Gli attori sono sempre un po’ bambini, gioiscono per cose all’apparenza piccole. Metti Sebastiano Lo Monaco, quasi 40 anni di palcoscenico. I teatri antichi li ha battuti tutti. Da Epidauro ad Ostia, dal teatro romano di Verona a quello di Taormina («che serata indimenticabile con i “Sei personaggi” diretti da Patroni Griffi»), dai pochi ruderi che restano di quello di Ascoli Piceno alla maestosa cavea sul colle Temenite della “sua” Siracusa. Eppure… «Eppure Segesta mi mancava. Ci sono stato da spettatore sì, non ci ho mai recitato. Mi affascina, fino a darmi una vertigine, quel panorama alle spalle della scena, che sembra invitarti a spiccare il volo su una Sicilia brulla, arsa, selvaggia, un vuoto che lascia spazio all’immaginazione». Finalmente è arrivato – anche lì, a Segesta – il momento del debutto, sabato prossimo alle 19,45, con «Iliade».
«La faccio da tanti anni, un’ora e venti in cui la racconto dall’inizio alla fine, insieme ad un quintetto d’archi che suona brani di Schubert, Schumann, Mahler e musiche originali scritte da Dario Arcidiacono. Faccio tutti i personaggi, da Priamo ad Andromaca, da Ettore ad Ulisse. La grecista Monica Centanni ha fatto quasi una riscrittura più che una riduzione. Mi accorgo ogni volta che il pubblico resta incantato, c’è chi viene in camerino perché si è sentito riportato ai tempi del liceo e chi fuori dal teatro mi ferma ringraziandomi perché dopo anni ha capito alcune cose importanti non solo sui miti che l’“Iliade” narra ma sulla natura dell’uomo. E noi ci rendiamo conto che è sempre necessario raccontare quella guerra, quella prima storia di uomini, eroi e dei dell’occidente ad essere stata cantata da un poeta».
Un breve fuori programma, sabato, Lo Monaco lo dedicherà ad Andrea Camilleri. «Fu lui a giudicarmi per l’ammissione in Accademia, a Roma. Nel 1977 aveva 52 anni, io appena 19. Mi chiese: “Lo Monaco, lei che arriva da Floridia, in provincia di Siracusa, che cosa ci ha portato?”. Immagino si aspettasse un Pirandello. Quando risposi alla commissione che avevo preparato un brano da “Edipo re” di Sofocle, con grande flemma Camilleri replicò: “Non le sembra un po’ esagerato per un ragazzo?”. Per togliermi dall’imbarazzo, la prima cosa che mi uscì dalla bocca fu: “Perché lo faccio molto bene”. Mi ammise. Penso che abbia giocato anche quell’inflessione siciliana che ancora non mi ero tolto perché un paio di volte mi accorsi che sorrideva. E comunque, negli anni dell’Accademia, non fu soltanto un grande insegnante, per me fu quasi un padre, mi aveva preso sotto la sua ala perché avevo ancora l’ingenuità del ragazzo di provincia arrivato nella Capitale. E mi è stato poi amico e consigliere durante tutta la carriera».
Da una decina d’anni, Lo Monaco è sempre più attratto dai monologhi anche se, per gran parte della stagione, va in giro con la sua compagnia. Dal mondo classico all’impegno civile e politico. «Tutto è nato dal primo libro di Pietro Grasso, lui allora era a capo della Direzione nazionale antimafia: uscì nel maggio del 2009, a giugno me lo ritrovo accanto, a Siracusa, da spettatore e gli dico che la sua storia umana e professionale, così per come l’ha scritta, è già pronta per il palcoscenico. Lui nicchia, teme che, dalle pagine alla scena, la biografia possa trasformarsi in agiografia, io insisto… insomma, l’ho preso per sfinimento. Ma avevo visto giusto: “Per non morire di mafia” l’ho replicato per anni in tutta Italia». A Spoleto pochi giorni fa ha debuttato con il nuovo «Appello ai liberi e forti», ispirato a don Luigi Sturzo, scritto da Francesco Failla, vicepresidente delle Biblioteche Diocesane Italiane. «Ho una forte matrice religiosa e facendo questo spettacolo mi sono reso conto, attraverso don Sturzo, di quanto possano essere simbiotici la vocazione cristiana e l’impegno sociale».
Ad ottobre sarà Creonte per aprire la stagione dello Stabile di Catania con «Antigone» di Sofocle, con la regia di Laura Sicignano, direttrice del teatro pubblico etneo. «Sono nato capocomico in un momento storico in cui il teatro di regia era già ben consolidato. Ma essere diretto comunque mi piace. Dare forma al pensiero di un regista è un esercizio di umiltà e professionalità che ti fa sempre bene, ti prendi una vacanza dall’essere capocomico o primattore, scopri in te anche qualità d’interprete che magari non sapevi d’avere. Ricorderò sempre quando a Siracusa, alla fine della “prima” di “Ifigenia di Aulide” in cui facevo Agamennone diretto da Federico Tiezzi, mio padre venne in camerino stupito e mi disse: “Ma che avevi stasera? Ho scoperto un attore nuovo, che non conoscevo, bravo!”».