I deputati di maggioranza gongolano. Quelli di opposizione si compiacciono come se fossero al governo. Il testo della Finanziaria, partorito qualche giorno fa in commissione Bilancio, non è ancora giunto alla prova dell’aula (doveva essere incardinato ieri, ma gli uffici hanno bisogno di tempo per collazionarlo con tutte le tabelle). Gli oltre quaranta articoli che ne fanno parte, però, hanno già trovato il pieno accoglimento delle forze politiche, che in questa prima parte di legislatura si ritrovano di fronte a un clima nuovo: quello della collaborazione. Con lo spauracchio del voto segreto e dei franchi tiratori, non è ancora chiaro dove porterà. Ma è già qualcosa rispetto ai cinque anni di Musumeci e Armao, in cui la cordialità dei rapporti aveva lasciato spazio a insulti e insinuazioni (“Caro Sammartino, spero che di lei si occupino altri palazzi”, disse l’ex governatore).
Bravo il presidente dell’Ars Galvagno? Un po’ troppo accondiscendente l’assessore al Bilancio Falcone? Una risposta non esiste. Ma il bon ton istituzionale, con maggioranza e opposizione disposte a parlarsi, e il governo ad ascoltare tutti, ha portato a un fritto misto di manovra che ha ben poco di epico e rivoluzionario, e che anzi si perde nei rivoli dei contributi a pioggia, delle mance elettorali (ci sono le Amministrative alle porte) e dell’assenza di strategia. Dopo l’avvio scoppiettante, i bilanci in rosso, gli scandali sul turismo, è sopraggiunta una tregua che Schifani intende cavalcare: “Il governo con questa manovra finanziaria sta facendo la propria parte. Ringrazio la Commissione per il lavoro svolto e auspico che in Aula con le forze politiche, anche di opposizione, si instauri un clima costruttivo, pur nella differenza naturale delle posizioni”, ha detto il presidente della Regione dopo il primo via libera alla Legge di Stabilità.
Mentre un colonnello dell’ex governatore Musumeci, già critico per la chiusura dell’Ufficio progettazione, ha voluto rimarcare il rispetto delle parti: “Siamo stati votati per governare, e l’opposizione per controllare – ha detto l’on. Marco Intravaia (FdI) a ‘La Sicilia’ – Se scambiamo i ruoli con il consociativismo la gente non capisce più nulla”. Un primo campanellino d’allarme è risuonato. Ma sulle prebende – sono un centinaio gli emendamenti da ogni latitudine – è difficile non trovarsi: “Il clima attorno a una Finanziaria è stabilito dal regista: in questo caso l’assessore all’Economia, Marco Falcone – ha detto senza giri di parole Cateno De Luca, che questa manovra s’è detto disposto a votarla -. Probabilmente avrà avuto da Schifani il mandato di portare a casa la Legge di Stabilità al più presto. Con questo mandato ha cercato di soddisfare la sensibilità di tutti i parlamentari, con soluzioni mirate. Queste scelte appartengono al regista, e una volta fatte, tutti ci si ritrovano: maggioranza e opposizioni”.
Più chiaro di così. Ma c’è un filo sottilissimo che separa collaborazione e inciucio: per il momento non è stato rivelato. Persino i Cinque Stelle sono meno incarogniti del solito: “Con le nostre norme a favore dell’occupazione, dei Comuni, ai quali abbiamo letteralmente salvato le riserve, per gli Asu in carico agli enti locali, per i disabili, per i lavoratori pendolari delle isole minori, contro il caro bollette, per la riqualificazione delle aree degradate e la salvaguardia costiera – ha spiegato il capogruppo Antonio De Luca – abbiamo fatto sicuramente quello che andava fatto per migliorare il testo. Certo non è una finanziaria di sviluppo per la Sicilia, ma è certo meno brutta di quella che aveva confezionato il governo”. Anche il Pd proverà a dare una mano sulle “norme che interessano i giovani, le famiglie ed il territorio e che sono in grado di favorire lavoro ed imprese”. D’altronde, dopo aver strappato una serie di emendamenti utili per rispondere agli istinti di sopravvivenza dei territori, non puoi arringare contro, né permetterti di non confermarli in aula. O tutti o nessuno.
In questo clima di tregua e di conciliazione può rifiatare anche Schifani. Si era presentato ai deputati parlando della sua cultura parlamentare, rievocando i lustri di palazzo Giustiniani (sede della presidenza del Senato) e dicendosi pronto ad ascoltare tutti. “Questo – disse nel giorno delle dichiarazioni programmatiche – sarà un Governo con grande attenzione al Parlamento: lo dico non per captatio benevolentiae, ma perché la mia storia, che molti di voi conoscono, è la storia di un uomo che è cresciuto nel Parlamento. Da Presidente del Senato sono stato sempre sensibile e vicino alle esigenze della maggioranza ma anche dell’opposizione”. Poi, alla prima occasione utile, aveva preferito non rivelare nulla dell’accordo stretto a Roma col Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in base al quale la Regione ha rinunciato a tutte le compensazioni finanziarie (previste da una legge del 2006 e pari a 8 miliardi potenziali) in cambio di un contributo da 200 milioni per mettere in sicurezza il bilancio.
La rivolta partì dal basso (“Ha svenduto la Sicilia”, “Ha sbandato alla prima curva”), ma l’eco si è subito assopita di fronte ai bisogni naturali: dalla manovra sono giunti i soldi per riqualificare chiese, scuole e impianti sportivi; per rilanciare carnevali storici; per garantire la sopravvivenza delle città d’arte e dei borghi rinomati; per promuovere eventi, sagre, spettacoli e giochi pirotecnici; persino per l’istituzione del libro geneaologico della razza sanfratelliana (esulta un’associazione di allevatori equini). Come fai a litigare con questa prospettiva? A smontarla in nome di una programmazione più seria e più organica? Come fai a non scrivere un comunicato sull’aumento degli stipendi ai Forestali o dei precari Asu? E’ la politica che unisce. Che non differenzia. E che, quasi per miracolo, non litiga.
Resta la prova più ardua, Sala d’Ercole. Dove il dibattito sulle misure più importanti comincerà questa settimana. E dove in passato Musumeci ha sempre dovuto fare i conti con le opposizioni arrembanti, e coi nemici interni. Quelli che solitamente rimangono senza contentino, agiscono da traditori nell’ombra. E ringhiano utilizzando il voto segreto, appannaggio (non solo) delle opposizioni per tendere trappole e sgambetti. Una volta l’ex presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, dovette cancellare gli ultimi articoli della Finanziaria, rimasti a lungo in sospeso, perché – con l’aula inferocita – capì che il governo non avrebbe mai superato la prova più ostica. La questione si riproporrà se non tutti, nella maggioranza, accetteranno supinamente il ruolo di “parlamentare alla pari”. O se qualcuno, tra quelli dell’opposizione, vedrà negarsi il diritto alla marchetta.