Gli autobottisti abusivi, le condotte colabrodo, intere province senz’acqua. L’ultimo servizio esclusivo di Far West, la trasmissione di Salvo Sottile andata in onda venerdì sera su Rai3, ci consegna l’immagine di una Sicilia senza speranza. Dove anche in pieno autunno, e nonostante le prime piogge, la siccità morde. La provincia di Agrigento è quella messa peggio, eppure il governo Schifani non ha difettato d’iniziativa: qualche mese fa, in piena estate, ha organizzato il concerto del Volo alla Valle dei Templi, investendo quasi un milione di euro per due prime serate su Canale 5 (le vedremo a Natale); mentre soltanto adesso, con una norma inserita nella Finanziaria-quater, ha previsto un intervento da circa 14 milioni per la riparazione delle reti idriche. Questioni di priorità.
Nessuno, neppure la Cabina di regia istituzionalizzata la scorsa primavera dal governatore, ha saputo affrontare l’esito nefasto di mesi senza pioggia. Nessuno ha saputo, o potuto, impedire che si verificassero stop di mesi alle forniture idriche nelle civili abitazioni; nessuno è stato in grado di arrestare lo svuotamento degli invasi: oggi sono presenti circa 60 milioni di metri cubi d’acqua, rispetto ai 300 milioni dello stesso periodo dell’anno scorso. Nessuno è riuscito a ristorare – non per come meriterebbero – agricoltori e allevatori falcidiati dall’emergenza. La siccità ha rovinato un anno di raccolto, e influirà anche sui prossimi; il bestiame è stato macellato, gli allevamenti dimezzati. Non c’è neppure il fieno: la Regione ha introdotto un bonus per lavarsi la coscienza (40 milioni in due tranche), ma come ogni misura – proposta clamorosamente in ritardo – non basta.
Anche gli ultimi provvedimenti, che è comunque utile elencare, non servono a prevenire la catastrofe, ma soltanto a mettere delle pezze su un racconto drammatico. Il principale passatempo della politica, d’altronde, è scagliarsi la palla addosso. Come nel caso degli ultimi due presidenti della Regione: Nello Musumeci e Renato Schifani. Quest’ultimo, intervenendo ieri alla festa di Fratelli d’Italia, ha parlato di “gossip”: “Certa stampa alimenta, pompa scontri che non ci sono”. In realtà è da mesi che se le cantano. Durante un question time alla Camera, Musumeci aveva ribadito le responsabilità del passato: “La grave siccità della Sicilia sconta un ritardo nella programmazione e della manutenzione delle infrastrutture sicuramente pluridecennale”. Dimenticando, però, che è stato lui a governare l’Isola dal 2017 al 2022. “Il Consiglio dei Ministri il 6 maggio scorso ha deliberato per 12 mesi lo stato di emergenza di rilievo nazionale per il grave deficit idrico, stanziando 20 milioni per i primi interventi – si è difeso -. Il 19 maggio il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani è stato nominato commissario delegato per gli interventi urgenti, gli è stata demandata la predisposizione sulla base dei fabbisogni e del limite delle risorse per gli interventi da adottare”.
E Schifani? Di cosa si sarebbe occupato? “La Regione già avviato da tempo la seconda fase del processo per affrontare la crisi idrica in Sicilia – fa sapere una nota di Palazzo d’Orleans, replicando alle parole del Ministro -. È stata, infatti, già trasmessa al dipartimento nazionale della Protezione civile una proposta del secondo piano di interventi che include oltre 130 progetti, elaborati in risposta alle richieste pervenute da ATI, gestori idrici e da Comuni. Oltre a 200 interventi di riparazione e acquisto di autobotti per i Comuni per oltre 8 milioni di euro”. Su una cosa, però, i due sono d’accordo: “La crisi idrica in Sicilia è il risultato, oltre che della grave siccità, di decenni di ritardi nella manutenzione delle infrastrutture e nella pianificazione strategica. Nonostante ciò – ribadisce la presidenza – l’attuale governo regionale ha intrapreso azioni concrete, anche grazie allo stanziamento di 20 milioni approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso maggio per fronteggiare l’emergenza, ai quali si sono aggiunti già 39 milioni del bilancio regionale e altri 40 sono previsti nel ddl delle variazioni di bilancio. Si continua a lavorare per ottenere ulteriori risorse necessarie al completamento degli interventi, in linea con le priorità segnalate dalla cabina di regia e dal commissario delegato, il presidente della Regione Renato Schifani”.
Il quale, per inciso, ha scelto di non occuparsi dei dissalatori perché ci sarebbe voluto troppo: “In uno spirito di massima collaborazione istituzionale e nell’esclusivo interesse della popolazione – aveva detto Schifani qualche settimana fa – ho suggerito che ad occuparsene sia il commissario nazionale Dell’Acqua, al quale la legge aveva assegnato pieni poteri di deroga e non limitati come quelli concessi a me da una semplice ordinanza del capo del dipartimento nazionale di Protezione civile”. Altro piantino e via.
In pubblico hanno tutti la risposta pronta. Ma in verità, nessuno ha mai risolto nulla. Qualche giorno fa, a margine della manifestazione con i bidoni e l’accappatoio di fronte al Palazzo della Regione, Davide Faraone è stato in provincia di Enna e di Agrigento per segnalare ciò che stanno passando le famiglie sulla propria pelle. “A Schifani – ha detto il capogruppo di Italia Viva alla Camera – consiglierei di prendere la sua comoda auto blu e dirigersi dritto a Nicosia, paese in provincia di Enna, e andare a trovare la signora Cinzia. Si faccia raccontare da lei e dalla sua famiglia come si vive da mesi con un recipiente da mille litri e l’acqua una volta a settimana. Naturalmente sempre che l’acqua non arrivi gialla e piena di terra, come spesso accade. Un piccolo appartamento invaso da bidoni pieni e cassette d’acqua minerale. Si schiodi dalla poltrona il Presidente della Regione, detto Marchese del Grillo, e faccia come ho fatto io, incontri i cittadini, capisca cosa vuol dire alzarsi la notte per lavare i vestiti, prima che l’erogazione venga interrotta. Magari si sveglierà dal lungo letargo”.
In questi mesi di lunga sofferenza, in cui la Sicilia è apparsa come una regione primordiale, non in grado di garantire un bene essenziale come l’acqua, né di garantire un approvvigionamento scevro da manovre criminali (come dimostra il fenomeno dell’autobottismo clandestino), l’unica cosa che ha tenuto banco è lo scontro politico. E poi: le facili promesse, i tentativi andati in fumo (come l’utilizzo di una nave della Marina militare per dissetare Licata e la provincia di Agrigento), gli sprechi, le mosse disperate (spostare i pesci dagli invasi). E gli scandali: come l’autobotte di Aica, cioè il gestore idrico di 37 comuni agrigentini, che garantisce l’acqua agli yacht e non risponde alle chiamate dei cittadini. Si sono riempiti la bocca di denari, ma quelli utilizzati fin qui, che siano venti o cinquanta (come sostiene il governo regionale), non sono bastati a salvare gli agrumeti, gli olivi, gli animali. Il risultato è che manca l’acqua e di questo passo continuerà a mancare.