Le immagini inquietanti di questa settimana, che restituiscono perfettamente il clima alla Regione, sono due: i balbettii di Giovanna Volo, assessore alla Salute, di fronte ai deputati che da settimane l’attendevano per rispondere ad alcune interrogazioni e interpellanze; e il nuovo assalto alla diligenza scatenato dalla mini-Finanziaria in discussione in commissione Bilancio, all’Ars. I due episodi sono figli dei papocchi, forse i più evidenti ma non gli unici, collezionati in questo avvio di legislatura da Renato Schifani. Non sono passati nemmeno sette mesi dal suo insediamento, ma il presidente è già riuscito nell’impresa di scontentare tutti: i partiti della coalizione, in primis Fratelli d’Italia; il governo nazionale “amico”, che ha impugnato la Legge di Stabilità; i privati convenzionati della sanità, costretti a una serrata di quattro giorni per avere l’attenzione dell’esecutivo su alcune questioni indifferibili. E via discorrendo.
Ogni vertenza ha il suo peso. Sanità e Bilancio, più di altre. Il difficile momento vissuto dall’assessore Volo, è riassunto dal resoconto stenografico della seduta di mercoledì scorso, quando a Sala d’Ercole si consumava la seconda figuraccia – o scena muta, se preferite – nel giro di un mese: “No, io tra le interrogazioni che ho, mi dispiace, ho già tutte quelle alle quali abbiamo già risposto per iscritto e però non c’è l’interrogazione n. 49” esordiva l’assessore di fronte alle richieste del presidente pro-tempore Nuccio Di Paola, imbarazzato a sua volta. Poi: “Presidente, mi dispiace doverle dire che anche quella non è stata, evidentemente, ancora recepita dal mio Assessorato e, quindi, non è stato possibile dare né risposta verbale né risposta scritta”. E ancora: “Evidentemente c’è uno scollamento fra quello che sono le interpellanze che sono state fatte arrivare in Assessorato e quelle che ha lei, perché io non ho questi numeri”. Dal fascicolo dell’assessore erano spariti i riferimenti a dodici dei quindici atti parlamentari presentati dall’opposizione. Tanto da far dubitare alcuni deputati: “O c’è qualcuno che ha sbagliato mestiere – si è insospettito il capogruppo del M5s, Antonio De Luca – o c’è qualcuno che vuole far fare cattiva figura all’assessore”.
In realtà l’unico mandante delle pessime figure di Giovanna Volo ha un nome e un cognome: Renato Schifani. E’ Schifani ad essersi incaponito su una figura tecnica, per togliere il pallino delle operazioni a Miccichè, vittima del suo rancore, e ai partiti, che già bramavano dal desiderio di mettere le mani su 9 miliardi di budget assegnati dal bilancio regionale alla Sanità; è stato Schifani ad affidare a una signora in pensione, con esperienze da direttore sanitario al Civico di Palermo, un bagaglio di competenze eccessivo e a tratti impossibile da reggere; è stato il presidente a lasciare scoperto per troppo tempo un ruolo dirigenziale apicale, come quello di capo dipartimento alla Pianificazione strategica, a lungo appartenuto a Mario La Rocca. E’ stato Schifani a non essere mai intervenuto, se non polemicamente di fronte alle proteste di piazza, per risolvere la vertenza dei laboratori analisi e degli ambulatori specialistici convenzionati, che continuano a reclamare diritti negati per troppo tempo (pur continuando a garantire l’80% delle prestazioni del sistema sanitario regionale). La Volo ci ha messo la faccia, e al netto dell’impegno, s’è guadagnata pochi attestati di stima e una richiesta quasi unanime: dimissioni.
L’assessore, inoltre, è rimasta sola a gestire la matassa dei precari Covid, attirandosi le critiche della delegazione siciliana di Fratelli d’Italia al parlamento nazionale, quando decise di non prorogare i contratti del personale tecnico e amministrativo (una decisione aggiustata, in parte, prima della scadenza del 28 febbraio). Pur non avendo una preparazione specifica per affrontare le numerose criticità del settore e le trappole tese dai partiti, la Volo ha remato da sola e controcorrente. Ma adesso, a rigor di logica, potrebbe non uscire indenne dal “tagliando” che Schifani farà al governo dopo le Amministrative di fine maggio. Sostituirla significherebbe contraddire se stesso. Ma lasciare tutto com’è, sarebbe persino peggio. Dopo aver “ingaggiato” un assessore che non funziona, il presidente della Regione è corso ai ripari nominando Salvatore Iacolino a capo della Pianificazione strategica, lasciando però scoperto il “Policlinico” di Palermo, dove l’ex eurodeputato di Forza Italia stava svolgendo con successo l’incarico di commissario straordinario. Bisognerà rimettere mano al pallottoliere delle nomine sperando di sfangarla.
Un altro commissariamento in piena regola, figlio di decisioni sbagliate, è la nomina di Gaetano Armao in qualità di esperto su questioni e fondi extraregionali. In pratica, l’ex assessore all’Economia, che è stato rivale di Schifani nell’ultima competizione elettorale (fermandosi a un misero due per cento), e che negli ultimi cinque anni aveva messo insieme un gran numero di figuracce, farà le veci dell’assessore Falcone per superare lo stop dell’impugnativa all’ultima Finanziaria. Il governo regionale ha inserito in manovra una serie di voci di spesa a valere sui fondi Fsc – arte di cui Armao, nelle Finanziarie di guerra, era maestro – senza che i soldi fossero nell’effettiva disponibilità di Palazzo d’Orleans. Il Consiglio dei Ministri ha detto ‘no’, stoppando capitoli per 800 milioni circa. Armao, che per il suo incarico sarà ben retribuito (60 mila euro fino al 27 aprile 2024), dovrà porre rimedio a questa e altre problematiche, sempre di natura finanziaria.
Falcone avrebbe tutte le buone ragioni per sentirsi delegittimato. O, comunque, in discussione. E non bastano le veline sul riaccertamento dei residui passivi, che sblocca la spesa per mezzo miliardo, o sull’efficientamento dei pagamenti, per tornare al centro della scena. Per riappropriarsi a pieno titolo di un ruolo, quello di assessore all’Economia, per cui aveva sgobbato tanto. Con Schifani sono sorte alcune divergenze sulla gestione dell’aula durante la sessione di bilancio – l’assessore avrebbe concesso troppo margine di manovra alle opposizioni – e infatti, alla vigilia del “collegato” che già conta un centinaio di emendamenti, il forzista promette di essere più rigido: “Abbiamo fatto uno screening degli emendamenti aggiuntivi – ha detto a Repubblica – valuteremo complessivamente una ventina di emendamenti, di cui otto del governo e dodici dei deputati”. Non mancheranno le voci relative a presepi e chiese. La cosiddetta parcellizzazione della spesa che Schifani, durante la kermesse di Forza Italia al Politeama, aveva detto di voler scongiurare per il futuro. Lasciamo stare.
Anche nel caso del Bilancio, però, restano frizioni e interrogativi, che un cambio ai vertici dell’assessorato – ancora poco probabile – non potrà archiviare. I conti pubblici, come la sanità, meriterebbero una gestione più oculata e trasparente, e meno approssimativa. Ma anche quelli, per il momento, appartengono alla categoria poco nobile dei papocchi.