Scuola, che Dio ci aiuti

Il ritorno in classe in Sicilia è previsto per il 14 settembre. Ma gli istituti in difficoltà hanno ricevuto una deroga di 10 giorni

“Tenete a bada quelle rime buccali”. Ci sembra già di sentire il vocione della prof., che rimbomba nell’aula sorda e semivuota, per imporre agli alunni di stare a distanza. Un metro almeno. Nella nuova scuola i baci sono banditi. E il canto pure: “Se c’è un positivo in un coro ne infetta 50”, ha spiegato il dottor Crisanti, direttore di Microbiologia all’ospedale di Padova. “Le goccioline hanno un raggio di ricaduta di due metri, e con il canto può aumentare”. Nelle linee elaborate negli ultimi mesi dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Comitato tecnico scientifico e dal Ministero della Salute, un capitolo abbondante, forse il più importante, è dedicato al distanziamento interpersonale. E’ solo mantenendo la distanza che si potrà evitare, ad esempio, di indossare la mascherina.

Bambini e ragazzi dovranno metterla per andare a scuola, nei corridoi, durante gli spostamenti nelle aule, non in mensa o nell’ora di ginnastica. Potranno abbassarla durante le lezioni se viene rispettata la distanza di un metro tra i banchi e se sono fermi o seduti. E’ questa l’indicazione del Cts, che però si spinge oltre. Nella scuola primaria “per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (ad esempio il canto)”. Nel caso della secondaria, dunque medie e superiori, valgono le stesse indicazioni. Ma per rimuovere la mascherina deve anche esserci una “situazione epidemiologica di bassa circolazione virale”, altrimenti sarà obbligatoria sempre. Il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha promesso di distribuirne 11 milioni al giorno per tutta Italia. Undici milioni. Come farà?

Nel frattempo la scuola riparte. Manca una settimana. Con qualche eccezione: nella provincia autonoma di Bolzano la campanella è risuonata oggi. Alcune Regioni, come la Puglia, la Calabria e l’Abruzzo, ricominciano il 24, dopo il referendum che occuperà buona parte degli edifici scolastici per le operazioni di voto. Si comporterà più o meno allo stesso modo la Sicilia. Dopo il primo decreto dell’assessore all’Istruzione Roberto Lagalla, che fissava la possibilità – solo per gli istituti sede di seggi elettorali, cioè il 40% del totale – di poter posticipare l’avvio delle lezioni, la deroga ha riguardato un po’ tutti: “Le scuole in Sicilia riapriranno il 14 settembre. Diamo, comunque, la facoltà ai responsabili di istituto, se non ci fossero le condizioni minime di sicurezza, di poter posticipare, nell’ambito dell’autonomia scolastica, l’avvio fino al 24 settembre. Pur rispettando i duecento giorni minimi di lezione”, ha detto il presidente della Regione, Nello Musumeci, al termine dell’ennesima riunione operativa con la task force diretta da Elio Adelfio Cardinale.

Dieci giorni in più non basteranno. Soprattutto per i lavori di messa in sicurezza di alcuni edifici, finanziati da interventi statali, che rischiano di prolungarsi ben oltre la data di avvio delle lezioni in presenza. Ma potranno tornare utili per dotare alcune aule, chiaramente non tutte, dei famosi banchi monoposto – alcuni con le rotelle – che il Ministero dell’Istruzione ha iniziato a distribuire su scala nazionale. Nell’Isola ne sono stati richiesti 400 mila. I primi 849, già assemblati, sono stati introdotti venerdì in alcune scuole di Corleone. Ma c’è anche il risvolto della medaglia: bisognerà svuotare le aule, in tempi celeri, dei vecchi banchi per due persone. In Sicilia parliamo di circa 200 mila tavoli che già dalla prossima settimana verranno trasferiti: “L’esercito – osserva a Repubblica Cardinale, della task force – metterà a disposizione le proprie caserme e gli spazi liberi. In alcuni casi, poi, ci sono gli accordi con le singole istituzioni, ad esempio l’Arcidiocesi di Monreale”. Non è tutto: bisognerà, ovviamente, organizzarsi con il trasporto. Le istituzioni scolastiche già fanno appello alla Protezione civile. I banchi in cattive condizioni, inoltre, dovranno essere smaltiti, con altre spese a carico dei Comuni. Finiranno in discarica come rifiuti ingombranti.

