Schifani, strigliate e nulla più

Il presidente della Regione Renato Schifani, regista di un sottogoverno a tinte azzurre (foto Mike Palazzotto)

Renato Schifani non vuole saperne di “pagare per le inadempienze altrui”, ad esempio sul fronte della siccità, dove il Piano d’emergenza con Roma è completo (solo) al 17%; ed è stanco di ritrovarsi con enormi problemi da risolvere – come il caos generato dalla chiusura della discarica di Lentini – “senza che nessuno mi avesse mai preventivamente informato”. In questo gioco di incastri, una cosa è certa: a una caduta del pero fa sempre seguito una reazione, più o meno scomposta, del governatore. Che ha deciso di trascorrere la seconda estate a Palazzo d’Orleans provando a tamponare le numerose emergenze di cui gli uffici e i burocrati, nel passato, non si sono occupati abbastanza. E che lui stesso fatica a tenere a freno.

E’ già metà luglio, è passato oltre un mese dalla dichiarazione dello stato d’emergenza, e la Regione è ferma al palo nell’azione di contrasto alla siccità. Eppure, lo scorso inverno, non ha piovuto abbastanza. Le avvisaglie c’erano tutte. Ciò nonostante, il report consegnato dagli enti attuatori, durante l’incontro di martedì mattina, non ha soddisfatto Schifani. Per far scattare il piano d’aiuti previsto dal Ministero della Protezione civile, di per sé marginale (appena 20 milioni), occorre presentare i progetti e far partire le opere: il fatto è “nello specifico, il 17,31 per cento degli interventi è stato completato”. Non sono grandi numeri, il governatore lo sa, e l’ha fatto presente. Ovviamente con una strigliata, edulcorata, nei confronti delle Assemblee territoriali idriche e di chiunque debba contribuire a mandare avanti le pratiche: “Auspichiamo che tra tutti i soggetti coinvolti ci sia un clima di collaborazione e il nostro stesso spirito di abnegazione”.

Schifani, addirittura, è arrivato a imbrodarsi per dimostrare ai suoi interlocutori quanto siano indietro. Anche se quella del presidente, più che un’azione di governo, sembra una rincorsa infinita. Funziona più o meno così: ogni anno, puntuale, riesplode un’emergenza già nota; i giornali la segnalano; lui si arrabbia per non averlo saputo prima; e scatena la sua ira funesta su una pletora di collaboratori incapaci, che siano assessori, dirigenti o funzionari. Che la Sicilia non riesca più a reggere il conferimento indifferenziato di rifiuti è una notizia ormai datata, quasi preistorica: eppure, in questi due anni, non s’è fatto nulla – al netto degli annunci sui termovalorizzatori – per valutare un’alternativa alle discariche. Così, se a Lentini un magistrato impone qualche giorno di chiusura, si scatena il panico. “Quello che è successo con il Tmb di Lentini è increscioso e mi è piovuto sul tavolo senza che nessuno mi avesse preventivamente informato”, ha detto Schifani al Giornale di Sicilia. Individuando immediatamente i colpevoli: “E’ una vicenda che mi ha amareggiato per la totale assenza di coesione nell’azione di governo. L’assessorato all’Ambiente e quello ai Rifiuti hanno agito senza coordinarsi costruttivamente fra loro e soprattutto senza avvisarmi delle conseguenze che potevano nascere dalle loro azioni”.

Una pretesa di responsabilità che avrebbe dovuto portare a provvedimenti immediati: invece sia Pagana che Di Mauro restano in giunta, in attesa del famoso rimpasto che ogni giorno si allontana sulla linea dell’orizzonte. Fra un’incazzatura e l’altra Schifani si ritrova a gestire i difficili equilibri della sua maggioranza e non gode di molto margine per intervenire. E’ come se ogni problema lo costringa a ritornare indietro, alla casella del via. In questo eterno gioco dell’oca c’è spazio soltanto per le emergenze. “Secondo un copione – scrive Fabrizio Lentini su Repubblica – che vede le istituzioni – non solo l’ultima giunta regionale – governare mettendo pezze sui disastri che si presentano con puntualità stagionale, senza programmare niente, senza avviare politiche di lungo o anche medio termine, perché c’è un’elezione a ogni stagione, un rimpasto annunciato o invocato a ogni bimestre, una lunga serie di clientes da soddisfare passo dopo passo, e quindi non si può certo pensare al domani o meno che mai al dopodomani”.

