Schlein. Le sneakers ci sono, una certa idea dell’Italia no

Elly Schlein (foto Mike Palazzotto)

Certo la freschezza, la gioventù, e quell’aria volutamente spettinata che fa un po’ gauche, vuoi mettere con gli elefanti incravattati del Pd. Il corpo della donna, di per sé ha un carico simbolico di liberazione e anche di movimentismo, con quelle giacche destrutturate color pastello contrapposte a quelle ingessate della premier (il doppiopetto del potere). Perché anche il corpo, chissà se è una scelta di qualche novello Casalino democratico, viene vissuto come bandiera, sostitutiva di quella che una volta i leader si mettevano dietro quando parlavano. E che pare non servire più perché esso stesso è usato come messaggio, comodo nell’era social come un paio di sneaker portate in Parlamento. E infatti di Elly Schlein finora è rimasta la foto più del discorso, che spesso, la neosegretaria evita di fare, lasciando parlare presenza e contesto, e presenza nel contesto.

E però quando la politica diventa costruzione arriva la vertigine, non a caso sottolineata da un luogo statico, tradizionale e poco movimentista come una sede di partito. Sarà colpa dell’attesa, che aumenta l’aspettativa. Peraltro di ben oltre un mese, in cui è successo di tutto e la neosegretaria del Pd ha pressoché taciuto. E di quasi due senza una conferenza stampa. E poiché sicuramente non avrà lo stesso vizietto di Giorgia Meloni, refrattaria alle domande, sarà una scelta animata dalla ricerca di una suspense, per poi dare tutt’assieme l’idea di un nuovo inizio. Quello di un partito che, con rinnovato vigore dopo una botta storica e un estenuante congresso, ritorna nel discorso pubblico con la forza della proposta politica. Insomma, un’idea di paese. E invece, alla fine, la prima conferenza stampa al Nazareno di Elly Schlein non restituisce il senso di una rottura rispetto alla crisi di identità che attanaglia il Pd. Sotto ciò che rappresenta, per corpo e biografia, sostanzialmente non c’è proposta.

Lasciamo perdere quel monumento politico che era il Pci, dove Giancarlo Pajetta rimproverava i giovani che preparavano i manifesti se per ogni “no” non veniva indicato un “sì”, per ogni protesta un’idea alternativa perché la propaganda fa parte della politica, ma non è di essa sostitutiva, però la questione resta. Sul termovalorizzatore la neosegretaria sottolinea di aver ereditato la scelta dai predecessori e che non era “oggetto del programma” presentato alle primarie. E peccato che era nel programma con cui il sindaco di Roma (del Pd) ha vinto le elezioni. Insomma, si capisce che non è d’accordo ma non sa come uscirne dunque promette il mitico “confronto” e poi fa una bella lezione sull’economia circolare. Sul terzo mandato per i governatori lei che, nel giorno dell’insediamento, aveva promesso l’estirpazione dei cacicchi si dice piuttosto sfavorevole (un po’ meno dell’estirpazione) però anche qui ci si confronterà per trovare una “sintesi”, con tanto di elogio del pluralismo e delle aree culturali che, chiamate col loro nome, sarebbero le correnti, ovvero quel meccanismo infernale che ha fagocitato segretari e rinsecchito il Pd nel suo rapporto con la società italiana. Insomma, ha accettato il ruolo delle correnti. Sulla maternità surrogata si dice a favore, ma, anche in questo caso, “ci sono varie sensibilità” e qui si comprende di più perché è un tema eticamente molto sensibile. Però, insomma, anche qui c’è la presa d’atto di un quadro di compatibilità.

Sul governo è chiaro, c’è la critica, molto severa, ma proprio la sua modalità propagandistica, disvela una simmetria che la rende meno sfidante. Insomma, se il governo è un’Armata brancaleone che va “senza meta”, come nel film, pure gli altri vanno senza meta, ma dall’altra parte. Se cioè i primi, con ogni evidenza, per ammortizzare il fallimento proprio sull’immigrazione, introducono un elemento fortemente ideologico con misure bandiera, del tutto inefficaci, e una narrazione cattivista e xenofoba, gli altri denunciano l’atmosfera ungherese rinunciando però incalzare con una proposta di governo che ne disveli le contraddizioni, prima tra tutte che le politiche messe in campo producono insicurezza.

Che, alla fine, sempre lì si torna, al tema del popolo e della sua insicurezza: se il fenomeno non governato produce invisibili, creando massa di manovra dell’illegalità, poiché i clandestini non vengono accolti a casa di Claudio Baglioni o nelle ville dei ricchi in grado di pagare la sicurezza privata, vengono percepiti come una minaccia dalle periferie, dove i pensionati avranno timore ad andare al parco e, come successo in questi anni, anche quelli che votavano sinistra si affidano al populismo che promette scorciatoie securitarie, anche illusorie. Riconoscere ad esso esclusivamente il ruolo di gendarmi ungheresi e non principalmente quello di incapaci a risolvere un problema reale che fuori dalle Ztl c’è aiuta a rimuovere il principio di realtà degli sbarchi fuori controllo. E portando la discussione tutta sul terreno della propaganda riproduce lo schema su cui si è perso, senza fare i conti con la sconfitta.

La verità è che il problema non è se Elly Schlein sia troppo di sinistra o troppo poco, ma se è cambiata la musica nel rapporto col popolo, con i suoi bisogni, le sue paure e pulsioni profonde. Non è passato un secolo delle elezioni straperse cantando Bella ciao, promettendo il ddl Zan e senza una linea immigrazione. Nei suoi fondamentali il Pd è ancora lì. Anche se più ringiovanito e colorato nella leadership.

Alessandro De Angelis per HuffPost :

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