“Ho detto alla mia leader Giorgia Meloni che se al tavolo nazionale il mio nome dovesse risultare divisivo, sono pronto a fare un passo di lato”. Lo diceva Nello Musumeci il 23 giugno, durante una conferenza convocata appositamente per offrire al centrodestra il suo agnello sacrificale. Anche se quelle parole contenevano molte sfaccettature: “La mia non è una resa e neanche voglia di mollare, perché io non mi dimetto, ho un impegno col popolo siciliano che ho assunto cinque anni fa, e fino all’ultimo giorno servirò la mia Regione e il popolo siciliano nei suoi legittimi interessi” diceva Musumeci. Che entro mercoledì – stavolta per davvero? – deciderà se lasciare, offrendo alla Sicilia l’ancora dell’Election Day e ai suoi detrattori una pericolosa via di fuga: un futuro senza Nello da costruire in 50 giorni.
Sono quelli che mancheranno al 25 settembre, data in cui si voterà per le Politiche. E forse anche per le Regionali. L’uscita di scena del presidente, comunque, non sarà molto onorevole. Intanto perché Musumeci pare sia sul punto di rinunciare a un’investitura romana: in quella stessa conferenza stampa, infatti, disse di non cedere all’idea del baratto istituzionale (non sarebbe un bel segnale per i propri sostenitori). Ma anche perché le vicende siciliane si stanno trascinando per le lunghe pur sapendo che da parte della coalizione non c’è alcuna apertura nei confronti di Nello e della Meloni, che in silenzio continua a perorarne la causa.
Che Musumeci fosse divisivo era già chiaro da prima della conferenza stampa. E’ chiaro da mesi. Tanto che i segretari regionali dei partiti ‘scottati’, alcune settimane fa, inviarono una lettera ai big nazionali per confermare la chiusura al bis; e che solo qualche giorno addietro, al termine di un summit convocato a casa di Micciché, hanno ribadito la ferma intenzione di andare “oltre”. Cos’altro serve per attestarne la divisività? Forse un furente toto-nomi. Ebbene, abbiamo anche quello. Da qualche giorno è partita la caccia all’alternativa, e i partiti della coalizione non si risparmiano.
Le logiche spartitorie romane prevedono, in linea meramente teorica, che in Sicilia tocchi a Forza Italia scegliersi il candidato. Quello individuato in prima battuta da Silvio Berlusconi, cioè l’ex ministra Stefania Prestigiacomo, ha già provocato l’irrigidimento della Lega. Gli esponenti del Carroccio ricordano molto bene quando la deputata siracusana, nel 2019, salì a bordo della Sea Watch – dopo un blitz in mare aperto – per rivendicare assieme ad alcuni colleghi parlamentari (Riccardo Magi di +Europa e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana) la liberazione di 47 migranti tenuti in “ostaggio” da Matteo Salvini, Ministro dell’Interno dell’epoca.
E proprio ieri, sul fronte immigrazione, sono arrivate le prime schermaglie fra Micciché e Minardo. Il presidente dell’Ars, salutando un’iniziativa della Federico II, ha ricordato che “mentre Salvini e gli altri incentravano la loro politica sulla lotta all’immigrazione, la Fondazione Federico II organizzava una mostra sul dramma dei migranti e sul Mediterraneo”. Al segretario regionale del Carroccio queste parole non sono piaciute: “Contrastare il traffico di essere umani, salvare vite e difendere i confini non è un diritto ma un dovere. Se il presidente Gianfranco Miccichè preferisce sbarchi, morti e reati ci spiace per lui”, ha replicato Minardo. Il quale – sarà un caso? – resta il candidato preferito di Matteo Salvini alla presidenza della Regione. La Lega, se sarà costretta a scegliere, deciderà di puntare sulla riconferma di Fontana in Lombardia, anche se Salvini ha sempre detto di essere pronto a governare la Sicilia coi suoi uomini.
La battaglia d’Orleans, negli ultimi giorni, si è arricchita però di nuovi protagonisti. Uno di questi è l’ex assessore alla Salute Massimo Russo. A caldeggiare la pista del magistrato, come ovvio, è Raffaele Lombardo, che l’aveva chiamato in giunta nel 2008. Il legame fra i due non si è mai interrotto e pare che Russo sia anche il collante di una possibile alleanza fra gli Autonomisti e Azione, il partito di Calenda, col quale Russo si sarebbe intrattenuto in occasione di alcune trasferte romane (uno dei sostenitori più accaniti di questa tesi rimane Cateno De Luca). Ma a rompere le uova nel paniere di un centrodestra incerottato potrebbe essere anche la Dc di Totò Cuffaro, che da tempo provoca la concorrenza con una proposta al femminile. Certo non per vincere, ma per sparigliare le carte. Ci sarebbe anche Stancanelli, su cui FdI fa resistenza, pur essendo il suo partito.
Una tale frammentazione è quello che accade dopo cinque anni in cui il leader naturale della coalizione di centrodestra, Nello Musumeci, non ha mai condiviso la propria azione di governo con i partiti. Anzi, ha finito per trascurarli trincerandosi dietro il rapporto con gli assessori, di per sé bastevole. Ma non è così che funziona. E appena qualcuno gliel’ha fatto notare, anche in modo vigoroso, Musumeci ha adottato un’altra tecnica: il vittimismo. “Nell’ultimo anno – ha spiegato in quella, famosa, conferenza stampa – ho dovuto subire indicibili e ignobili attacchi dal fuoco amico, preoccupato più a delegittimare il presidente della Regione che ad attaccare le opposizioni”. Da qui la decisione di farsi da parte: “La Meloni ha apprezzato questa mia disponibilità, ma si è chiesta anche lei perché dovrei fare un passo indietro”.
Il motivo è fin troppo chiaro. Risultano opachi, piuttosto, i motivi per cui Ignazio La Russa, che di politica ne sa e ne mastica da decenni, faccia finta di non comprendere questa riluttanza nell’accogliere il bis; e perché la Meloni, che ha ottenuto dal centrodestra 98 collegi uninominali su 221, ri-cementando la storica alleanza con Salvini e Berlusconi, non si decida a chiudere la partita, dimostrando scarso rispetto nei confronti dello stesso Musumeci, che assieme a una folta rappresentanza all’Ars si era iscritto al suo partito nel tentativo di usarlo come un autobus. Forse ci siamo risposti da soli. Però, in fin dei conti, l’evidenza è tutto, e proprio in queste ore la Meloni starebbe pensando di comunicargli la notizia, dopo aver atteso invano che fosse il governatore a prenderne atto da solo. In cambio La Russa ha già promesso uno sgambetto a Micciché per prendersi la presidenza dell’Assemblea. E’ la Sicilia, bellezza!