La Regione ha avuto vent’anni di tempo per capire quale vestito cucire addosso agli ex Pip (acronimo di piani di inserimento professionale), una figura di precari quasi mitologica, fiorita alla fine del secolo scorso – era il ‘99 – per supportare le attività del Comune di Palermo. Ma ora che il Consiglio dei Ministri s’è finalmente deciso a non impugnare il provvedimento, rendendo effettiva la norma che li stabilizza, ecco il patatrac: queste persone non hanno ancora un indirizzo. E non basterà rivolgersi a una cartomante. “Non gli è stato comunicato cosa andranno a fare, dove, con quale tipo di contratto e cosa accade se rifiutano questo percorso. Non si sa neanche quanto verranno pagati e per quante ore”, dicono i sindacati. “Nell’attesa”, però, “restano col sostegno al reddito assicurato dalla normativa vigente”. Come stabilisce la norma approvata dall’Ars. Che da anni, assieme al governo Musumeci, si spende per dare un futuro a queste persone.
Peccato che non abbia mai individuato un possibile orizzonte. Forse perché appariva del tutto improbabile che il governo romano acconsentisse a stabilizzarli (facendo scadere i termini dell’impugnativa). E ora che succede? Che questi precari, in attesa di transitare chissà con quale ruolo nelle “categorie basse” delle partecipate regionali – ce n’è una, la Sas, che li accoglie quasi tutti – se ne staranno con le mani in mano, continuando a godere degli aiuti pubblici. Come accade tuttora alla stragrande maggioranza dei percettori del Reddito di cittadinanza, i cosiddetti “divanisti”, grazie alla liberalizzazione di una misura assistenzialista che nessun partito e nessun politico si sogna – realmente – di rimettere in discussione. Specie quando arriva al governo.
La Sicilia è la rappresentazione plastica di cosa voglia dire essere “sussidiati”. Quando i centri per l’impiego hanno provato a imbastire l’incrocio fra domanda e offerta, hanno appurato che le aziende non avessero alcuna intenzione di assumere: specie chi non è dotato delle competenze minime per svolgere un mestiere e non gode nemmeno della terza media. E così c’è stato il tracollo delle interviste di lavoro (tutt’al più ci si è rifugiati nei soliti percorsi di formazione professionale), e la fase-2 dell’esperimento del M5s è andata a farsi benedire: addio politiche attive. I comuni, da parte loro, hanno tralasciato l’attivazione dei Puc (i piani di utilità collettiva), cioè il piano-B, lasciando che i percettori scorrazzassero dalla cucina al soggiorno senza soluzione di continuità.
Male, malissimo nella regione che vanta il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Italia. Un pessimo segnale nei confronti dei giovani, molti dei quali non accettano neppure un lavoretto estivo pur di continuare a godere dei privilegi del Reddito. Ma è un’offesa anche nei confronti di tutti quelli che la Regione dovrebbe pagare e non lo fa: a partire dai tirocinanti dell’Avviso 22, passando per i laboratori d’analisi convenzionati, senza dimenticare le migliaia di imprese rimaste a stecchetto per mesi a causa dei problemi di riaccertamento dei residui attivi in capo ai dipartimenti (un’operazione risolta solo di recente). E più in generale di tutti quelli che attendono la Finanziaria di fine anno come una manna dal cielo, e si ritrovano a pietire l’esercizio provvisorio – divenuta prassi – per vedere lo stipendio e poter pagare le bollette.
Gli ex Pip sono soggetti avanti con l’età, che negli anni sono stati impiegati in vari rami dell’amministrazione: dalle scuole agli ospedali, passando per i musei o le guardianie degli assessorati. Adesso, che si fa sul serio, dovranno transitare dal sussidio allo stipendio. E questo prevede lo svolgimento di una mansione per quale, forse, non sono più predisposti o preparati. Nessuno d’altronde li ha avvertiti. E’ chiaro che l’Ars si fosse spesa, con forza e testardaggine, per un altro obiettivo: renderli utili alla società e a loro stessi. In questo frangente di tempo, però, nessuno ha mosso un dito per garantirgli un “futuro”.
Ora, in attesa del nuovo governo e del nuovo parlamento, l’unica speranza sono i capi di gabinetto. Quelli uscenti. I mandarini a cui Schifani ha dato la Regione in mano “per assicurare la continuità dell’azione amministrativa”, come recita la nota ufficiale di palazzo d’Orleans: “il suddetto personale esaminerà quotidianamente la posta in entrata e ne curerà il relativo seguito istruttorio, segnalando allo stesso presidente eventuali questioni ritenute indifferibili e urgenti”. La speranza è che almeno loro ci capiscano qualcosa e trovino un posto agli ex Pip, traducendo gli intendimenti della politica in atti concreti. Anche se Cateno De Luca non è disposto a fare sconti: “La legge chiarisce che fino al giuramento degli assessori, il presidente adotta gli atti di ordinaria amministrazione di competenza della Giunta regionale e degli assessori. È dunque il monarca Schifani – sottolinea l’ex sindaco di Messina – che deve colmare il vuoto degli assessori. Senza poi tralasciare il fatto che la legge prevede che i capi di gabinetto nel momento in cui decade l’assessore che li ha nominati decadono automaticamente rimanendo a ricoprire il ruolo di dirigente. Quindi a questo punto stiamo assistendo ad una doppia violazione delle norme”. Siamo solo all’inizio.