Solo posti in piedi al circo dei manettari

Ho già avuto modo di dire, ma non riesco a trattenermi dal ribadirlo, come la iniziativa televisiva del dott. Nino di Matteo contro il Ministro di Giustizia Bonafede rechi inequivocabili le stimmate del disegno provvidenziale. Mai avremmo immaginato che la implosione del populismo giustizialista potesse deflagrare sotto i nostri occhi con tanto anticipo sui tempi di un destino comunque scontato, e con tanta strepitosa forza dimostrativa.

A lungo ci siamo sfiancati, queruli, con le arcinote profezie di Sciascia sull’antimafiosità e di Pietro Nenni sul moralismo applicato alla politica, sillabando malinconicamente il solito scioglilingua sul “puro più puro che ti epura” e bla bla bla, con il bel risultato di essere governati da Travaglio e da un tale Vito Crimi, un sonnolento cancelliere di Corte di Appello immortalato come merita dal genio di Massimo Bordin (“il gerarca minore”). Poi un bel giorno, ti esplode la realtà davanti agli occhi, in diretta TV, e quasi stenti a crederci.

Le conseguenze di quella serata sono ormai inarrestabili, ed è straordinario lo spettacolo del mondo manettaro che si affanna, ahi loro vanamente, a rimettere il dentifricio nel tubetto. Apprendiamo nell’ordine che si trattò di uno spiacevole equivoco, poi di una diabolica trappola salviniana, poi di un riflesso pavloviano del dott. Di Matteo una volta profferita al suo cospetto la parola “trattativa” (giuro, leggete Caselli please), poi che giammai il magistrato aveva inteso insinuare pressioni mafiose sul Ministro (ma non era quella la notiziona? boh); poi c’è Morra che vuole dedicare una seduta della Commissione Antimafia per scoprire chi ha torto e chi ha ragione, insomma roba che, al confronto, l’acido lisergico è una tisana calmante.

Il colpo da maestro, però, ce lo riserva proprio il Ministro Bonafede, il quale in un colpo solo brucia un qualche credito che si era guadagnato rivendicando alla politica (seppure tra mille riserve) il diritto di scegliere senza doverne rendere conto a chi non è stato scelto. Ecco il colpo di reni: facciamo a gara a chi è più antimafioso. “Allo studio una legge” per rimettere i boss in carcere, e su una simile bufala il Fatto Quotidiano ci spara, esultante e rinfrancato, nientedimeno che il titolo di apertura.

Al momento di questo testo di legge non vi è ancora traccia, e non stentiamo a crederlo: provaci tu a scriverla, una simile cazzata. Immaginiamo impegnate, in queste ore, le menti più fervide dell’universo manettaro, i Crimi, i Morra, i Giarrusso, insomma la meglio gioventù che ci governa, che dopo quelle ore di panico riprende fiato con il refrain che più gli si addice: “in galera!”. Senonché, c’è un piccolo problema, che è quella storia, non so se avete presente, della indipendenza della magistratura. Ora i manettari, che per essere tali raccolgono nelle proprie librerie, ammesso ne abbiano una, a tutto concedere qualche annata di Tex Willer, coltivano da sempre una idea -come definirla- monolaterale di questa benedetta indipendenza. Il Giudice diviene insindacabile solo quando arresta, condanna e incarcera. In tali ipotesi, il neurone manettaro si orienta con facilità: chi critica è amico di mafiosi, corrotti, spacciatori e stupratori. E gli stessi avvocati difensori, impugnando e dunque mettendo in discussione quei provvedimenti, confermano la loro morale mercenaria, al soldo del delinquente che li foraggia. Se invece il giudice scarcera o assolve, il medesimo neurone (uno solo è) parte con la stessa furia, ma in direzione opposta, alla ricerca delle più losche connivenze che possano avere indotto quel giudice scellerato ad adottare simili smidollati ed inauditi provvedimenti. In questa seconda ipotesi, insomma, la inviolabile indipendenza della magistratura va a ramengo. Ergo, facciamo delle belle leggi che impediscano al giudice di compiere scelleratezze, e perciò vai con le presunzioni normative di pericolosità sociale, di sussistenza delle esigenze cautelari, di ostatività alla graduazione delle modalità di esecuzione della pena, e via discorrendo. Ora pare si voglia imporre al giudice di Sorveglianza di rivalutare ogni paio di settimane (vedremo se di lunedì o di venerdì, e se di giorno pari o dispari) i provvedimenti di scarcerazione adottati in questa fase epidemica. Quali, come motivati, a quali condizioni, non si sa. Forse si adotta un criterio cronologico, o forse Morra stila un elenco di cattivi e i giudici rivalutano in ordine alfabetico; o per appartenenza regionale del boss, o per sorteggio, ora si vedrà. E per i quasi 150 provvedimenti cautelari, adottati non dai Giudici di Sorveglianza ma da GIP, Tribunali, Corti di Appello? Si vedrà, Crimi era pur sempre un Cancelliere, ci pensa lui. Voi intanto, mi raccomando, fate la scorta di popcorn, che siamo solo all’inizio. (tratto da Facebook)

Gian Domenico Caiazza :

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