Guardi i nomi dei candidati per la guida dei teatri, spesso autorevoli, e a fianco ci trovi sempre quello di uno “sponsor”. Anche per il “Biondo”, l’altra istituzione palermitana che a fine anno assisterà al passaggio di consegne fra Pamela Villoresi e il nuovo direttore. Sono favoriti in quattro, e hanno tutti una chiara collocazione politica: uno è segnalato dal sempiterno Gianni Letta, storico braccio destro di Silvio Berlusconi; un altro è “amico” del presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, esponente di Fratelli d’Italia. La politica ha conquistato i teatri. La cultura si è inchinata alla logica della lottizzazione del sottogoverno, che in Sicilia -peraltro- versa nel caos.
Ciò avviene anche e soprattutto a causa dei malumori che serpeggiano nella maggioranza, che hanno costretto il governo a ritardare per mesi la nomina delle direzioni delle Asp (ad esempio). Ma è soltanto la sanità ad essere interessata da questa commistione pericolosa. Anche le fondazioni culturali, come quella del Teatro Massimo, ne risentono. Da mesi, infatti, si trascina la decisione del Ministro della Cultura (oggi è il patriota Alessandro Giuli, ieri il goffo Sangiuliano) relativa al nuovo soprintendente. I mesi trascorsi nel limbo hanno allontanato alcune suggestioni improponibili, come quella di Andrea Peria Giaconia, già visto alla Sinfonica e attuale presidente del Corecom: è incompatibile e Schifani dovrà rassegnarsi. Ma non sono mancate le tensioni e non mancano tuttora fra il sindaco di Palermo, che presiede la fondazione medesima, e il presidente della Regione, dato che le cose, politicamente parlando, hanno preso una brutta piega.
La quadra era stata trovata sul nome di Marco Betta, l’uscente; anche se all’indomani del via libera di Schifani, Lagalla si è federato con Lombardo e Micciché. Il governatore, dopo aver messo a soqquadro la giunta di Palermo per le uscite di Faraone, vorrebbe riaprire la questione anche sul “Massimo”. E così Giuli, che sembrava a un passo dal definire le carte, ha dovuto fermarsi. Forse. Perché oltreal fatto politico, c’è anche una questione legata al merito che tiene Betta in stand-by. Cioè la difficile amministrazione del personale (sono circa 400 i dipendenti del Teatro) che avrebbe messo a dura prova un musicologo come lui. Si tratta, per lo più, di questioni interne: come la mancata sostituzione del primo trombone, che continua a presidiare lo scranno nonostante abbia ottenuto da anni la guida dell’orchestra dei ragazzi (il suo posto è stato aggiudicato con regolare procedura di concorso, ma non ancora assegnato). O la violinista, che pur non potendo suonare da anni, impedisce con la sua presenza la stabilizzazione del sostituto. Episodi che minano le certezze e alimentano malumori evitabili, specie in una fase storica in cui una delle occupazioni del centrodestra è disperdere le ultime roccaforti orlandiane. Betta non partiva in vantaggio, ma era riuscito a “vendersi bene”. Fino ad ora.
Del Biondo si è già detto, sulla Fondazione Federico II (licenziata la Monterosso con una pec) è calata la nebbia, mentre non si parla abbastanza della situazione della Foss. Dove a maggio si sono dimessi due membri del Consiglio d’Amministrazione, facendolo decadere e costringendo l’assessorato a inviare un commissario (Margherita Rizza). Prima era stato costretto a un passo indietro il soprintendente Peria – per le note vicende legate alla sua incompatibilità mai dichiarata – e prima ancora un altro componente del Cda, Gaetano Cuccio, reo di aver denunciato il fatto. La Sinfonica era già provata dal regno, durato un paio d’anni, di Nicola Tarantino, attuale presidente della Sicilia Film Commission, cui l’ex assessore al Turismo, Manlio Messina, aveva affidato le chiavi dei posti di comando. Peccato che, in quel periodo, non funzionasse nulla e la Sinfonica fosse diventato lo zimbello delle istituzioni liriche. Non se la passa bene neanche oggi, nell’indifferenza politica più assoluta (almeno fino alla prossima nomina): in un intervento dello scorso maggio la deputata dei Cinque Stelle, Roberta Schillaci, aveva chiesto il nome del nuovo sovrintendente e la stabilizzazione dei musicisti. Tre settimane fa è stato presentato il nuovo programma degli appuntamenti e il Politeama si appresta a una stagione da protagonista. Senza una governance.
Così come senza una governance è rimasta la Gesap, cioè il gestore dell’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo. Dopo il temporale di sabato scorso che ha portato alla cancellazione di decine di voli, con conseguenti disagi per i passeggeri, è entrato in azione il presidente Schifani, chiedendo “un rapidissimo ripristino della governance amministrativa”. Senza incolpare nessuno, dice lui. Ma il messaggio è risuonato chiaro, tanto da convincere l’ex amministratore delegato, Vito Riggio, a tornare in sella (lo hanno pregato per mesi). L’ex numero uno dell’Enac ha condizionato il suo ritorno in campo al processo di privatizzazione dell’aeroporto e alla messa in vendita del 49% delle quote: “Solo in questo modo – ha confidato a Repubblica – l’affare risulterà interessante per i grandi gruppi come Schipol, Aeroporti di Roma, F2i e Corporacion America. La quotazione di partenza, ma lo decideranno gli advisor, potrebbe aggirarsi sui 400 milioni di euro per l’intera società, quindi 200 per la metà delle azioni”.
D’altronde – guardate il paradosso – l’amministratore delegato di Gesap era la contropartita chiesta da Schifani per lasciare libera la poltrona di sovrintendente del Massimo. L’intreccio fra teatro e aeroporto è illogico, ma trova un fondamento (seppur discutibile) in questi incastri politici. A Punta Raisi bisognerà scegliere anche il nuovo direttore generale, mentre al Massimo manca ancora la figura del direttore artistico, dopo la rinuncia di Beatrice Venezi. Che, per fortuna, non risulta interessata alla Gesap, altrimenti i patrioti…
Scherzi a parte, altri nodi rimangono alla Sac, la società di gestione di Fontanarossa, alla Camera di Commercio del Sud-Est (che controlla il 61% delle azioni della Sac) e all’Ast dove si sta affrontando un mese decisivo per delineare il futuro dell’Azienda Siciliana dei Trasporti. Entro il 30 novembre l’attuale amministratore Alessandro Virgara – scelto dal governo e non più dal Mpa di Lombardo – dovrà consegnare un piano industriale che possa giustificare il nuovo investimento da parte della Regione (pari a 40 milioni), che fa da preludio alla trasformazione in house della società. Ast porterà con sé tutti i debiti di una gestione scriteriata, dove si sono alternati uomini e partiti senza riuscire a cavare un ragno dal buco. E gli svariati ritardi, a causa dei bus insufficienti, che hanno accompagnato l’inizio dell’anno scolastico. Sullo sfondo rimane un bando per il trasporto pubblico dal valore di quasi 900 milioni di euro per nove anni, suddiviso in quattro lotti, che vede l’Ast ai margini: potrà svolgere il servizio extraurbano su un numero limitato di chilometri (circa 11.850 milioni) e gestendo tratte meno remunerative. Eppure parlano di rilancio…