Per far calmare le acque ed evitare che “il danno d’immagine”, per la Sicilia e il suo governo, diventi incalcolabile, Renato Schifani ha dato l’ordine di fermare le rotative. Prorogando i termini dell’esercizio provvisorio, approvato ieri da Sala d’Ercole, fino al prossimo 28 febbraio. Due mesi anziché uno. Per la Legge di Bilancio e di Stabilità bisognerà aspettare e se questo, da un lato, avalla la tesi del segretario della Lega Nino Minardo – cioè che fin qui hanno prevalso “polemiche e poltrone” – dall’altro permette a Schifani e i suoi assessori di tirare il fiato, in attesa dei chiarimenti di Scarpinato su Cannes (finora un po’ evasivi) e delle nomine di sottogoverno, che verranno ufficializzate da qui a poche ore.

A rendere il clima pesante, al netto delle evoluzioni sull’asse Palermo-Lussemburgo, ci sono altre due questioni. La prima è politica, e riguarda la deroga al gruppo “ufficiale” di Forza Italia, che con tre deputati spera ancora di non sparire dalla scena di Palazzo dei Normanni (da regolamento ne servono almeno quattro). Micciché è tornato a chiedere al presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, di seguire la prassi, che negli anni scorsi ha sempre garantito – anche a Fratelli d’Italia – di beneficiare della “sanatoria” parlamentare. L’ultima parola, però, spetterà al Consiglio di presidenza, dove qualcuno vorrebbe fare la festa al vicerè berlusconiano. Ne è prova la diatriba di queste ore sulla presentazione della lista azzurra alle prossime Amministrative di Catania: Micciché, da depositario del simbolo, non intende lasciare spazio ai suoi carnefici (Schifani e Falcone su tutti) che nelle ultime settimane lo hanno esautorato dalla maggioranza e dal governo. “Deciderà Berlusconi”, è il ritornello dell’assessore all’Economia. Che è anche un catanese dop.

Falcone, inoltre, ha dovuto spegnere un altro incendio sul nascere. Quello che riguarda il bando per la riscossione dei tributi di Comuni ed enti locali, che era stato emanato nei mesi scorsi – quando in carica c’era ancora Gaetano Armao – dalla Centrale Unica di committenza per l’acquisizione di beni e servizi dell’assessorato all’Economia. Nulla di strano se non fosse che l’appalto da mezzo miliardo era stato spacchettato in cinque lotti e all’appuntamento si siano presentati – giusto giusto – cinque operatori. Tutti vincitori, va da sé. L’anomalia è stata segnalata dal presidente della commissione regionale Antimafia, il vigile Antonello Cracolici, mentre il Pd aveva presentato un’interrogazione per ottenere i dovuti chiarimenti: “Questa è una dinamica a dir poco sospetta – diceva Cracolici -. Alla luce di tutto questo ho chiesto al presidente della Regione Schifani di sospendere le procedure per valutare se i requisiti della gara garantiscono il principio di effettiva concorrenza necessario al risparmio per la spesa pubblica e per i cittadini”.

Obiezione accolta. Il presidente della Regione, che come al solito non ne sapeva nulla fino alla lettura dei giornali, ha preso provvedimenti. Comunicati dall’assessore Falcone: “Abbiamo dato mandato al dirigente dell’ufficio Cuc di sospendere la procedura di affidamento dell’accertamento e della riscossione tributi degli enti locali della Regione. La sospensione si rende necessaria, dopo aver preso atto anche di aspettative parlamentari, per valutare attentamente ogni aspetto utile a verificare la linearità dell’iniziativa a garanzia dei principi di trasparenza e di libera concorrenza e, ove fosse necessario, a procedere all’annullamento della gara”. La puzza di fritto invade, comunque, i corridoi di Palazzo d’Orleans. Le principali grane di questi primi mesi di legislatura, come ampiamente annunciato, provengono dal passato. Forse sarebbe il caso di affrancarsi da quella “continuità” a lungo invocata da Schifani; di tracciare una linea e ripartire.

