Il giocattolo s’è rotto da un pezzo, ma Renato Schifani lascia che l’assessore Amata e Fratelli d’Italia continuino a pasteggiare col turismo. Lei, qualche settimana fa, è fuggita dai microfoni di ‘Fuori dal coro’ e da un giornalista che provava a chiederle conto e ragione dei debiti generati dal mostro SeeSicily. Sul tema non risponde più nessuno e pure ai Cinque Stelle – che non sono azionati da Mario Giordano ma da un po’ di naturale buonsenso – l’Ars non fornisce le dovute spiegazioni. Il presidente Galvagno s’è chiuso a riccio e non concede il dibattito che darebbe un bel po’ di spunti alla stampa e forse alla Procura della Repubblica.
Sulla vicenda non risponde Schifani, né la Amata e tanto meno Nello Musumeci: è stato durante il suo “impero” alla Regione che il Balilla s’inventò questo piano multimilionario da 75 milioni con cui avrebbe voluto aiutare gli albergatori nella fase post-Covid, e che invece ha prodotto un buco di quasi 21 milioni nelle casse regionali. Una parte è stata accertata dalla commissione Europea, che ha preteso la restituzione – in due tranche – di 10,9 milioni dichiarati “non ammissibili” (sono quelli che le strutture ricettive hanno ‘congelato’ anziché riassegnare ai turisti sotto forma di voucher per beneficiare di servizi e pernottamenti gratis); un’altra parte è stata spesa, ma non è stata certificata a Bruxelles e di conseguenza è rimasta priva di copertura finanziaria. A metterci una pezza dovrà essere l’Assemblea regionale con un altro azzardo contabile.
Ma il fatto che nessuno si degni di commentare questo sperpero – né di questo governo né di quello passato – crea un pericoloso precedente: cioè che il denaro pubblico si possa gestire in maniera dissennata e provinciale, e al contempo trarne vantaggio. Perché i milioni erogati da Messina & Co. per scopi di promozione e comunicazione sono serviti, innanzi tutto, ad acquisire punti rispetto ai grandi gruppi editoriali. E posizioni nei talk show. Oggi il vicecapogruppo di FdI alla Camera sfoggia il suo bel ciuffo una volta con Agorà, una con Parenzo, una a Rete 4. E neppure Musumeci, quello che l’antidoto alla mafia è “l’etica istituzionale della responsabilità”, proferisce verbo. E’ lui il principale responsabile dell’operato di Messina durante la scorsa legislatura, ed è lui ad averlo difeso – in maniera netta – quando su SeeSicily s’è sollevato il polverone. Con la scusa (banale) che l’azione del suo governo aveva rilanciato il turismo e migliorato i flussi (dopo il Covid ha avuto vita facile).
Oggi Musumeci, dall’alto del suo scranno al Ministero per la Protezione civile, si guarda bene dall’intervenire nelle questioni siciliane. S’è visto per la campagna elettorale di Ruggero Razza, intento a scattare foto al suo delfino. E s’è rivisto ad Enna, a fianco del Balilla, per un appuntamento alla vigilia del voto. Lui con l’espressione da maestrino, l’altro con il ghigno stampato sulla faccia. Come il bambino capriccioso che l’ha appena combinata grossa. Bisogna affidarsi alla mimica per cogliere la complicità di oggi e di ieri, perché per il resto le bocche rimangono cucite. Magari per la vergogna, oppure per questo tentativo di derubricare lo scandalo a una mera questione “d’invidia” da parte della sinistra o di certi giornalisti, che rinnegano il fondamentale apporto di SeeSicily al rilancio del brand: nelle stazioni, negli aeroporti, nelle fiere in giro per il mondo, e poi in tv, da Ballando con le Stelle agli spot su Mediaset e La7, passando per le pagine dei giornali (specie quelli del gruppo Cairo).
Nessuno s’è insospettito quando dagli uffici del Dipartimento Turismo venivano liquidati i mandati di pagamento a Raicom, Rcs Sport o Publitalia ’80. Eppure non si parla di cifrette, ma di 23,8 milioni (la ripartizione iniziale ne prevedeva poco meno di cinque). Né l’assessore al bilancio dell’epoca, in altre faccende affaccendato, si è accorto di qualcosa o ha avuto la forza (o il coraggio?) di obiettare… Figurarsi se Armao, da sempre uno spicciafaccende coi fiocchi, avesse avuto da ridire nei confronti dell’operato di un collega o del suo presidente. Con Musumeci i rapporti erano idilliaci, anzi il tradimento al centrodestra si è consumato quando il governatore dell’epoca venne privato dell’opportunità di ambire a Palazzo d’Orleans per la seconda volta. E poi con che faccia Armao avrebbe potuto opporsi allo sfacelo economico finanziario dopo aver consumato pasticci in serie, a partire dalla dichiarazione di cinque esercizi provvisori? O dell’approvazione del famoso rendiconto 2020, senza la garanzia di una “sostenibilità” legislativa?
E’ anche a loro due, a Musumeci e Armao, che Schifani deve dire grazie (con uno l’ha già fatto, nominandolo suo esperto alle questioni extraregionali) per essersi ritrovato con questa patata bollente in casa, e per averla affrontata con l’imbarazzo tipico del garzone alle prime armi, senza sapere che pesci pigliare. Aveva provato una volta a contrastare la potenza dell’apparato turistico di Fratelli d’Italia – sul caso Cannes – e fu annientato pubblicamente dagli insulti del Balilla. Al quale non rispose mai, per evitare che la sua presidenza venisse macchiata da uno scontro sanguinoso coi patrioti. E quindi rieccoci al punto di partenza: chi dirà qualcosa su questa vergogna che grida vendetta? E’ possibile rassegnarsi alle prepotenze e al pressapochismo? Quanto pesa la classe politica di Forza Italia – la nuova Forza Italia “allargata” – e quanto avrà voglia, sulla scorta della scuola di Caterina Chinnici, di fare luce su questa pagina oltraggiosa della storia siciliana più recente? Una risposta non c’è ancora, e forse non ci sarà mai.