L’emergenza idrica ha davvero fatto sprofondare la Sicilia in un’altra epoca. Poiché fra qualche giorno almeno cinque comuni dell’entroterra ennese rimarranno a secco (fra questi Troina, che fino a qualche settimana fa vantava la presenza nella giunta regionale di un assessore di Fratelli d’Italia), si prospettano due opzioni: le classiche autobotti (che arrivano a costare fino a 600 euro l’una) o i bidoni per prelevare l’acqua dai silos già posizionati in alcuni punti strategici. Siccome si preannuncia la fila, ogni comune penserà a uno strumento per garantire “ordine e disciplina”: a Troina basterà il certificato elettorale (ad ogni sezione è stato assegnato un silos di riferimento), a San Cataldo servirà un documento d’identità. Caltanissetta, che a breve potrebbe accodarsi ai comuni in crisi, sta valutando l’ipotesi di una card. Come quella che garantisce gli sconti al supermercato.
Alcune soluzioni ricordano l’adozione della tessera per il pane ai tempi della guerra: gli uffici annonari dei comuni le distribuivano a ogni cittadino per garantire un equo razionamento delle risorse. Oggi potrebbe accadere con l’acqua e non è detto che basti. “Per l’organizzazione mondiale della sanità – ricorda Davide Faraone, capogruppo alla Camera di Italia Viva – la soglia minima per soddisfare le esigenze minime di salute è stimata intorno ai 50 litri d’acqua a persona al giorno. Nei Paesi occidentali normalmente questa soglia è molto più alta. In tanti comuni della Sicilia la distribuzione si attesta a 30 litri al giorno per abitante, siamo abbondantemente sotto la soglia di civiltà, ma tutto questo non sembra interessare a chi ci governa e a grandissima parte del mondo dell’informazione. Siamo alla catalogazione delle emergenze di serie B, per cittadini di serie B”.
La novità dell’ultima ora è che il nuovo piano di razionamento, a prescindere dal numero dei componenti di un singolo nucleo, prevede che ogni famiglia possa prelevare fino a un massimo di cento litri a settimana. Serviranno i controllori o la videosorveglianza per smascherare i furbetti? Ma qui l’ironia sta a zero: l’emergenza è davvero impietosa e l’assenza di piogge, con la graduale ma feroce diminuzione dell’acqua negli invasi, sta costringendo il direttore regionale della Protezione Civile, l’ing. Salvo Cocina, a valutare tutte le possibili soluzioni. E dato che nessuno, da Roma, manda un segnale sulla riattivazione dei dissalatori, si fa largo un’altra ipotesi: usare gli impianti che sorgono a bordo delle navi da crociera, utilizzati per dissetare i passeggeri. Sono quelli che trasformano l’acqua del mare in acqua potabile e che servono, mediamente, fino a 5 mila persone. “Un’ipotesi che sottolinea la totale assenza di strategie per la risoluzione della crisi idrica”, dice il Cinque Stelle Nuccio Di Paola. L’alternativa, come raccontato da Repubblica, sono le navi della Marina militare, ma in quel caso i dissalatori sono più esigui, dal momento in cui le flotte delle imbarcazioni si aggirano fra le 100 e le 200 unità.
Il problema è che a meno di sorprese, dal 15 novembre verranno chiusi i rubinetti delle erogazioni della diga Ancipa. Alcuni comuni (oltre a Troina, ci sono Nicosia, Cerami, Sperlinga e Gagliano) non hanno fonti alternative di approvvigionamento: qui dovranno arrivare per forza le autobotti. Negli altri, come Caltanissetta o San Cataldo, sono già in corso delle turnazioni che prevedono l’attivazione di vecchi pozzi e la trivellazione di nuovi, con la possibilità di attingere ad altre fonti. La crisi potrebbe estendersi a macchia di leopardo e anche le sollecitazioni giunte a Nicola Dell’Acqua, il commissario nazionale per l’emergenza idrica, relative all’utilizzo dei dissalatori mobili (in attesa di riattivare quelli in disuso da una decina d’anni) è pendente sulla scrivania dei burocrati: serviranno 48 ore per il cronoprogramma degli interventi e dai 3 ai 6 mesi per reperire gli impianti. Costo stimato 5 milioni.
