C’è un momento in cui Nello Musumeci, durante le sue comunicazioni all’Ars, tira in ballo i partiti. Quelli che oggi, dopo quattro anni di rapporti funesti, vorrebbe inebriare di dolci parole. Per ottenere in cambio una comoda ricandidatura. “In questi anni – è la risposta alle critiche del leader autonomista, Roberto Di Mauro – con i partiti ho parlato tante, ma tante volte, e sono stato sempre puntuale e leale nei loro confronti. Sempre, sempre, sempre. A volte anche oltre”. Chi ha frequentato la cronaca parlamentare e politica di questa legislatura sa bene che la realtà è diversa. E sa benissimo che il punto di rottura fra Musumeci e il centrodestra è dovuto ai modi del governatore, che s’è convinto di poter guidare la Sicilia assieme a pochi fedelissimi, nel bunker di palazzo d’Orleans, credendo che l’azione del governo fosse preclusa a tutti gli altri. Il presidente pensava di sfangarla con una riunione di maggioranza ogni tanto. Si sbagliava.

Non pagherà il ‘modello Pagana’ (che trae origine dall’annessione di Attiva Sicilia, di cui la moglie dell’assessore Razza è l’esponente più illustre), cioè il tentativo di portare dalla propria parte, in tempi diversi, pezzi di partito. Per ingrandire il proprio. E’ successo con gli ex grillini di Attiva Sicilia, disarcionati dal Movimento 5 Stelle; anche se Valentina Palmeri, fiutato il pericolo, s’è dichiarata indipendente (prima di aderire ai Verdi). E’ accaduto con quelli di Ora Sicilia, che dopo il tentativo di mettere su la stampella di Diventerà Bellissima, ‘la quarta gamba del centrodestra’, si sono fusi nel resto degli schieramenti (un paio, Lantieri e Ternullo, sono approdate in FI). E’ avvenuto in maniera palese con Forza Italia, cui Musumeci ha “scippato” un paio di assessori praticamente sin da subito – Armao e Falcone – e ora ha aggiunto al puzzle un altro tassello: quel Marco Zambuto, responsabile degli Enti locali e della Funzione pubblica, che Miccichè, attirandosi l’ira di un intero partito nell’Agrigentino, aveva trascinato fino a Palermo dopo la debacle nella corsa a sindaco nella città dei templi. E che dopo essere passato dall’Udc al Pd a Forza Italia, ha compiuto l’ultimo salto: dal partito di Miccichè a quello di Musumeci.

Zambuto è tra i firmatari della nota in cui le “colombe” forziste chiedono di mettere da parte le polemiche. Un’altra medaglia al petto del colonnello, che aveva presentato la sua schiera di assessori – quasi al gran completo (senza Zambuto) – alla kermesse di Catania, in cui, mesi fa, annunciava al mondo la propria “naturale” ricandidatura. Musumeci ora prova a ricucire coi partiti che in questi tempi bui ha provato a spaccare. Riuscendoci. Ad esempio il governatore crede di avere Fratelli d’Italia con sé solo per essersi guadagnato la stima, vita natural durante, di Manlio Messina, e la nota d’apprezzamento di Giorgia Meloni; ma sa benissimo, perché lui nei partiti ha ricoperto ruoli d’ogni tipo, che gli altri faranno i diavoli a quattro per impedire la creazione di una lista unitaria alle prossime Regionali, che suona tanto di fregatura.

Il presidente della Regione, in futuro, dovrà fare i conti con tutti coloro che gli promettono fedeltà fino all’ultimo giorno; atteso che la fedeltà – come ha detto Calderone nell’intervento di ieri, rappresentando il pensiero di molti – ha una data di scadenza come lo yogurt. Novembre 2022. E che poi ognuno sarà libero di inventarsi qualcosa. Solo chi è in cerca di una poltrona comoda, per sette mesi o ancor meglio per il prossimo quinquennio, può credere alla lealtà di Nello verso i partiti. Liberissimi di farlo.