A più di un mese e mezzo dall’approvazione della Finanziaria di cartone all’Ars, siamo ancora alla fase dell’interlocuzione tecnica. E’ l’espressione utilizzata dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Peppe Provenzano, che dopo l’incontro di mercoledì scorso con il presidente della Regione, Nello Musumeci, e il suo assessore alle Infrastrutture, Marco Falcone (per parlare di viabilità secondaria e trasporto aereo), ha tirato le orecchie al governo regionale, da cui si aspetta – oltre alla collaborazione istituzionale che fa sempre piacere – “atti concreti per i siciliani”.
Ma l’albero è spoglio e di frutti manco a parlarne. La Sicilia è l’unica a non aver inviato al Ministero il piano della riprogrammazione dei fondi comunitari, utile a sbloccare le somme destinate all’emergenza. Sebbene il vicepresidente e assessore all’Economia, Gaetano Armao, abbia subito provato a disarcionare il clima di sfiducia attorno all’operato della Regione: “Gli incontri con il dipartimento della Coesione si svolgono da oltre 20 giorni – ha detto al ‘Giornale di Sicilia’ – e mercoledì, dopo il confronto tra presidente e ministro della scorsa settimana, c’è stata una riunione tra il capo dipartimento della Coesione con gli staff di Provenzano e Musumeci e le autorità di gestione sulla utilizzazione delle risorse europee per le misure di contrasto agli effetti economici della pandemia, individuando le risorse”.
Ma andiamo al nodo della questione: la Finanziaria. Quella approvata all’Assemblea regionale a inizio maggio, si è rivelata fin qui una Legge di Stabilità “vuota”, piena di norme spot. Avrebbe dovuto fornire risposte immediate alla crisi causata dal Coronavirus e per questo erano state predisposte misure a favore di lavoratori e imprese, ma anche di Comuni e operatori del turismo. Ma, in quella sede, risultò necessario attingere a risorse extraregionali, cioè soldi “parcheggiati” alla Regione che non sono, però, nell’immediata disponibilità di palazzo d’Orleans. Si tratta, infatti, di fondi comunitari e fondi Poc, che andavano stornati dal capitolo “investimenti” (per la maggior parte) e restituiti alla spesa corrente (causale: emergenza Covid-19). L’iter previsto per la rimodulazione è parso complesso sin dall’inizio, perché bisognava condurlo su due direttrici: Roma e Bruxelles. Ma adesso pare quasi inestricabile, dato che la Regione non ci avrebbe neppure messo mano.
Se lo Stato ha avuto la forza di ottenere dall’Europa la sospensione del Patto di Stabilità, con la possibilità di rendere più flessibili le linee di spesa, Palermo non è ancora riuscita a ottenere da Roma una riprogrammazione delle risorse utili ad attuare le misure più urgenti della Finanziaria. A rivelare l’arcano – i deputati regionali del Pd avevano lanciato dei segnali di fumo – è stato Provenzano in una delle tante interviste rilasciate in questi giorni: “Ad oggi la Sicilia è l’unica regione che ancora non ha predisposto l’accordo con il mio ministero per la riprogrammazione dei fondi strutturali sull’emergenza – ha detto il ministro di Milena, in provincia di Caltanissetta, a ‘La Sicilia’ -. Un’opportunità da dieci miliardi a livello nazionale, che tutte le altre Regioni hanno colto. Sarebbe un vero peccato, anche per il basso grado di assorbimento di risorse dei fondi strutturali, che questa chance non venisse sfruttata”. “Da parte del presidente Musumeci – ha aggiunto l’esponente dell’esecutivo Conte – c’è stata la disponibilità a superare le criticità. Spero diventi l’impegno di tutto il governo regionale, perché la Sicilia non può restare indietro”.
Mancano i decreti attuativi delle norme inserite in Finanziaria, mancano i bandi e gli avvisi. Fin qui il buco nell’acqua è clamoroso: ad esempio, non si è potuto onorare il “patto” con i lavoratori, le imprese e le cooperative, che speravano di poter accedere ai prestiti a fondo perduto, attraverso la sponda di Irfis, Ircac e Crias, per riemergere dal lockdown. Non si è ancora visto il bonus da mille euro promesso agli operatori sanitari schierati in prima linea contro il virus; né il fondo perequativo da 300 milioni per i Comuni, utile a compensare la sospensione delle imposte comunali, accordata dai sindaci ai cittadini; e non è stata ancora avviata la macchina del turismo – per circa 75 milioni – che prevede la possibilità di pagare parte del soggiorno (una notte ogni tre) ai turisti che soggiornano sull’Isola e calmierare il costo dei voli per la Sicilia. Messina ha detto che la settimana prossima verrà presentato il piano. Queste sono soltanto alcune delle misure rimesse in discussione.