“La carenza di acqua, diversamente da come ci vogliono far credere – dice Di Paola – non dipende esclusivamente dalle poche piogge, ma dal fatto che negli anni sono mancate le manutenzioni sia agli invasi che alle condutture, le cui perdite rappresentano la parte del problema più complicato da gestire”. L’analisi del grillino, vicepresidente dell’Ars, però si spinge oltre e chiama in causa un altro degli interventi (solo) annunciati dalla politica: “La scelta di costruire due inceneritori dei rifiuti, uno a Catania e uno a Palermo, porterà ad aumentare in maniera esponenziale la crisi idrica siciliana. Il ciclo di un inceneritore, infatti, richiede ingenti quantità d’acqua. Stiamo parlando di oltre 1 milione di metri cubi all’anno. E quest’acqua da qualche parte dovrà pur essere sottratta, quindi cosa faranno Schifani e soci? La useranno per gli inceneritori, lasciando a secco i siciliani? O la daranno ai siciliani, lasciando spenti gli inceneritori dopo averli costruiti?”. Il Partito Democratico, uscendo dall’anonimato, ha annunciato una conferenza stampa a Palazzo dei Normanni per presentare un dossier con analisi e proposte. E nel frattempo spiega che la “mancanza di acqua non è più “soltanto” un’emergenza – quindi un evento temporaneo – ma un problema di natura strutturale per cui è evidente il mancato intervento della politica del governo di centrodestra – a Roma come in Sicilia – che non programma, non prevede e (se) interviene lo fa quando il danno è ormai fatto”.
Ai problemi che si accavallano la Regione ha risposto con un altro intervento economico prodigioso, anche se – per il momento – solo sulla carta: si tratta di cento milioni per “dotare gli agricoltori siciliani di strumenti utili a contrastare e prevenire i danni causati dalla siccità”. Cinquanta milioni sono stati stanziati e saranno erogati attraverso un bando, pubblicato dall’assessorato regionale dell’Agricoltura e relativo al Piano di Sviluppo Rurale 2014-22; gli altri cinquanta saranno resi disponibili entro la fine dell’anno. Al netto delle dichiarazioni soddisfatte del presidente Schifani, ecco la natura degli interventi da finanziare: la realizzazione e il miglioramento dei sistemi di razionalizzazione delle acque per le finalità agricole e zootecniche (compresa la lotta agli incendi), la realizzazione di bacini di infiltrazione per la ricarica delle falde e lo stoccaggio sotterraneo delle acque, il recupero e il trattamento delle acque reflue e l’introduzione di sistemi di misurazione, controllo, telecontrollo e automazione. E, ancora, la realizzazione di impianti di desalinizzazione a fini agricoli e di sistemi di gestione intelligente della risorsa idrica attraverso sistemi di mappatura del suolo attraverso dei sensori a distanza o in prossimità.
Le famiglie, nel frattempo, proveranno a sopravvivere senza questi strumenti di ultima generazione. Affidandosi ai silos e alle autobotti; pagando fior di quattrini per il riconoscimento di un diritto che si è tramutato in privilegio; sopportando il fatto che nei palazzi della politica, a parte rare eccezioni, nessuno si sia reso conto di cosa voglia dire poter contare sull’acqua una sola volta a settimana. Sono finite le scuse di un fenomeno ritenuto “endemico”: il governo e la maggioranza siciliana sono abilissimi a spostare l’attenzione su questioni di lana caprina e, attorno a quelle, costruire accordi di lealtà duratura; sono meno attrezzati nel fronteggiare un’emergenza la cui gravità è nota da anni, pur esplodendo “solo” da qualche mese.