La passione di Leonardo Sciascia per le incisioni era forte e profonda. Xilografie, litografie e, soprattutto, acqueforti, hanno influenzato la sua opera e la sua vita. Per questo, nel 1998 è stato istituito Il Premio internazionale Leonardo Sciascia Amateur d’estampes. Biennale internazionale di grafica d’arte fondata dall’associazione Amici di Leonardo Sciascia e dalla Civica Raccolta di Stampe Achille Bertarelli di Milano. Il premio, negli anni, si è affermato come uno dei più importanti appuntamenti della grafica d’arte contemporanea. E a Palermo, dal 3 al 29 maggio, Palazzo Belmonte Riso, ne ospita la nona edizione, con l’esposizione di diversi artisti.
Su Sciascia scrittore e politico è stato scritto davvero di tutto. Sull’uomo appassionato di opere d’arte molto meno. Per accorgersi, però, di quanto l’intellettuale fosse attento all’arte, basterebbe leggere alcuni tra i suoi scritti pubblicati tra il 1964 e il 1987. Scritti rivolti, in particolare, ad artisti siciliani o, in qualche modo, legati all’isola.
Si tratta di interventi e articoli apparsi su periodici locali e nazionali. Ne ricordiamo due per tutti: uno su Antonello Da Messina, Il maestro de Il Trionfo della Morte e un altro sull’annosa questione delle influenze di Caravaggio nell’arte siciliana, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento.
Nonostante la sua predilezione per Antonello Da Messina, Sciascia preferiva alla pittura le stampe e le litografie. Come raccontano suoi parenti e amici. E si bisbiglia anche che non apprezzasse la pittura moderna e astratta.
Ovunque andasse, Parigi o Bologna, al Mercato delle Pulci di Palermo, o in una libreria del centro di Milano, lo scrittore trovava sempre il tempo per cercare e acquistare qualche stampa. Di queste opere Leonardo Sciascia amava non soltanto le impressioni scaturite dalle immagini decise, oniriche e definitive, ma anche la carta. Gli piaceva toccare i fogli, passare le dita sui segni. Per questo, raramente le incorniciava. Gli sembrava quasi che, racchiusa tra legno e vetro, l’incisione perdesse la sua essenza preziosa, quell’odore cartaceo che ne era l’afflato vitale. Sosteneva, infatti, che un bibliofilo ami le stampe molto più di un collezionista di quadri. Così le conservava in una cartella. Ogni tanto, la apriva, per gustarle una ad una, con devota lentezza. Assaporando ogni minimo dettaglio: il ruvido profumo, i tratti decisi e lineari o guizzanti e ricurvi. E quei refoli e segni lo rimandavano a narrazioni copiose, come decine e decine di frasi nei libri. La stampa, l’incisione, l’immagine, catalizzavano, dunque, emozioni e pensieri.
Come, ad esempio, Sciascia abbia ceduto al fascino dell’acquaforte di Albrecht Dürer, Il Cavaliere, La morte E Il Diavolo possiamo ben capirlo dal penultimo romanzo dello scrittore, Il Cavaliere E La Morte, che ha preso il titolo proprio dall’incisione. Nel breve scritto ci sono, infatti, venature cupe e paurose, estranee, invece, alle pubblicazioni precedenti. Come se l’artista tedesco avesse catapultato lo scrittore siciliano nel mondo cinquecentesco che il suo torchio aveva impresso.
La stampa, il libro e lo scrittore erano per Sciascia cellule di un unico tessuto connettivo letterario, quindi. Per questo, era felicissimo quando un editore pubblicava libri con incisioni originali. Perché per lui, coniugare l’arte e la letteratura significava raggiungere l’assoluta perfezione intellettuale. Anche per questo, una volta, in via Turati, a Palermo, nella Galleria Arte al Borgo, si poteva incontrare Sciascia, nel tardo pomeriggio, mentre chiacchierava con Renato Guttuso, Tono Zancanaro, Bruno Caruso, Mino Maccari e tanti altri.
Sciascia amatore di stampe e di libri. E Sciascia collezionista. Sulla sua scrivania, infatti, si tenevano compagnia la sua Olivetti Lettera 22, civette e monete antiche. E una fedele fotografia di Pirandello, custode di pensieri, intuizioni e parole. L’amore dello scrittore per i volumi e le incisioni veniva sublimato da un amore solo apparentemente più terreno, ma altrettanto pacificante: quello per la pasticceria. Spesso, Leonardo Sciascia regalava stampe, libri e paste a tutti quelli che, come lui, ne erano perdutamente innamorati. Gli piacevano molto i dolci. E quelli siciliani ancora di più. Del resto, la perfezione di una cassata, il gusto squisito della ricotta, la commistione dei colori canditi e i ghirigori perfetti delle decorazioni, non sono forse una straordinaria, illuminante, forma d’arte, come quella decisa da un torchio? Un cannolo regale o un cartoccio soffice e zuccheroso, non sono pure alta letteratura?
Sciascia conosceva i posti, le pasticcerie di Palermo e della Sicilia dove si preparavano i cannoli e i dolci più squisiti. Si racconta, poi, che avesse due precise passioni: il cioccolato di Modica e il couscous dolce preparato delle mani laboriose delle monache del Monastero di Santo Spirito, ad Agrigento. Qualcuno racconta che, ogni tanto, ne ordinasse chili e chili, per regalarli a parenti e amici.
Le tre grandi, indiscutibili passioni di Sciascia, libri, stampe e dolci, hanno contrappuntato la sua quotidianità. Perché lo scrittore sapeva bene come lo stupore che accade quando una magnifica stampa disvela i suoi tratti neonati all’artista, è lo stesso stupore che il pasticcere riscopre, quando la sua creatura golosa gli appare allo sguardo, immacolata. E la meraviglia donata a chi gusta i dolci, non è poi diversa da quella accordata a chi guarda un’opera d’arte. O legge le pagine di un libro. Piccoli e vibranti momenti estatici che accadono tutte le volte in cui li cerchiamo.