Ci sarebbero in stand-by anche i 70 milioni restanti per garantire l’assistenza alimentare alle famiglie bisognose: i 100 milioni annunciati il 29 marzo da Musumeci, e in larga parte non ancora erogati ai comuni, erano stati portati a 200 dal buon cuore dei deputati di palazzo dei Normanni, con un articolo ad hoc della Legge di Stabilità. Si tratta di attingere ai fondi Poc (a cofinanziamento statale), ma anche per questa fattispecie – parola di Ministro – non sono ancora state prodotte le carte. Sono documenti che Provenzano, poi, dovrà portare all’attenzione del Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica. E questi passaggi burocratici, da un livello all’altro, esigeranno altro tempo. Per cui è ovvio domandarsi: questi soldi verranno mai “liberati”? E quando? E’ qui che interviene Armao, cercando di buttare acqua sul fuoco: secondo l’assessorato all’Economia, una prima tranche del piano, pari a 400 milioni di euro, è già a Roma. Ma la Finanziaria vale circa 1,5 miliardi, per cui ce n’è strada da fare.
Tra Stato e Regione ci sono una miriade di situazioni in sospeso: l’ultima riguarda il “nullaosta” negato da parte delle Regioni al decreto Rilancio, che prevede un contributo da 1,5 miliardo e mezzo (1 per quelle a statuto speciale) per ovviare alle minori entrate. Secondo Armao e gli altri governatori, che hanno bloccato tutto, non basta neanche lontanamente: “Le Regioni non possono finanziare in deficit le funzioni che svolgono, altrimenti vanno in disavanzo”, ha spiegato l’assessore regionale al Bilancio. Che poi ha rincarato la dose: “Lo Stato ha adottato soluzioni eguali per l’intero territorio nazionale in un Paese diviso socialmente ed economicamente. E così le regioni del Sud e specialmente le isole pagano un prezzo molto più alto per la carenza di misure adeguate e specifiche”.
Lo Stato, da par suo, non ci ha riconosciuto le norme d’attuazione statutarie – un elemento utile a liberare “risorse aggiuntive” e rivendicato da Armao in questi primi due anni e mezzo di legislatura – e ormai da un paio d’anni, al Ministero dell’Economia, va avanti un pressante negoziato in cui Armao chiede uno slittamento dei termini sulla prima rata del disavanzo (magari al prossimo anno) e l’esenzione sul contributo alla finanza pubblica (o uno sconto sostanzioso) che, però, Roma non sembra voler concedere. Il governo Conte, però, ha subito risposto presente quando bisognava mettere la Sicilia al riparo dal default, garantendo la dilazione in dieci anni (anziché in tre) del disavanzo mostre da due miliardi. In cambio di un pacchetto di riforme (tra cui la riduzione della spesa corrente e l’eliminazione degli sprechi) che la Regione avrebbe dovuto produrre entro 90 giorni, pena l’invalidazione dell’accordo. A causa del Covid tutto è stato rimandato all’anno prossimo.
L’unica strada è collaborare. Provenzano, che qualche giorno fa ha dato prova di efficienza istituendo le zone economiche speciali per la Sicilia, però sembra dubitare dell’efficienza della Regione: “Noto un rischio, che non voglio attribuire alla volontà politica di nessuno, ma che c’è – ha dichiarato a ‘Live Sicilia’ -. Mentre prima in Sicilia si chiedeva tutto a “mamma Regione”, ora ogni problema sembra rimandato al governo nazionale. La Regione ha competenze importanti, di cui peraltro è gelosissima, come dimostra l’ampio contenzioso costituzionale. Collaborazione sì, dunque. Nel rispetto delle proprie responsabilità”.
Fare i compiti a casa sarebbe un ottimo viatico per garantirsi la fiducia del governo nazionale e sbloccare la Finanziaria. All’orizzonte, però, si profila un nuovo rischio enorme: esaurire l’emergenza senza aver fatto nulla di concreto per contrastarla. Ultimo inciso d’obbligo: all’indomani dell’approvazione della Legge di Stabilità, il governo promise un ddl Ricostruzione da 400 milioni circa. Notizie?