Si fa presto a dire riforme

“Il disegno di legge dei beni culturali è superato: va rifatto”. A raffreddare gli entusiasmi ci ha pensato il neo assessore leghista, Alberto Samonà, che all’ultima convocazione della V commissione parlamentare, in cui si parla di lavoro e cultura, non ha neanche potuto rispondere. Ha mandato al suo posto un funzionario, tale dottor La Rocca, che a nome del governo ha sventolato una paletta rossa. L’iniziativa, promossa da Italia Viva e da Luca Sammartino (appoggiata da ampie fette di Sala d’Ercole), dovrà tornare ai box per una bella resettata. Finisce nel pantano delle riforme mancate. Assieme a quella sulla governance dei rifiuti, che dopo la tragica esperienza dei franchi tiratori (il 6 novembre 2019 Musumeci cadde sull’articolo 1), non è più tornata in aula.

La riforma dei beni culturali diventa, così, lo specchio di una legislatura che troppo a lungo ha fatto i conti con l’emergenza – non si parla soltanto di Coronavirus – e quasi mai ha affrontato problemi di prospettiva. Alcune riforme di “serie b” sono state approvate: i marina resort, la pesca, il diritto allo stadio, il taglio dei vitalizi, il riordino dell’assistenza pediatrica, la legge-voto sulle zone franche montane (che a Roma tuttora ignorano). Ma nessuna davvero in grado di incidere sul futuro di una terra falcidiata dagli sprechi e dagli errori – più o meno voluti – della politica. In questi giorni a palazzo dei Normanni passa l’ennesimo treno: da un lato i Beni culturali, dall’altro la semplificazione amministrativa. In prospettiva ci sono un altro paio di proposte che potrebbero dare un senso all’esperienza di Nello Musumeci, come l’urbanistica e l’edilizia. Ma è difficile che arrivino a maturazione entro un tempo ragionevole.

Partiamo dai punti fermi (pochi). Qualche giorno fa, la commissione Affari istituzionali presieduta dal forzista Stefano Pellegrino ha approvato il testo del ddl denominato “Disposizioni per l’accelerazione dei procedimenti amministrativi e per la realizzazione di interventi infrastrutturali urgenti”. Il cosiddetto disegno di legge sulla sburocratizzazione, proposto dal solito Luca Sammartino, ma sposato anche da Gianfranco Micciché, che non vede l’ora di sospendere questa piaga delle autorizzazioni preventive. Un tentativo bipartisan di snellire le procedure dei burocrati, affidarsi alle autocertificazioni e al digitale, rimuovere gli ostacoli per la realizzazione di strade e ponti, adottando il modello Genova. Anche stavolta, però, qualcuno si è messo di traverso: in primis gli uffici dell’Ars, che hanno intercettato dei passaggi a rischio “incostituzionalità”, ma anche il vicepresidente Gaetano Armao, che ha segnalato “problemi di insostenibilità normativa e costituzionali”.

La prima commissione, con un massiccio lavoro di labor limae e tante ore perse, ha ripreso la riforma per i capelli e qualche giorno fa ha dato il proprio via libera. Micciché ha deciso di incardinarla a Sala d’Ercole martedì pomeriggio, nella speranza di giungere a un voto in tempi rapidi. Il testo della legge è snello, e rispetto alla prima versione ha perso qualcosa: l’articolo 1, oltre a modificare alcuni aspetti della precedente legge sulla semplificazione (la n.7/2019), determina che “le strutture designate come autorità di gestione di programmi finanziati e/o cofinanziati con risorse extraregionali adottano gli atti di competenza (…) per la presentazione esclusivamente a mezzo di canali telematici di domande di sostegno e della documentazione allegata”. Via la carta, quindi.

Inoltre, i creditori della pubblica amministrazione, “al fine di accelerare la liquidazione di spettanze e corrispettivi a qualsiasi titolo dovuti in attuazione di obbligazioni contrattuali e/o di sussidi, sovvenzioni, contributi e benefici economici comunque denominati già assegnati secondo elenchi e graduatorie (…) producono la documentazione richiesta ai fini della liquidazione delle loro spettanze attraverso dichiarazioni sostitutive”. Le cosiddette autocertificazioni. Questa fattispecie vale anche per la liquidazione di interventi erogati nell’ambito di progetti finanziati o co-finanziati da fondi extraregionali (previa garanzia fidejussoria). Anche “per il rilascio di autorizzazioni, licenze, concessioni ed atti comunque finalizzati ad abilitare allo svolgimento di attività, i soggetti richiedenti producono la documentazione comprovante il possesso e/o la sussistenza di condizioni e requisiti soggettivi richiesti attraverso dichiarazioni sostitutive”.

L’articolo 2, invece, dispone che per la realizzazione di interventi infrastrutturali urgenti – considerato anche il contesto pandemico in corso – il presidente della Regione, “per un termine non superiore a 18 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nomina commissari: a) i sindaci dei comuni interessati per le opere di interesse comunale e per gli interventi sugli edifici scolastici comunali; b) i sindaci metropolitani ed i presidenti dei liberi Consorzi comunali per le opere di interesse sovracomunale e per gli interventi sugli edifici scolastici delle ex province regionali”. Sulla carta i numeri per approvarla ci sarebbero, ma da parte del Pd, e del suo nuovo segretario Barbagallo, è giunta la richiesta di correttivi: “Occorre un’istruttoria sulla natura delle opere e su quelle che esigono il commissariamento”.

