E’ stata una settimana di grandi giravolte. Fino a martedì scorso, durante il dibattito all’Assemblea regionale siciliana, Nello Musumeci sembrava intenzionato a chiedere una deroga a Roma – con specifico disegno di legge – per posticipare “alle 22 o alle 23” l’orario di chiusura di bar e ristoranti, perché finché “non siamo in emergenza” va tutto bene. Oggi il mondo appare rovesciato e, nonostante un indice di contagiosità contenuto (1.42, al di sotto della “soglia di rischio” di 1,50 e della media nazionale di 1,70), la Sicilia sarà fra le regioni più “colpite” dal secondo lockdown. Tecnicamente, rientra fra le aree arancioni, quelle “caratterizzate da uno scenario di elevata gravità e da un livello di rischio alto”. Solo un gradino sotto rispetto a Calabria, Lombardia e Piemonte – finite in “zona rossa” – dove la seconda ondata si è abbattuta come un uragano e i contagi viaggiano spediti, nell’ordine delle migliaia. Della seconda categoria di rischio, fa parte anche la Puglia.
In Sicilia, per due giorni di fila, abbiamo registrato oltre mille “positivi” – con un massimo di 8 mila tamponi eseguiti – eppure le strutture sanitarie sono in sofferenza. L’ultimo piano elaborato da Musumeci e Razza prevede un ampliamento dei posti di terapia intensiva (fino a 416) e di degenza ordinaria (2.384), ma non a tal punto da riequilibrare le sorti dell’Isola, che secondo i ventuno parametri considerati dall’Istituto Superiore di Sanità (tra cui il numero di ricoveri e l’occupazione dei posti letto sulla base dell’effettività disponibilità) andava relegata nella fascia di mezzo. E così è stato. I dati risalenti al 25 ottobre – le Regioni non riescono più a comunicare i dati come prima, ma, realisticamente, la situazione non può essere migliorata nell’ultima settimana – hanno consigliato al ministro della Salute Speranza, in via prudenziale, di applicare la politica del “rigore”. Zero concessioni.
Il contraccolpo più importante lo subiranno i locali. Sono sospese, infatti, le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale a condizione che vengano rispettati i protocolli o le linee guida dirette a prevenire il contagio. Gli esercenti rimasti aperti fino alle 18, che sette giorni fa Musumeci aveva illuso di far riaprire fino a tardi, dovranno abbassare le saracinesche del tutto. Al contempo, resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitario sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, e, fino alle ore 22, la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze del locale. Quello delle 10 di sera non è un orario a caso, ma coincide con il “coprifuoco” fissato a livello nazionale. Per tutti s’intende, anche le regioni più fortunate (“area gialla”). Restano aperte, invece, le attività di somministrazione di alimenti e bevande siti nelle aree di servizio e nei distributori di carburante situati lungo le autostrade, ma anche nei baretti di ospedali ed aeroporti.
In Sicilia e nelle aree a rischio elevato, inoltre, è vietato ogni spostamento “in entrata e in uscita dai territori con un livello di rischio alto, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute”. Ergo: non si può andare da una Regione all’altra. Nemmeno all’interno delle singole province ci si può spostare liberamente. Se non per motivi di lavoro, di studio e di salute, al presentarsi di situazioni di necessità o per “svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili” nel proprio comune di residenza o domicilio. In quel caso ci si può mettere in macchina, o prendere i mezzi pubblici, per recarsi alla destinazione finale. E poi fare rientro a casa. In ogni caso bisognerà dotarsi dell’autocertificazione.
Al di là delle restrizioni di cui sopra, non cambia granché rispetto all’ultimo Dpcm del 24 ottobre. Restano aperti parrucchieri e centri estetici, mentre, come nel resto d’Italia, chiudono musei, sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò. Nei giorni festivi e prefestivi, ossia il sabato e la domenica, si fermano anche i centri commerciali, che nelle ultime due settimane, in Sicilia, un’ordinanza di Musumeci aveva chiuso alle 14 di domenica. Adesso la stretta è totale, anche se potranno continuare a lavorare farmacie, parafarmacie, negozi di generi alimentari, edicole e tabacchi presenti al loro interno.
Le misure adottate dal decreto del presidente del Consiglio saranno valide per due settimane a partire da domani. Al termine di questo periodo, e in base all’attento monitoraggio della curva del contagio, il Ministro della Salute potrà decidere se prorogare i divieti o farci scivolare in una delle altre due fasce: quella “rossa”, la più critica, prevede il divieto di spostamento anche all’interno del proprio territorio comunale, l’impossibilità di fare attività motoria all’aperto (se non nei pressi della propria abitazione) oltre alla chiusura di tutte le attività “non essenziali”. Servirà parecchio senso civico per non arrivarci.
Musumeci su tutte le furie: decisione irragionevole
“La scelta del governo nazionale di relegare la Sicilia a “zona arancione” appare assurda e irragionevole. L’ho detto e ripetuto stasera al ministro della Salute Roberto Speranza, che ha voluto adottare la grave decisione senza alcuna preventiva intesa con la Regione Siciliana e al di fuori di ogni legittima spiegazione scientifica”. Lo dichiara il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, su Facebook. “Un dato per tutti: oggi la Regione Campania ha avuto oltre quattromila nuovi positivi; la Sicilia poco più di mille. La Campania ha quasi 55 mila positivi, la Sicilia 18 mila. Vogliamo parlare della Regione Lazio? Ricovera oggi 2.317 positivi a fronte dei 1.100 siciliani, con 217 in terapia intensiva a fronte dei nostri 148. Eppure, Campania e Lazio sono assegnate a “zona gialla”. Perché questa spasmodica voglia di colpire anzitempo centinaia di migliaia di imprese siciliane? Al governo di Giuseppe Conte chiediamo di modificare il provvedimento, perché ingiusto e ingiustificato. Le furbizie non pagano”.