I magistrati contabili hanno passato al setaccio soltanto 66 voci sulle oltre 8.300 contenute nell’ultimo rendiconto della Regione (anno 2019). E ci hanno trovato 13 errori, per un valore complessivo di 319 milioni di euro. Significa che nel Bilancio sono presenti voci non veritiere: i cosiddetti “residui attivi”, cioè somme iscritte in entrata e mai incassate. Risalenti, secondo i tecnici dell’assessorato all’Economia, agli anni 2016 e 2017, quando al governo c’era Rosario Crocetta. Ma il punto è un altro: che in questi 3-4 anni che ci separano dalla preistoria politica – Crocetta appunto – nessuno è riuscito a individuarle. O, se l’ha fatto, non le ha cancellate, come invece richiesto in maniera pedissequa dalle ultime norme di contabilità pubblica (il decreto legislativo n.118 del 2011).
Non è un elemento da poco. Per due motivi: da un lato, poiché l’esame della Corte dei Conti è avvenuto su un campione ristretto di voci, significa che lo scompenso (il buco) potrebbe essere di gran lunga superiore; dall’altro, e qui veniamo più all’attualità, il ritardo nelle operazioni di parifica da parte dei magistrati contabili – ammesso che si concluda con esito positivo – rischia di compromettere uno dei capisaldi dell’ultimo accordo Stato-Regione. In cui è espressamente vietata la proroga dell’esercizio provvisorio oltre il 28 febbraio. Segno che per quella data serve un Bilancio di previsione. Anche se, come fa notare Luigi Sunseri, il deputato regionale del M5s, esiste “la concreta impossibilità di approvare la Finanziaria in mancanza della parifica della Corte dei Conti del rendiconto precedente”. Non onorare questa parte dell’accordo, però, rischia di avere per la Sicilia conseguenze addirittura più infauste: cioè la revoca dell’accordo stesso e la necessità di provvedere alla spalmatura del maxi disavanzo in tre anni, e non più in dieci. Sarebbe la fine. Il default.
E se siamo a un passo dal tracollo la colpa è prevalentemente dei controllori. Alla Regione, esiste un assessore all’Economia che ha sempre minimizzato le questioni del suo tempo – pare che la vicenda dei “residui attivi” non lo preoccupi: vanno “semplicemente” cancellati – e fatto riferimento al passato per giustificare le nefandezze dei bilanci. “Voler confondere con l’argomento che si tratterebbe di residui 2016 e 2017 – ha tuonato però Antonello Cracolici, ex assessore all’Agricoltura proprio con Crocetta – è la dimostrazione che non sanno di cosa parlano. Il riaccertamento dei residui viene fatto ogni anno e quindi vorrebbe dire che da tre anni hanno continuato a fare riaccertamenti irregolari. La cosa paradossale è che a questo punto il disavanzo del 2019 non si conosce, l’unica cosa certa è che potrà solo aumentare rispetto a quello coperto con il bilancio 2020”. Un disastro di cui anche Musumeci, prima o poi, dovrà prendere atto.
Per ora il governatore si è limitato a una lettera, recapitata per conoscenza anche ad Armao, in cui striglia i dirigenti generali degli assessorati che hanno contribuito allo scivolone multimilionario. Ha detto che ricercherà i colpevoli di un episodio che ha valenza sotto il piano amministrativo e politico. Ma non si sofferma su un dettaglio, svelato dal deputato Sunseri: già dal primo dicembre la Corte dei Conti aveva comunicato alla Regione il buco da oltre 300 milioni. Eppure, nonostante tutto, si è atteso il 26 gennaio per ritirare il rendiconto in autotutela. In mezzo la firma dell’accordo (al buio) con Roma, in cui si garantisce il rispetto di una serie di “vincoli” (come un risparmio complessivo da 40 milioni nel 2021) che difficilmente troveranno applicazione. Ecco il patatrac: una serie di bugie e false aspettative che hanno finito per immolare i siciliani sull’altare dei conti di una Regione malata. Che avrebbe bisogno di curatori fallimentari, e non di semplici assessori.
