Gli amministratori locali più importanti di Sicilia, Leoluca Orlando e Salvo Pogliese, sono in coda alla classifica di gradimento più illustre: quella congegnata ogni anno da ‘Il Sole 24 Ore’, che per la verità non rappresenta l’unità di misura dell’operato di un sindaco, bensì la percezione da parte dei suoi concittadini. Questa percezione è pessima per Orlando, cha staziona al 103° posto della classifica (su 105): solo il 39% degli intervistati ha una buona opinione del sindaco di Palermo, e lo rivoterebbe. E’ persino più impietosa per il collega Pogliese (ultimo, con il 30%): altro colore politico, altro modo di fare. Su cui grava, comunque, la condanna in primo grado per peculato: in base a quella, e per effetto della Legge Severino, era stato sospeso dalla carica, a luglio 2020, prima di essere reintegrato cinque mesi più tardi. Sulla rilevazione, insomma, potrebbe incidere il percorso giudiziario che non si è ancora concluso.
Detto questo, resta un’amara riflessione: che in Sicilia nulla va come deve. Basti pensare alla totale inadeguatezza di Orlando nell’affrontare i problemi atavici, che si riflettono in maniera disarmante sui nove della sua Amministrazione (più recente). Grovigli irrisolvibili, su cui di rado il ‘professore’ ha messo la faccia: la mancata tumulazione di quasi mille bare al Cimitero dei Rotoli, il caos perenne dei rifiuti, la viabilità a pezzi. Semmai ha sempre rilanciato sul concetto di visione, di cultura. Ha praticato l’astrattismo, di fronte a una città in fiamme. Per questo paiono irricevibili le giustificazioni del suo braccio destro, l’assessore Catania: “Ricordo che in Sicilia la legge elettorale prevede la vittoria al primo turno col 40%. Mi pare che, malgrado le indubbie difficoltà che sta attraversando la città, non esistano politici o aspiranti candidati in grado di avere queste percentuali di gradimento – ha detto Catania -. Questo sondaggio deve essere uno stimolo ad andare avanti”.
Tuttavia, persino il sindaco più scarso potrebbe avere delle attenuanti: ovvero l’attenzione riposta dallo Stato e della Regione sugli enti locali. Ne ha parlato nella sua diretta mattutina il terzo incomodo, il messinese Cateno De Luca, precipitato in un solo anno dal 2° al 22° posto della classifica di gradimento. Quinto nel Mezzogiorno d’Italia: “Nel 2020 eravamo stati sovraesposti a causa della pandemia – ha spiegato De Luca – Ma su quest’analisi pesa un fattore: il fatto di trovarci in Sicilia, cioè una terra che sotto il profilo dello sviluppo socio economico è la più sgarrupata d’Europa. Spezzo una lancia per Orlando e Pogliese: come me scontano il fatto di amministrare in Sicilia, con un governo della Regione che continua a non esistere. A pagarne le conseguenze siamo noi sindaci che stiamo in trincea”. In parte è vero, in parte è discutibile. La capacità di coniugare esposizione mediatica – per giusta causa – e tentativi di buona amministrazione non sempre avviene. Resta il fatto che la Regione ha troncato i trasferimenti e gli aiuti: solo di recente, grazie a un’accelerazione impresa dal dibattito dentro e soprattutto fuori Sala d’Ercole (dall’Anci), si è sbloccata una dotazione da 500 milioni per gli enti locali. Molti, però, versano già in condizioni di dissesto. L’ultimo iscritto al club è il Comune di Taormina.