Ma il tema delle aule è quello più sensibile. Rischia di determinare nuovi schemi di socialità. Perché una cosa è certa: dovendo garantire un metro fra i ragazzi, non potranno più esserci classi di 25 o 30 alunni. E quindi le soluzioni sono un paio: trovare altri locali, o effettuare i doppi turni. La Regione sta lavorando sulla prima, e infatti ha firmato un protocollo con la Cesi (la conferenza episcopale siciliana) che si impegna fornire in comodato d’uso alcuni spazi che appartengono alle parrocchie. In alternativa, è pronto l’accordo con le scuole paritarie per l’utilizzo delle aule libere. La Cgil a Palermo ha proposto di “usare gli immobili sotto confisca di via Lussemburgo” e altri locali “tolti alla mafia”. Nel corso dell’ultimo incontro, ha spiegato l’assessore Lagalla, “è emerso che necessitano circa 800 aule. Soprattutto nel primo ciclo delle scuole dell’infanzia. In particolare nelle aree metropolitane e nel Catanese”.

Da qui l’idea, da parte di una delle scuole più grandi di Catania, l’istituto Cannizzaro, di scaglionare gli ingressi: i primi due giorni toccherà soltanto agli alunni delle prime elementari. I ragazzi, inoltre, verranno suddivisi in due turni: il primo dalle 8 alle 10.15, il secondo dalle 11.15 alle 13.30. I professori terranno la stessa lezione a distanza di un’ora. Durante il “buco” gli ambienti verranno sanificati. L’insegnamento si completerà nel pomeriggio con la solita didattica a distanza. I “doppi turni” verranno effettuati anche nei centri più piccoli, dove è molto difficile reperire edifici extra. A mancare sono 10 mila aule, specialmente al Sud. Secondo l’ultimo monitoraggio del Ministero, effettuato a Ferragosto, 150 mila studenti sarebbero (potenzialmente) a spasso.

Anche le famiglie dovranno contribuire alla ripartenza. L’obiettivo è ridurre al minimo le occasioni di contagio. Per questo, ogni mattina, a casa, dovranno misurare la temperatura ai propri figli: se supera i 37.5° e se si hanno sintomi influenzali compatibili con il virus (dalla tosse, all’affanno, dalla diarrea ai dolori muscolari) non si potrà andare a scuola. I genitori dello studente devono comunicare l’assenza scolastica per motivi di salute e informare il medico di famiglia o il pediatra.  Nel caso in cui i sintomi si manifestino direttamente a scuola, il referente scolastico per il Covid-19 (una figura introdotta alla bisogna) deve telefonare ai genitori. L’alunno va ospitato in una stanza dedicata o in un’area di isolamento. Nel caso in cui si decida di sottoporlo al test, e questo risulti positivo, si avvia la ricerca dei contatti “stretti” – che saranno posti in quarantena per 14 giorni – e le azioni di sanificazione straordinaria della struttura scolastica nella sua parte interessata. Per il rientro a scuola bisognerà attendere la guarigione clinica (cioè la totale assenza di sintomi). La conferma di avvenuta guarigione prevede l’effettuazione di due tamponi a distanza di 24 ore l’uno dall’altro.