Armao l’assessore al Bilancio l’ha fatto più volte. La prima con Raffaele Lombardo, dal 2010 al 2012. Ma non si può dire sia stato molto fortunato. Fu durante la sua prima esperienza in via Notarbartolo che decise, a un passo dallo striscione del traguardo, di bloccare i pagamenti a Sicilia Patrimonio Immobiliare, una società partecipata al 75% dalla Regione, che si stava occupando della mappatura del patrimonio immobiliare dell’ente (operazione che, ancora oggi, nessuno ha mai più ripetuto). Quella mossa, che fu alla base di lodo arbitrale da 12 milioni, ingrossò il portafoglio di Ezio Bigotti, un imprenditore di Pinerolo che in passato aveva usufruito delle prestazioni dell’avvocato in veste di consulente. Da capo della Spi – in rappresentanza del socio privato – aveva già ottenuto fatture per 80 milioni, consegnando in cambio un vecchio server, a lungo sotto chiave, e oggi ritenuto inservibile. Un lavoro fatto malissimo, in cambio di enormi capitali di cui si sono perse le tracce, ma che è facile ricollocare in Lussemburgo, dove le società di Bigotti coinvolte nell’operazione-censimento, avevano la sede fiscale. Uno scandalo di proporzioni enormi su cui le indagini della magistratura – non solo quella contabile – sono tramontate troppo in fretta, e da cui lo stesso Armao si è tirato repentinamente fuori, durante un’audizione in commissione Antimafia, spiegando, piuttosto, di essere stato lui a disarcionare la presa di Bigotti sui conti esausti della Regione, sparigliando l’ultima fattura.
Ma venendo ai giorni più vicini a noi, l’esperienza-bis di Armao all’Economia, è stata assai turbolenta. E si è aperta con un’imbarazzante vicenda legata al pignoramento del suo stipendio (i 6 mila e passa euro da assessore) a suo carico da parte della compagna (di vita e di partito) Giusy Bartolozzi, magistrato in aspettativa della sezione fallimentare del tribunale di Palermo. Una vicenda fatta emergere (pure!) dal Corriere della Sera, che in un articolo di Gian Antonio Stella citava il ricorso al Csm da parte dell’ex moglie di Armao, Carmela Transirico, secondo la quale, l’ex marito avrebbe ordito un piano per “blindare i beni con la nuova compagna deputata” al solo scopo di negare gli alimenti dovuti, dopo il divorzio, a lei e alla figlia. Armao ha sempre ridotto la questione alla sfera personale, che nulla ha a che vedere con la politica. In effetti…
Ben più pesante, invece, il contributo sui conti della Regione. E il giudizio che la Corte dei Conti – in sede di parifica del rendiconto 2018 – darà al suo lavoro: “L’esame comparato dai principali saldi risultanti dai documenti costituenti il ciclo del Bilancio 2018 della Regione siciliana – scrivevano i giudici contabili a dicembre 2019 – dimostra l’inefficacia delle politiche pubbliche rispetto ai vincoli di riduzione del deficit e del disavanzo di amministrazione”. E ancora: “Risulta chiara l’inconsistenza della manovra finanziaria”. In altre parole, “la Regione non è stata in grado di raggiungere nemmeno gli obiettivi “minimi” che essa stessa si era data con la legge di stabilità”. Addirittura, in sede di pre-adunanza pubblica, il 5 dicembre 2019, il procuratore generale Aronica spiegava che “a più riprese questa sezione ha tentato di ottenere riscontro da parte dell’amministrazione sulla quantificazione dei fondi regionali, non ottenendo alcuna risposta”. E che “il peggioramento del disavanzo indica, non solo che non si è proceduto ad un efficace recupero delle quote applicate all’esercizio 2017, ma che non sono state recuperate neanche le quote applicate all’esercizio 2018”. Un dramma economico su cui Musumeci non ha mai fatto ammenda. Figurarsi l’assessore Armao. Uscito intonso da quel suicidio contabile – accreditato alle “allegre gestioni” degli ultimi 25 anni – che ancora oggi influenza le scelte della Regione in materia economica e la costringe ad “accordi capestro” con Roma per non ritrovarsi sul groppone indebitamenti e blocco della spesa.
