Inseguiteli per incompetenza ma non accusateli di concorso esterno in “associazione fotografica”. Rilanciato dai giornali, campeggia da ore l’ennesimo scatto malandrino che metterebbe nel sacco il Movimento Cinque Stelle, la polaroid che sporca il leader Luigi Di Maio.
La procura di Palermo ha infatti arrestato quello che, secondo le indagini, sarebbe cassiere di giorno ma mafioso di notte. Si chiama Giuseppe Corona e lavorava al bar Aurora di Palermo, di fronte al porto che chiunque sa, nelle città di mare, è lo scannatoio di sbandati e teppisti, ma anche di carne da fatica e uomini perbene. A Corona, prima ancora dei giornalisti che si stanno riposizionando, non sarà sembrato vero poter ospitare nella sua caffetteria, niente meno che il futuro ministro del Lavoro, la promessa del vaffanculo con la cravatta, in visita durante la campagna elettorale del 2017. Ne è nata una foto che sta già circolando come prova di reato, come informativa di nefandezza.
Di Maio insieme a Giancarlo Cancelleri non si è sottratto al clic che Corona, siamo sicuri, gli ha chiesto e non per intavolare una “nuova trattativa”, ma semplicemente per agitarla come trofeo, l’ultimo dei famosi; non il politico ma il mezzo vip da esibire. Eppure è bastato quello scatto per macchiare e suggerire, per lordare e insinuare. Non è la prima volta. Da anni si portano alla gogna uomini innocenti ma colpevoli di imprudenza e di candore. Inchiodati da foto che solo successivamente si scoprirà richieste da loschi e marrani, a farne le spese sono stati parlamentari come Graziano Del Rio e lo stesso Matteo Salvini che di tutto può essere accusato tranne che essere ‘ndranghetista. Da tempo al già vago reato di concorso esterno si è aggiunta questa nuova tipologia che sarebbe materia per Roland Barthes, la nuova impostura per mezzo della camera (oscura).
In Sicilia, sempre più politici, ordinano ai propri galoppini di non fare avvicinare militanti per paura di vedersi, mesi dopo, additati come complici e sodali. Senza l’intervento di uomini in grado di denunciare questa nuova barbarie e questa inquisizione da rullino, il rischio è solo uno: vedere il manuale di fotografia sostituire il codice penale e i paparazzi sedersi al posto dei magistrati.