Talvolta non si pensa affatto, si delega tutto all’istinto, alla rabbia e al rancore. In una recente dichiarazione al Gds, il presidente della Regione ha confermato che “a febbraio, quando scadranno i contratti, non intendo rinnovare molti dei vertici della burocrazia dando spazio a nuove e volenterose generazioni di dirigenti”. Forse intende punire chi ha ritardato, fino a poche settimane fa, l’accertamento dei residui attivi, un atto utile a sbloccare i pagamenti alle imprese: “Il mancato rispetto dei tempi – si leggeva in una nota di Palazzo d’Orleans – sarà considerato grave inadempienza dirigenziale e diventerà oggetto di apposita valutazione da parte della giunta regionale per l’eventuale applicazione di sanzioni, compresa la revoca dell’incarico”. La stessa revoca “promessa” ai direttori generali di Asp e ospedali, appena insediati, se non riuscissero a raggiungere gli obiettivi prefissati in termini abbattimento delle liste d’attesa. Un obiettivo che la Regione aveva sposato lo scorso anno (evidentemente il problema non è mai stato risolto e si è ripresentato in una forma persino più aggressiva).

Lo stesso fuoco si accese negli occhi di Schifani dopo che un dirigente del Turismo, certificando il fallimento di SeeSicily, inviò alle strutture alberghiere le revoche dei contratti già stipulati per usufruire dei voucher secondo la formula “vuoto per pieno”. Una forzatura burocratica immediatamente denunciata da Fratelli d’Italia, con il presidente a ruota: “I miei uffici – scrisse Schifani in una nota del giugno 2023 – provvederanno ad assumere le dovute informazioni con l’obiettivo di poter restituire la serenità agli albergatori che rappresentano certamente un tassello importante per l’economia turistica dell’Isola. Tra l’altro, più volte, in occasioni pubbliche ho sempre apprezzato l’attività del precedente governo per quanto riguarda le attività promozionali messe in campo dall’assessorato al Turismo”. Ma come? Non era lo stesso assessorato, a con a capo gli stessi patrioti, che s’era reso celebre per l’organizzazione di ricche esibizioni sul red carpet di Cannes, e che lo stesso Schifani – con il ritiro in autotutela dell’affidamento diretto (da 3,7 milioni di euro) alla Absolute Blue – aveva di fatto sconfessato?

Certe cose non cambieranno mai. Tra queste la profonda incoerenza che accompagna le scelte di questo governicchio: un giorno contrario allo scippo da 1,3 miliardi di euro per la realizzazione del Ponte sullo Stretto (“La decisione governativa per cui la quota di compartecipazione della Regione Siciliana debba essere di 1,3 miliardi di euro non è mai stata condivisa dall’esecutivo regionale”, 13 dicembre 2023), il giorno dopo favorevole alla proposta di legge di Calderoli sull’autonomia differenziata. Fra i bersagli preferiti di Schifani impossibile non ricordare Francesco Paolo Scarpinato, assessore al Turismo e, poi, ai Beni culturali, dove s’era inventato l’aumento del ticket d’accesso ai musei e ai parchi archeologici che lo stesso Schifani gli ha chiesto di sospendere “in attesa di un confronto con gli operatori turistici”.

Il giusto compromesso fra una caduta dal pero e una strigliata (celebre quella – umiliante – rivolta al dirigente dell’Energia per la lentezza dei lavori al Castello Utveggio) è però l’immobilismo. “Non è una tara solo siciliana – scrive Lentini su Repubblica – questa della politica che trascura ogni programmazione seria, silenziosa e faticosa per rifugiarsi negli slogan e negli annunci, nel furore del “qui e ora” e nei sogni del futuro remoto, in un’oscillazione strabica tra il vicinissimo e il lontanissimo. Ma se è un baco ormai universale, è anche vero che nell’Isola quel baco si è ormai mangiato la mela. Tanto da non scuotere la rassegnazione che porta i siciliani a spedire i figli lontano appena conclusi gli studi, a disertare le urne, a fischiare ministri e governatori appena invadono i pochi spazi ancora non occupati, come il palcoscenico del Teatro antico di Taormina”. Lì sono volati fischi, e non è bastata la censura per cancellarne la memoria.

Alberto Paternò :

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