La storia, anche in politica, si rivela ciclica e inesorabile: Renato Schifani, dopo aver vinto le elezioni Regionali, scaricò Gianfranco Micciché (anche) per la richiesta di poter gestire lui, l’ex presidente dell’Ars, il delicatissimo assessorato alla Salute, da cui passano 9 miliardi l’anno e numerosi interessi (dalla nomina dei manager ai rapporti con le strutture convenzionate). Dopo un’altra elezione, vincente pure questa, la sanità si conferma un possibile detonatore per gli equilibri di governo e di partito. Oltre all’ennesima scommessa a perdere di Forza Italia, che dopo aver affidato l’assessorato di piazza Ottavio Ziino a Giovanna Volo, un fantasma e finanche indagato, potrebbe ripetere l’esperimento con un’altra giovane interprete della sua storia trentennale: vale a dire Caterina Chinnici.
Il supposto è che Edy Tamajo, eletto in Europa a furor di popolo, accetti l’investitura di 122 mila elettori e voli a Bruxelles. In quel caso, per chi è rimasto, si aprirebbe la caccia all’orso. In cui l’orso è appunto la sanità e i cacciatori, invece, i rappresentanti delle due anime del partito che non vedono l’ora di giungere al regolamento di conti. La Chinnici occupa sempre una posizione defilata, contrita, quasi imbarazzata per la ridda di voci che riguardano il suo futuro. Ma, allo stato, rappresenta la punta di diamante del segretario nazionale Antonio Tajani che, se non dovesse riuscire a far desistere Tamajo dall’idea di accasarsi in Europa, finirebbe per chiedere la Sanità per la Santa Caterina dei Misteri (ribattezzata così per non aver mai spiegato i motivi che la indussero, ormai un anno fa, ad abbracciare il partito di Berlusconi).
Ci ritroveremo nella medesima situazione del settembre ’22, quando per evitare di finire nelle grinfie di Micciché e dei partiti, Schifani impose un nome “terzo” alla guida della Salute: quello di Giovanna Volo, andata in pensione da direttore amministrativo del Policlinico di Messina, che in quasi due anni di reggenza non ha lasciato traccia. Se non per le scuse imbarazzanti formulate in aula, all’Ars, per giustificare il proprio rifiuto a trattare le interrogazioni proposte dall’opposizione. La Volo ha dato segnali di vita nemmeno al momento della verità: vero, è stata lei a firmare il decreto di nomina dei commissari straordinari che dal 31 gennaio attendono la ratifica del proprio incarico da direttori generali. Ma nella partita giocata in “qualche retrobottega”, la Volo non ha toccato palla e pure le sue ultime dichiarazioni, che assicuravano su un esito della “vertenza” prima delle Europee, sono state tradite dalle dinamiche elettorali. Per non parlare dello scarso contributo, quasi nullo, dato alla causa dei convenzionati, tuttora in trattativa con l’assessorato per il riconoscimento degli extrabudget. “Siete degli imprenditori in cerca di denaro” sarebbero state le sue parole durante un tavolo di confronto.
La Volo non è stata esattamente l’assessore di cui vantarsi – è anche quella che a gennaio dello scorso anno, come attestazione di stima da parte dei privati, si è sorbita quattro giorni di serrata delle strutture convenzionate, con inevitabili ricadute sul pubblico – e anche Schifani adesso vorrebbe metterci una pietra sopra. Basta, abbiamo fallito. Secondo Radio Ars, però, al suo posto potrebbe arrivare la silenziosa Chinnici. Cioè l’ex europarlamentare del Pd che non è riuscita a pronunciare una parola né contro le sciagure del governo Musumeci (quando era candidata alla presidenza per i dem), tanto meno per gli scandali consumati all’assessorato al Turismo – a partire dallo sperpero di denaro pubblico per una illogica campagna di comunicazione ad personam – che, invece, avrebbero preteso una parola di verità. E chi meglio della Chinnici, magistrato dalla storia retta e irreprensibile?
Così facendo, però, Caterina ha dato l’impressione di essere capitata lì per caso, e di aver accolto la proposta di candidatura di Tajani solo per conseguire l’ennesima elezione a Bruxelles. Per motivi personali, insomma. Catapultarla da un voto d’opinione sulla sua persona (garantito peraltro dall’impegno di Raffaele Lombardo) a un assessorato “infame” come quello alla Sanità – sempre che Schifani, in apparenza refrattario, possa accogliere la proposta – significherebbe non volerle bene. Ma soprattutto non voler bene alla Sanità, che oggi più che mai esigerebbe decisioni rapide e a lungo raggio, impopolari se necessario, ma pur sempre decisioni. Inoltre, l’idea di sganciare la sanità dalla politica imponendo una figura di spicco dell’antimafia, appare sgradevole come premessa e ingenua nelle finalità: perché questo non avverrebbe mai e pure la Chinnici si ritroverebbe tirata per la giacchetta da partiti e “anime nere” (come avvenne a Lucia Borsellino prima di dimettersi dall’incarico ai tempi di Crocetta). L’idea che Chinnici possa occuparsi di un settore esanime – senza direttori generali, senza medici, senza infermieri, con enormi liste d’attesa – appare bizzarra.
C’era, però, una premessa: che Tamajo accetti di volare a Bruxelles. L’altra ipotesi ricorrente è Mr. Preferenze sia trattenuto a Palermo e diventi, ufficialmente, l’incaricato del presidente per una missione così complicata: così da liberare il seggio per il magistrato in aspettativa, e assicurarsi il controllo – da vicinissimo – delle dinamiche sanitarie più impellenti. Una soluzione del genere non farebbe molto piacere a Marco Falcone, che a Bruxelles si recherebbe spontaneamente, ma pretende un assessorato di pari peso a quello che lascerà libero: l’Economia. Ecco perché il dito sul detonatore è sempre quello di Schifani: sarà lui a stabilire gli equilibri nel partito e nel governo, senza dimenticare che a partire dalle prossime scelte inizierà a delinearsi un quadro più chiaro in vista delle Regionali del 2027. A quel punto Tamajo capirà davvero di che pasta è fatto il suo amico Renato.