Il ponte non è ancora un’opera, almeno è una legge, quella approvata di recente dal Senato e che definisce l’assetto della società Stretto di Messina e riavvia la programmazione e la progettazione di quello che Salvini con entusiasmo definisce “il ponte degli italiani”. Ed io già immagino i treni che sfrecciano, i tir, gli autobus e le macchine a migliaia e il cuore si riempie di commozione come succede a Salvini. Dovrò aspettare ancora nove anni per vedere in concreto il traffico sul ponte che cancellerà l’insularità della Sicilia collegandola stabilmente al continente.

Dal quale milioni di visitatori, immagino ancora, attraverseranno la Calabria e si riverseranno in Sicilia. Fatemi sognare e lasciate fare anche a me un atto di fede, perché il ponte non appartiene, almeno ancora, alle cose concrete, non è un manufatto da realizzare ma è giusto una manifestazione di fede o, se si vuole, una sorta di fata Morgana che compare e scompare a seconda delle stagioni politiche, accende dibattiti, suscita consensi e contrasti, divide, e poi, scompare. Non voglio sentire i menagrami, quelli che parlano di rischi legati all’alta sismicità della zona, alla pericolosità delle correnti e temono la devastazione dell’ecosistema di una delle zone più interessanti, ricche e complesse del continente. Non mi interessano i discorsi sui costi dell’opera che sono calcolati così, in modo approssimativo. Il ponte, quello più lungo del mondo, che ci segnalerà per un primato, lo voglio e lo sogno già completato e vedo già i centomila nuovi posti di lavoro.

Poi, c’è sempre un pensiero molesto, mi viene in mente la reazione di quei milioni di visitatori che Salvini prevede, appena arrivati in Sicilia, quando sapranno che per raggiungere Palermo da Messina, con la ferrovia a binario unico, ci vorranno quasi quattro ore e altre due, superando numerosi semafori e interruzioni, evitando rischi di incidenti, saranno necessari per arrivare da Palermo ad Agrigento. Che se vorranno andare a vedere la Dea di Morgantina, buon viaggio! Temo che quei milioni di visitatori potrebbero essere indotti a riprendere immediatamente il treno, a fare inversione di marcia, a ripercorrere l’autostrada ancora incompleta che collega Reggio Calabria con Salerno e tornarsene nei loro paesi, magari promettendosi di non tornare più in Sicilia. Io tento di mettermi nei panni di Salvini, di capire il suo impegno determinato, senza sé e senza ma per il ponte, il sogno di legare il suo nome all’opera edile più importante del mondo. Eppure potrebbe anche risolvere il suo problema, superare le sue ossessioni, facendosi costruire un plastico lungo quanto il corridoio del Ministero delle Infrastrutture e lì giocare con i trenini e con i tir. Nel frattempo, naturalmente, continuare a proporre la costruzione del ponte vero gli potrà consentire di ottenere consensi dai siciliani e dai calabresi affascinati da questa enorme “ciancianedda”.

Non voglio sentire menagrami né ambientalisti né la sinistra, tutti coloro che, magari con qualche ragione, si dichiarano contrari al ponte sostenendo che prima c’è ben altro da fare in Sicilia. C’è da realizzare la sua infrastrutturazione che nessun governo, neppure quello della sinistra, hanno mai iniziato a fare. Tanto vale sognare. Sognare un’opera con la quale compensare calabresi e siciliani, ad esempio, per la mancanza di lavoro, per la scadente qualità dei servizi, per la desertificazione causata dall’abbandono e dall’emigrazione e per l’autonomia differenziata con la quale i leghisti e il governo dei “patrioti” vogliono rendere concreta la secessione dei ricchi anche istituzionalmente. Voglio il ponte e non mi interessa capire le ragioni che hanno indotto in poco tempo il ministro delle infrastrutture a cambiare radicalmente opinione. Intanto non si può pretendere che chi non ha mai avuto un’opinione non ne cambi tante quante le felpe che indossa. Sarei però curioso di capire se era una “spacconata propagandistica” l’opinione di prima di Salvini o è una spacconata quella di ora. Ancor più è importante accertare se erano farlocchi gli ingegneri che pochi anni fa lo avevano convinto che il ponte non stava in piedi o se lo sono quelli che oggi gli danno le garanzie sulla sua solidità.

Se tutte le riserve risultassero infondate e, in effetti, nel 2032 il ponte dovesse davvero collegare il continente alla Sicilia e alcuni di quei milioni di nuovi visitatori che vi si riverseranno avessero la curiosità di conoscere Caltabellotta, “il paese più bello del mondo” scrisse Matteo Collura qualche tempo fa, non io, vorrei essere proprio lì, al mio paese, insieme a quei pochi centinaia di vecchi che ancora a quel tempo lo abiteranno ad accoglierli e a far loro constatare il risultato della desertificazione di questa nostra terra. Posso avanzare il dubbio che con il ponte la denatalità e l’emigrazione scompariranno? Che esso possa essere un rimedio opportuno anziché un programma meno eclatante, meno immaginifico, meno da fata Morgana, quello, cioè, di una infrastrutturazione massiccia ed articolata della nostra Isola con una visione Keynesiana, analoga a quella che il grande economista propose a Roosevelt negli anni trenta per fare uscire gli Stati Uniti dalla crisi e riavviare lo sviluppo.

Il collegamento tra i paesi dei Nebrodi, tra quelli della provincia di Agrigento dove non esiste né un chilometro di autostrada, né una ferrovia, né un aeroporto, sicuramente non darebbero al nostro paese il primato per la più grande opera pubblica ma ai siciliani consentirebbero condizioni di vita migliori.