La valutazione dello stato di contatto “stretto” è di competenza delle Asp. Se un alunno/operatore scolastico risulta positivo, l’azienda sanitaria valuterà di prescrivere la quarantena a tutti gli studenti della stessa classe e agli eventuali operatori scolastici esposti che si configurino come contatti stretti. La chiusura di una scuola o parte della stessa dovrà essere valutata, invece, in base al numero di casi confermati, di eventuali cluster e del livello di circolazione del virus all’interno della comunità-scuola. Un singolo caso confermato non dovrebbe determinare la chiusura della scuola, soprattutto se la trasmissione nella comunità non è elevata. Ma per ovviare a eventuali stravolgimenti, che comporterebbero una trafila immensa (i risultati dei tamponi, spesso, arrivano nell’arco di 48 ore), alcune Regioni – fra queste non compare la Sicilia – hanno deciso di sperimentare i test rapidi, gli stessi utilizzati negli aeroporti, che però garantiscono un risultato entro un quarto d’ora. Non sono perfetti, nel senso che rilevano le positività con “carica virale alta”, ma costano meno dei tamponi tradizionali e sono facilmente reperibili. Inoltre, i soggetti con bassa carica virale sono meno contagiosi. Basterà a convincere le famiglie?

Mentre nei giorni scorsi si è trovato l’accordo sul trasporto pubblico – sarà garantita la capienza dell’80% all’interno degli scuolabus, ma dovranno esserci dei pannelli separatori fra i viaggiatori – resta in dubbio un ultimo aspetto: quello riferito ai docenti. Sulle 84.808 le cattedre di ruolo autorizzate a livello nazionale, ne sono state coperte solo il 25-30% per mancanza di candidati nelle graduatorie.  Così si è proceduto alla “chiamata veloce” – terminata il 2 settembre – in cui i docenti con i titoli per entrare di ruolo potevano fare domanda da altre regioni. In tempi normali, questo avrebbe comportato un esodo di massa dalle Regioni del Sud a quelle del Nord. Adesso, invece, è difficile immaginarlo. Alla Sicilia, fra l’altro, è stato garantito un aumento d’organico pari a 3.500 docenti. L’ultimo appiglio sono i supplenti (saranno circa 200 mila, alla fine), anche se le graduatorie sono risultate zeppe di errori che andrebbero corretti. A tutto questo si aggiungono i lavoratori “fragili”, che meritano una tutela da parte dello Stato (soprattutto in un periodo di pandemia): inizialmente si parlava di 400 mila persone “dispensate” dal servizio, ma quello è solo il numero degli over 55, che solitamente sono più esposti. Ma non basta l’età a definire il rischio.

Secondo l’ultima circolare del Ministero della Salute, infatti, il concetto di fragilità “va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto”. Fra le patologie maggiormente di rilievo sono state individuate le “malattie cronico-degenerative a carico dell’apparato cardiovascolare, respiratorio, renale e malattie dismetaboliche” o “comorbilità di rilievo, quali quelle a carico del sistema immunitario e quelle oncologiche”. Valutate le mansioni del lavoratore il medico “esprimerà il giudizio di idoneità fornendo, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per la salute del lavoratore o della lavoratrice per fronteggiare il rischio di Sars-Cov-2, riservando il giudizio di non idoneità temporanea solo ai casi che non consentono soluzioni alternative”. Le visite devono essere svolte dal medico competente, laddove le scuole ne abbia individuato uno, o dall’Inail. Non c’è spazio per i furbetti.

Tra le ultime “scocciature”, qui in Sicilia, ci sono i 100 mila test sierologici a cui – su base volontaria – dovrà sottoporsi il personale docente e amministrativo. Ma i kit sono arrivati lo scorso 27 agosto e buona parte non è stata ancora distribuita. Per di più, molti medici di famiglia non hanno aderito all’iniziativa dell’assessorato alla Salute. Chi vuole effettuare il test – utile soltanto a capire se sono stati sviluppati gli anticorpi al Covid – sarà costretto a una cosa contro il tempo o, in alternativa, a effettuarlo a proprie spese. Infine, si resta in attesa delle 2.500 unità di personale Ata, che si occuperanno della sanificazione degli ambienti. Un popolo in missione. Lo ha detto anche la Ministra Azzolina: “Quest’anno faremo la storia”. I presupposti, però, mancano.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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