Armao, fra l’altro, è il medesimo assessore che pur conoscendo i disastri della casse regionali, al rientro dalle vacanze estive del 2019 (ben prima della parifica della Corte), non mise al corrente l’assemblea regionale, pronta a procedere con altri collegati di spesa. E che invece fu costretta a fermarsi, facendo esplodere l’ira del presidente Micciché, che in aula denunciò delle “responsabilità omissive” precise: “Se il parlamento fosse stato avvisato delle problematiche finanziarie già nel mese di giugno, quando la Corte dei Conti le ha fatte emergere, piuttosto che andare appresso ai collegati avremmo potuto esaminare altre leggi”. A seguito di quel periodaccio, fatto di debiti e incertezze, in cui la Regione cambiò in corsa il rendiconto a causa di un disallineamento da 400 milioni (sembra oggi), Musumeci decise in un certo senso di commissariare il ruolo dell’assessore, affidando un riaccertamento straordinario dei conti, una sorta di operazione verità, alla Kibernetes (una ditta esterna). E poi chiedendo all’ex assessore al Bilancio del comune di Caltagirone, Massimo Giaconia, di individuare eventuali diseconomie. Tentativi di cui, tuttora, non si conoscono i risultati. Evidentemente – dimostra l’ultimo buco – non sono serviti a granché.
E’ veramente difficile districare tutti i nodi delle ultime gestioni. La cosa certa è che non abbiamo i conti in ordine. E che ogni qual volta si palesa una necessità d’investimento, la Regione deve chiedere il permesso a qualcun altro. Grazie alla spalmatura concessa da Roma nei prossimi dieci anni, la Sicilia potrà evitare di accantonare da subito la prima rata del deficit (421 milioni), liberando così delle risorse aggiuntive nel prossimo bilancio. Sempre che si farà… Ma questa volta Armao dovrà essere migliore dell’anno scorso, quando predispose, assieme agli uffici, una Finanziaria di guerra che non è ancora entrata in vigore. Una potenza di fuoco da oltre un miliardo e mezzo di euro, vincolata però alla rimodulazione di risorse extraregionali, la cui procedura si è rivelata un inferno. Ne è prova che gli unici soldi sbloccati ed erogati alle imprese sono quelli del Bonus Sicilia, per 125 milioni, che il comitato di sorveglianza UE aveva “autorizzato” a settembre. Gli altri, passati al setaccio del Ministero per la coesione territoriale solo a dicembre, sono tuttora in ghiaccio. Tra questi, gli aiuti alimentari per circa 70 milioni (dei cento promessi da Musumeci a fine marzo 2020), che avrebbero dovuto alleviare le difficoltà delle famiglie indigenti di fronte alla pandemia.
E’ proprio il virus, negli ultimi dieci mesi, ad aver rivelato l’insussistenza finanziaria della Regione siciliana. Se da un lato è risaputo che gli unici veri ristori sono di matrice statale, Palazzo d’Orleans non ha fatto nulla per accelerare la propria parte di spesa: c’entrano le procedure, è ovvio, ma soprattutto il metodo e chi l’ha scelto. C’entra pure chi s’è macchiato del peccato originario, stabilendo uomini e mansioni. C’entra, infine, un assessore che mai nessuno, tranne Micciché, s’è sognato di mettere in discussione. Un assessore che Berlusconi aveva indicato come papabile governatore e Palermo si appresta ad accogliere nella lista dei papabili sindaci. Un politico senza troppi voti, ma sempre pronto all’uso.