La Sicilia del cinema, quella che spende venti milioni in tre anni per incentivare le produzioni a girare nell’Isola, è stata omaggiata ieri al Lido di Venezia (presente l’assessore Amata: frangia turistica di FdI). Ma il vero interprete e protagonista di questa svolta hollywoodiana, diventato abilissimo a coprire il vuoto di governo e di iniziativa politica, è rimasto a Palermo a discettare di strategie. Renato Schifani, lui sì “l’uomo della fiction”, ha trascorso l’ennesima giornata in ufficio: rinviando le riforme e parando i colpi. Intercettato dai cronisti a margine di un evento della Fondazione Federico II a Palazzo dei Normanni, il governatore ha smentito se stesso. Di nuovo.
L’obiettivo, ovviamente, era confermare la compattezza della coalizione che, solo pochi giorni fa, era stata minata dall’interno da alcune dichiarazioni del presidente. Il governo Meloni ha individuato i nuovi commissari della Struttura nazionale che si occupa di depuratori, e Schifani l’aveva subito sconfessato, provocando le reazioni a catena dei patrioti: ‘non si permetta’, è stato il commento più docile. Ecco, trascorse poche ore dall’accaduto, e dall’intemerata contro Fatuzzo e Cordaro, entrambi tecnici in quota FdI, è come se non fosse successo nulla: “Nessuna frizione: la maggioranza è serena e compatta, la giunta lavora alla grande. Non c’è alcuna esigenza di mettere a punto il programma, lo abbiamo fatto prima delle vacanze e andiamo spediti”, ha rivelato Schifani.
Sconfessando, per altro, i motivi del vertice di maggioranza convocato per lunedì dal suo capo di gabinetto: cioè Marcello Caruso, ras di Forza Italia. Il quale, invitando gli altri partiti della coalizione a unirsi a coorte, aveva parlato della necessità di riprendere “questa attività di coordinamento che servirà per organizzare al meglio il nostro lavoro comune dei prossimi mesi, per proseguire nel lavoro di realizzazione del programma elettorale del Presidente Schifani”. Insomma: funziona tutto o non funziona niente? Dipende dalle circostanze, e nessuno che alzi il ditino per contestare.
Non è la prima volta che, a parole, il presidente della Regione provi a nascondere le beghe interne (da qui l’appellativo di uomo della fiction). Diciamo che questa giunta ha sempre peccato in termini di coesione. Già dal primo giorno, quando a Schifani furono imposte dall’alto – esattamente da Via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia – le nomine di Pagana e Scarpinato. In un raro momento di coraggio, pensò di opporsi. Poi cedette il passo al principale azionista di centrodestra, ribadendo alla presentazione degli assessori che “finalmente si parte: compatti, coesi, con la volontà di fare in modo che alcune cose possano cambiare nella macchina regionale. Ci aspettano grandissime emergenze da affrontare con estrema urgenza, da far tremare i polsi”. Era il 16 novembre dell’anno scorso.
E’ stata un’esperienza turbolenta, con un incidente di percorso che ha condizionato il resto. Specie la fiducia negli assessori. Uno, Francesco Scarpinato, lo fece inviperire per la gestione del caso Cannes quando, su indicazione dell’Ufficio legislativo e legale della Regione, Schifani fu costretto a ritirare in autotutela un decreto che affidava 3,7 milioni a una società lussemburghese per la seconda edizione dello shooting fotografico sulla Croisette. Ne seguì uno scambio vivace con l’assessore al ramo (fino alla staffetta con Amata ai Beni culturali) e una violenta aggressione verbale da parte del vicecapogruppo di FdI alla Camera, Manlio Messina. Alla quale Schifani scelse ufficialmente di non replicare. Silenzio assoluto. Salvo ribadire, alcuni mesi dopo e in circostanze diverse, che “più volte, in occasioni pubbliche ho sempre apprezzato l’attività del precedente governo per quanto riguarda le attività promozionali messe in campo dall’assessorato al Turismo”. Questi apprezzamenti a Messina non risultano agli atti. E tolto il cinema, anche SeeSicily s’è rivelato un investimento a perdere.
Ma passiamo oltre. Un altro episodio ‘insabbiato’ dalle classiche dichiarazioni di rito risale allo scorso maggio. A cavallo delle elezioni Amministrative che consegneranno una coalizione di centrodestra sempre più logora. Tranne a Catania, il centrodestra colleziona diverse figuracce. La più imponente a Trapani, dove il gruppo dell’assessore leghista Mimmo Turano sostiene l’uscente Giacomo Tranchida, ignorando l’invito del presidente della Regione di convergere sul candidato di FdI Maurizio Miceli.
Miceli perde al primo turno, ma qualche giorno prima Schifani avverte che dopo i ballottaggi qualcosa accadrà: “Il caso Turano? E’ evidente che questa vicenda verrà discussa e affrontata dal sottoscritto, unitamente ad altri aspetti relativi al check che mi ero predisposto di realizzare nell’interesse dello stato di salute della coalizione”. Eh già: Schifani aveva promesso un rimpasto, poi divenuto restyling e infine ritocchino. Mai attuato. Nonostante il pessimo esempio di Trapani e le richieste a tamburo battente dei meloniani di far fuori il “traditore” Mimmo. Addirittura, alla vigilia del secondo turno, il governatore ci mette una pietra sopra (per sempre): “Non c’è alcuna tensione nella maggioranza. Adesso ci accingiamo al turno di ballottaggio il centrodestra è compatto”. Per la cronaca, perderà anche a Siracusa. “Le scorie e i litigi, come ne avvengono in ogni famiglia, li lasciamo alle spalle – aggiunse Schifani -. Si parla di tensioni in giunta di rimpasto e non di quello che stiamo facendo. Leggiamo sui giornali falsi scoop, ma il clima in coalizione è sereno”.
E in effetti non accadde più nulla, anche se la serenità – questa sconosciuta – è un’altra cosa. Frizioni e dissidi sono sorte attorno al caso Fontanarossa, con FdI sulle barricate a chiedere le dimissioni in blocco del Cda della Sac, e Schifani e lodare l’operato di Torrisi. Frizioni e tensioni sono proseguite sulla nomina della struttura commissariale per la depurazione: “Il mio grande stupore – disse a proposito della nomina del commissario unico Fabio Fatuzzo – consiste nel fatto che si è passati dal professor Maurizio Giugni, ordinario di ingegneria idraulica, e quindi dotato di altissima competenza e preparazione sul delicatissimo settore che vede la Sicilia particolarmente coinvolta, ad un ex parlamentare che, nel pieno rispetto della sua prestigiosa carriera, non presenta alcuna preparazione specifica”. Il presidente non ci andò leggero nemmeno su Toto Cordaro: “Già assessore nella giunta Musumeci e poi non più ricandidato, si presenta come ex politico dotato di breve conoscenza della materia acquisita nel volgere del suo ruolo istituzionale”. Assenza, capogruppo di FdI, lo invitò a pensare ai suoi, di “scienziati”. Gli esempi non mancano: Armao, Dragotto, Vicari.
Ma non è finita: perché attorno alle prossime nomine della sanità e al riposizionamento politico in vista delle europee – più a centro che a destra – potrebbero sorgere i prossimi conflitti con gli alleati. E diventare più netto il gap coi patrioti (e Tajani dentro Forza Italia). Dovesse servire, però, Schifani ha già pronto il piano d’emergenza: siamo uniti più che mai. E chi c’ammazza!