tra i 10 e i 50 mila euro. Centomila euro sono andati ai tre superstiti degli attentati di Capaci e via D’Amelio: Angelo Corbo, Giuseppe Costanza e Antonio Vullo.