Assai più ardua, invece, la missione dell’altra riforma: quella dei beni culturali. Considerando che in V commissione sono arrivati oltre 500 emendamenti, più che correggerla andrebbe riscritta. Claudio Fava ha chiesto di ritirarla. E lo stesso Alberto Samonà, con un intervento postumo all’ultima riunione, ha spiegato che “il governo regionale apprezza le buone intenzioni, ma rileva che il disegno di legge risulta superato sotto molteplici aspetti: non tiene conto della recente riorganizzazione dell’Assessorato dei Beni culturali e delle disposizioni in materia di norme sui parchi, non affronta e risolve i reali nodi che rallentano l’azione amministrativa, lascia irrisolti i problemi che coinvolgono settori e segmenti dove si annidano ritardi e ristagni”. La nota più dolente, però, è quella delle soprintendenze, che la riforma vorrebbe depotenziare. “Le uniche leggi che hanno disciplinato la materia dei beni culturali soprattutto da un punto di vista dell’organizzazione – si legge del testo – sono le leggi regionali nn. 80 del 1977 e 116 del 1980 che sono state, giustamente, considerate antesignane rispetto alla normativa statale sia per la visione di approccio che sotto il profilo organizzativo in relazione alle soprintendenze uniche quali strutture periferiche dello Stato”.

Ma quello che per i firmatari vorrebbe diventare motivo di vanto, per molte associazioni e categorie (compresi gli architetti e gli storici dell’arte) è diventato il pretesto per smontare la riforma un pezzo alla volta. In un appello rivolto alla Regione da un nutrito gruppo di intellettuali di tutta Italia, vengono individuati gli scempi che la legge in oggetto provocherebbe. “Consideriamo inaccettabili i malcelati tentativi di esautorare le Soprintendenze dal ruolo di garanti della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico; delegare ai comuni e ai consorzi di comuni il compito di rilasciare autorizzazioni e valutazioni di compatibilità paesaggistica delle opere edilizie, spostare il processo autorizzativo degli interventi sui beni paesaggistici dal livello regionale e tecnico delle Soprintendenze a quello locale e politico dei comuni, determinando una inevitabile maggiore “sensibilità” alle istanze particolaristiche degli elettori; demandare le autorizzazioni per interventi di demolizione e/o trasformazione di beni monumentali al Dirigente Generale dell’Assessorato dei Beni Culturali, che in virtù dello spoil system sarebbe oggetto di costanti pressioni da parte della politica”.

Insomma, non va bene nulla, anche se Luca Sammartino ha provato a resistere: “La parte delle Soprintendenze era solo una provocazione”. Fatto sta così com’è, con 500 emendamenti sul groppone, la legge non avrà mai i voti per essere portata avanti. Fava ha spiegato che “c’è il rischio che, partendo dal legittimo obiettivo di semplificare procedure e burocrazia, si finisca con lo scardinare tutto il sistema dei vincoli posti a salvaguardia del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale della Sicilia. Questi aprirebbe la strada a speculazioni di ogni tipo e saccheggi del territorio fuori da ogni controllo”. I Cinque Stelle hanno sottolineato che “ai beni culturali in Sicilia non serve una legge che depotenzi le soprintendenze o attribuisca responsabilità ai Comuni che non hanno le competenze, ma occorre una riorganizzazione della pianta organica che coinvolga le professionalità. Servono concorsi per le figure che mancano in organico e la stabilizzazione del personale esistente come i catalogatori che già reggono gli uffici”. Siamo lontanissimi da una quadra.

Dovrebbe essere più agevole, invece, il percorso della riforma urbanistica, atteso al varco da 42 anni. Dopo un lunghissimo iter nelle commissioni di merito, qualche giorno fa l’assessore al Territorio e Ambiente, Toto Cordaro, ha brindato all’approvazione della bozza in IV commissione. Anche il Movimento 5 Stelle dovrebbe acconsentire e, considerate le peculiarità ambientaliste del gruppo all’Ars, non è banale. Tra i principi ispiratori e gli obiettivi del disegno di legge, composto da 53 articoli, ci sono il consumo del suolo tendente a zero e la rigenerazione urbana, ovvero il recupero e il riutilizzo del tessuto insediativo esistente.

L’ultimo tassello per completare il quadro è la riforma dell’edilizia. Che qualcuno, fra i grillini, definisce “votabile”, al netto però dei necessari aggiustamenti all’articolo 18. “Il governo Musumeci – è stato il commento di Trizzino (M5s) – vuole regolarizzare gli abusi edilizi nelle zone dove vige l’inedificabilità relativa, come quelle sottoposte a vincoli paesaggistici, archeologici, idrogeologici e molte altre tipologie. Sono bastate poche righe ad aprire la strada al condono per molteplici situazioni in cui insistono costruzioni abusive”. Cordaro ha risposto che non è vero. La norma potrebbe essere rivista o cestinata, pur di sancire la pace. E permettere alle riforme di riprendere (lentamente) a defluire dal pantano in cui si sono cacciate.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie