“Fai la brava. Ti voglio bene”, furono le ultime parole che Alex disse alla sua custode, la scienziata statunitense di fama mondiale Irene Pepperberg, il loro commiato quotidiano della buonanotte. Alex era un pappagallo che aveva compiuto 31 anni quando morì nel 2007, suscitando la commozione di fan in tutto il mondo e copertine delle riviste (il New York Times gli aveva dedicato una prima pagina già nel 1999 nella sezione Science), incluso il singolo necrologio che The Economist riserva ogni settimana ad un personaggio famoso che si è distinto per qualche attività importante. Prima di morire, Alex aveva raggiunto un equivalente emotivo di un bambino di due anni, sapeva contare come uno di cinque e aveva imparato a riconoscere oltre cento parole, cinquanta oggetti diversi, sette colori, cinque forme e sapeva distinguere le cose avendo acquisito i concetti di “grande/piccolo”, “uguale/diverso”, necessari agli animali per sopravvivere in libertà.
Alex era stato scelto casualmente dalla dottoressa Pepperberg, in un’uccelleria di Chicago, tra tanti pappagalli simili a lui e non per doti particolari, proprio per dimostrare che le sue tesi sulle doti cognitive della mente degli uccelli potessero avere una valenza generale. Il suo nome derivava dall’acronimo per il progetto di ricerca, Avian Learning EXperiment, e divenne parte integrante della vita della Pepperberg e dei suoi studi rivoluzionari che misero in discussione la nozione comune, anche nel mondo dei ricercatori, che i pappagalli sono solo capaci di mimica vocale senza cervello. In un momento in cui l’etologia guardava soprattutto ai risultati ottenuti con i delfini e gli scimpanzé, la scienziata fu derisa inizialmente dal mondo accademico per i suoi studi sull’intelligenza di animali il cui cervello non è più grande di una noce e che sono geneticamente lontani dagli uomini. Ma nel corso di oltre trent’anni di ricerca in cui la Pepperberg ha lavorato dieci ore al giorno con Alex (anche se nei giorni in cui il pappagallo era di malumore questo era impossibile e lei lo capiva dal suo sguardo), mise a punto una tecnica innovativa chiamata “model rivaltechnique” in cui due umani dimostrano all’uccello ciò che deve essere appreso. Oggi questo metodo è usato per aiutare bambini con difficoltà di apprendimento.
La storia di Alex e della sua “collega” scienziata, come amava definirsi la Pepperberg per cercare di mantenere una “barriera emotiva” nei confronti dell’oggetto della sua ricerca (cosa che alla fine fu impossibile e perdere Alex fu come la perdita di una persona cara), è diventata lo spunto per un’opera di video arte esposta fino al 2 luglio al Calidarium dell’Orto Botanico dell’Università di Palermo, all’interno del progetto Radiceterna Arte Ambiente, curato da chi scrive con Ignazio Mortellaro, Eveline Wütrich, Vittorio Rappa in collaborazione con i Sistema Museale di Ateneo, la Fondazione Merz e Planeta. Si tratta di The Great Silence di Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla e la partecipazione dello scrittore di fantascienza Ted Chiang che ha sviluppato un lungo monologo interiore di un pappagallo che, nel video, abita la foresta di Rio Abajo a Porto Rico, nello stesso luogo dove si trova Arecibo, il radiotelescopio a singola apertura più grande del mondo con un diametro di oltre trecento metri.
Arecibo è stato usato per lanciare un segnale nello spazio nel 1974 per cercare altre forme di intelligenza ma non ha mai avuto risposta. Mentre scorrono immagini dell’interno e dell’estero del telescopio, immerso nella foresta dove abita una specie di pappagalli in via d’estinzione, l’uccello protagonista, dotato d’intelligenza e ironia, racconta dell’incapacità dell’uomo di ascoltare il messaggio che deriva dalla natura. Invece che cercare fuori sembra suggerire di ascoltare il suono interiore, quello che gli induisti chiamano “Om. È una sillaba che contiene al suo interno tutto ciò che è sempre stato e tutto ciò che sarà”. Un esercizio da provare passeggiando per i viali dell’Orto Botanico di Palermo oggi, tra l’altro, abitato dalla più grande popolazione di pappagalli tropicali della Sicilia, scappati dalle gabbie dirette nei negozi per animali e riprodotti a migliaia grazie al clima favorevole e alla possibilità di nidificare nei tronchi dei grandi ficus.