Le elezioni regionali in Sicilia sono ancora molto distanti (2022). E per questo il giochino non regge. Però vale la pena farlo. Soprattutto alla luce del dato più clamoroso: la perdita di consenso del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni calabresi. Prendendo come riferimento le Europee di qualche mese fa (si era andato a votare il 26 maggio), i grillini scendono dal 26,7% al 6,2%, perdendo oltre venti punti percentuali (mentre il candidato Aiello, grazie al sostegno di una lista civica, scollina il 7). Il voto locale è distantissimo voto d’opinione: lo sanno tutti. Ma venti punti non sono cinque o sei, e nemmeno dieci. Da otto mesi a questa parte sono cambiati i presupposti, così come i quadri dirigenti e le motivazioni. Il M5s ha quasi giocato a perdere, se vogliamo dirla tutta, tanto che Di Maio, prima del clamoroso passo di lato a quattro giorni dal voto, voleva starsene in tribuna e attendere da lì i prossimi stati generali del prossimo marzo. Poi ci ha pensato la piattaforma Rousseau – ritardandone la resa – a sancire la delusione numerica più roboante, da Roma in giù, del Movimento 5 Stelle.
Che al Sud ha sempre avuto la sua roccaforte. Ma come ha ben detto la Meloni, parlando dell’avvicinamento delle destre in Emilia-Romagna, le roccaforti non esistono più. Vale per la Calabria, e magari anche per la Sicilia, dove i grillini stanno rischiando seriamente di spaccarsi pure all’Assemblea regionale. Il vento è cambiato e la bora è insopportabile. E’ impossibile sapere cosa potrebbe succedere ai Cinque Stelle se si votasse oggi: senza Di Maio, con Cancelleri al governo nazionale e con un gruppo in frantumi fra oltranzisti e responsabili. Bisognerebbe incastrare troppi pezzi, e la tesi risulterebbe comunque ardita. Ma il calo è sintomatico e sta nei numeri: anche alle Europee, in Sicilia, il Movimento è retrocesso pur confermandosi primo partito (ha preso il 31,2% rispetto al 34% di “Cancelleri presidente” nel 2017, ma alle Politiche era quasi al 50). E nemmeno le prossime Amministrative, che per i grillini, a parte rare eccezioni (Caltanissetta e Castelvetrano) sono quasi sempre risultate indigeste, potranno diradare la nebbia.
Comunque non è solo per loro che tira una brutta aria. Il Partito Democratico in Calabria ha preso il 15%, contro il 18% di qualche mese fa (in Sicilia, tra Regionali ed Europee, è reduce dalle peggiori prestazioni di sempre). La Lega – che è vero, non si era mai presentata alla competizione regionale – è scesa dal 22 al 12%, rimanendo in scia alla povera Forza Italia. L’unica a confermare il trend di crescita, di mezzo punto rispetto alle Europee, è Fratelli d’Italia. Ma il dato che meriterebbe una valutazione a parte, e che tuttavia verrà confinato al “già si sapeva”, è quello relativo all’affluenza: il 43%, a dispetto del 39% di cinque anni fa, conferma che siamo di fronte a una regione eterodiretta. Eterodiretta da parte di chi al voto non si presenta nemmeno.
In Sicilia, al momento, e senza sondaggi alla mano, appare improponibile un confronto (ad esempio) fra le ultime Europee e le Regionali, quando la Lega e la Meloni, che corsero appaiate e presero appena tre seggi all’Ars, misero insieme il 5,65%. Oggi rappresentano circa il 30% dell’elettorato siciliano “attivo”. Mentre Forza Italia, anche rispetto alla Calabria, è il partito che si avvicina più alla realtà: in difficoltà, ma non in caduta libera come è avvenuto, ad esempio, in Emilia. Rappresenta l’ultimo avamposto di centrodestra moderato che ancora resiste ai tentativi di Salvini di fagocitarlo alle urne e nei palazzi. I berluscones, nella corsa per Bruxelles, hanno preso il 17% (ma nell’Isola c’erano dentro i centristi d’ogni tipo, da Romano all’Udc), mentre in Calabria – con lo stesso schema – si erano fermati al 13%. E’ un elettorato che resiste alla voglia smodata dei sovranismi, di ridurre la dialettica politica a una guerra di tweet (e per questo appare tanto fuori moda).
Certo, si votasse oggi, la maggioranza di Musumeci avrebbe una corporatura più sana e più robusta – basta vedere cosa succede all’Ars – e magari più spostata a destra. E il M5s, chissà, non sarebbe il primo gruppo parlamentare (con venti deputati). Ma per ipotizzare queste conclusioni non serviva la Calabria, e nemmeno una sfera di cristallo.