Anche la seconda partecipazione di fila al Festival di Cannes, con la mostra fotografica “Sicily, Women and Cinema”, faceva parte di una programmazione triennale decisa dalla giunta Musumeci. Ma non per questo l’assessore Scarpinato si sarebbe dovuto sottrarre a una preventiva comunicazione a Schifani e al resto dell’esecutivo. Il governatore ha chiesto “l’invio di una relazione e di tutta la documentazione” relativa al decreto incriminato, che stanzia 3,7 milioni (senza bando) a una società lussemburghese con appena tre dipendenti a carico, senza un certificato antimafia e incapace di versare una caparra del 10% rispetto all’investimento complessivo (situazioni che hanno portato anche la Corte dei Conti all’apertura di un fascicolo, mentre la Procura sta valutando). Schifani, in queste ore, non ha mai teso la mano a Scarpinato, anzi continua a mettergli fretta: poiché “in esito agli approfondimenti, l’amministrazione regionale dovrà necessariamente valutare, tra le azioni da intraprendere, anche quelli in autotutela, totale o parziale, compresi gli atti cautelari, anche di sospensione, nell’ipotesi in cui si riscontrino responsabilità di qualsiasi tipo che possano causare danno, anche solo potenzialmente e anche solo d’immagine, alla Regione Siciliana”.

L’atteggiamento del presidente è un gesto di sfida nei confronti di Scarpinato, ma anche del suo protettorato, che si allunga fino a Roma. L’assessore al Turismo, infatti, è stato imposto da Francesco Lollobrigida (attuale Ministro all’Agricoltura e cognato della Meloni) e da Manlio Messina, vicecapogruppo di FdI alla Camera, nonché suo predecessore. Il quale sembrerebbe avere le spalle ben coperte. Chiedere il suo allontanamento, o pretenderne le dimissioni, significherebbe per Schifani dover ridiscutere i rapporti col primo partito della maggioranza, che peraltro è quello della presidente del Consiglio. Servirà coraggio per evitare che tutto si riduca alla classica messinscena. Ma a questo punto della contesa, subentra anche l’opportunità politica: a chi gioverebbe lo scontro? Non a Schifani, che già all’inizio di questa tribolata avventura è finito con le spalle al muro dopo aver tentato di imporre una squadra di assessori-deputati: l’indicazione di Scarpinato e Pagana, calata palesemente dall’alto, ne ha sgretolato un pezzo di credibilità.

Le prossime ore, inoltre, risulteranno decisive per la composizione della squadra di sottogoverno. Il presidente della Regione ha già cambiato idea, spinto dalla giunta, sulla nomina di Vito Riggio all’Airgest, la società di gestione dell’aeroporto di Trapani (dov’è stato confermato Salvatore Ombra), e ha dovuto rimangiarsi la conferma di Sanfilippo al Cefpas. Ora punta su Tommaso Dragotto per l’Irfis. In questo clima, dove bisogna accontentare un po’ tutti per evitare ritorsioni future (basti ricordare l’esperienza di Musumeci coi ‘franchi tiratori’) sarebbe stato un azzardo presentarsi all’aula per discutere di Finanziaria. L’accordo sul “Salva Sicilia” e sui 200 milioni concessi da Giorgetti, ha già messo il governatore in cattiva luce di fronte alle opposizioni, che gli hanno chiesto di ridiscutere gli accordi con Roma, evitando di agire al ribasso e informando preventivamente il parlamento.

I tempi tecnici sono quelli che sono ed entro il 30 gennaio comincerà l’analisi della Legge di Stabilità, che dovrebbe concludersi con l’approvazione entro metà febbraio. Nel frattempo la Sicilia annasperà ancora qualche settimana con l’esercizio provvisorio. Un tempo che la maggioranza proverà a sfruttare al meglio per curare le ferite del corpo e soprattutto dell’anima. Per ridurre la portata degli scandali (ci sarebbe il caso della parcella d’oro a Pier Carmelo Russo, di cui non s’è saputo più nulla). Per assicurarsi che nessuna poltrona rimanga sguarnita. “Dobbiamo volare alto”, aveva suggerito Minardo. Ma qui si sta ancora raschiando il fondo del barile.