Il re dei carrozzoni e la nuova Agenzia per le imprese

Il presidente Renato Schifani durante l'inaugurazione dell'area d'emergenza del Policlinico di Palermo

Dopo la Fondazione Lago di Pergusa, a cui la Regione – in piena siccità – ha deciso di contribuire sborsando la “simbolica” cifra di 250 mila euro al Comune di Enna (a titolo di compartecipazione), ecco che si fa largo un nuovo ente: da Palazzo d’Orleans, infatti, è partito un diktat per la creazione di un’Agenzia regionale per l’attrazione degli investimenti. Le è stato dedicato, addirittura, l’articolo 1 della Legge di Stabilità approvata martedì dalla giunta Schifani: l’obiettivo è “promuovere, agevolare e attrarre investimenti nazionali e internazionali nel territorio della Regione, contribuendo allo sviluppo dell’economia e alla creazione di nuove opportunità di lavoro”. L’intento è nobile, i contenuti ancora un po’ fumosi: somiglia tanto a un modo per sfilare il monopolio delle Attività produttive all’assessore Edy Tamajo, vero sconfitto dell’ultimo mini-rimpasto e agnello sacrificale di Forza Italia (specie dopo aver ceduto il seggio di Bruxelles a Caterina Chinnici).

Un’Agenzia che orienta gli investimenti, cos’altro può essere se non uno strumento di controllo? Il nuovo ente, come racconta Accursio Sabella su Repubblica, costerà un milione di euro, dopo di che toccherà alla Regione predisporre una dotazione organica (da riempire con un numero di assunzioni pari al numero dei posti previsti). Ma non chiamatelo stipendificio: secondo l’assessore all’Economia Alessandro Dagnino si tratta di una “prima misura che rientra nell’ambito di un disegno organico di politiche a favore delle imprese” e che “seguendo il modello di altre Regioni punta a fare conoscere agli investitori esterni le possibilità di crescita nel territorio regionale”.

Magari (ma questo non lo dice nessuno) potrebbe garantire a qualcuno – vedi un avvocato d’affari di stanza a palazzo d’Orleans, già investito del compito di supervisionare l’utilizzo dei fondi extraregionali – di tornare prepotentemente centrale nell’azione di governo. L’ex assessore Gaetano Armao è già un perno dell’esecutivo di Renato Schifani. Almeno da quando è stato messo a capo della Commissione tecnico specialistica che gli consente di dire sì o no, o comunque di pronunciarsi, sulle autorizzazioni ambientali propedeutiche a nuovi insediamenti produttivi. L’articolo, a meno di sorprese dell’ultima ora, verrà approvato e nei prossimi mesi scopriremo a cosa serve davvero l’Agenzia.

Ciò che non ha mai abbandonato Mamma Regione, comunque, è il desiderio di rimpolpare il proprio parco carrozzoni. Ce ne sono una marea e uno di questi, la Sas, entra a pieno titolo nella Finanziaria 2025: si tratta della Servizi Ausiliari Sicilia, che di tanto in tanto si occupa di reclutare interi bacini di precariato, offrendo nuove prospettive occupazionali. Così avverrà anche questa volta, con la stabilizzazione di 228 precari: si tratta dei lavoratori impiegati nei siti culturali e nei musei, per i quali era già stata stanziata una cifra importante nella Legge di Stabilità approvata lo scorso gennaio (79 milioni). Verranno assunti con contratto part-time, come accade a ogni singolo precario che questa Regione ha prima assunto per scopi elettorali e poi “usato” (per non dire sfruttato) a proprio piacimento. Sas è una sorta di garage ove parcheggiarli.

Cambiando una vocale, la “A”, si arriva a Sis. Un’altra partecipata regionale che poche settimane fa è finita al centro di un’inchiesta del Fatto Quotidiano. Già: perché pur non essendo in perdita, il governo di Schifani ha scelto di avviare le pratiche di liquidazione. La Società Interporti era nata per costruire due poli di interconnessione modale a Catania e Termini Imerese. Nel primo caso si è riusciti nell’intento: due dei tre lotti sono stati completati, mentre il terzo è in dirittura d’arrivo. Nel caso di Termini siamo ancora ai preliminari. Da qui – forse – la decisione del governo di liquidarla. Ciò esporrebbe la società a un probabile contenzioso con gli appaltatori del terzo lotto dell’interporto di Catania, e comunque secondo Cgil e Filt Sicilia la manovra del governo “è incomprensibile e temiamo che dietro ci siano manovre che hanno poco a che vedere con l’interesse pubblico e molto invece con interessi di gruppi di potere ben individuati che voglio mettere le mani su infrastrutture strategiche per la nostra regione e su ingenti finanziamenti pubblici”. Di diverso parere Luigi Sunseri, del Movimento 5 Stelle, che da anni ormai si occupa dei carrozzoni della Regione: “Liquidare la Sis? Bene, è inutile ed ha fallito. Anzi, la sua soppressione sia la prima di una lunga serie, la Regione ne trarrebbe sicuro giovamento. Come Movimento chiediamo da anni una razionalizzazione delle partecipate, parecchie delle quali sono una palla al piede per le casse regionali”.

Il piano di razionalizzazione delle partecipate, però, non sembra centrale nell’azione di governo. Solo un anno fa, in sede di approvazione del Bilancio consolidato, la Regione spiegava che gli enti rientranti nel GAP (il Gruppo Amministrazione Pubblica) erano 158: 23 organismi strumentali, 69 enti strumentali non in liquidazione, un organismo tecnico, 8 società controllate, 4 società partecipate, 46 enti strumentali in liquidazione, 5 società controllate in liquidazione, una società partecipata in liquidazione e una società indirettamente partecipata. Da quel momento non s’è più saputo nulla riguardo alla liquidazione coatta delle società inutili, già previste nel famigerato Accordo Stato-Regione firmato qualche anno fa da Musumeci e dall’ex premier Conte (quello che diede avvio alla spalmatura del disavanzo, con refluenze giudiziarie che si trascinano tuttora).

Le varie Airgest (la società che gestisce l’aeroporto di Trapani), Sicilia Digitale, Ast sono pozzi di sprechi, su cui il governo regionale, di tanto in tanto, mette una pecca con costosissime ricapitalizzazioni. Eppure, per molte di esse, il destino rimane incerto. Basti citare il caso dell’Azienda Siciliana dei Trasporti, che l’assessore Aricò vorrebbe trasformare in una società “in house” cui affidare le tratte meno remunerative previste dal bando da quasi un miliardo sul trasporto pubblico: peccato che possieda mezzi vetusti, una governance ballerina (rimpiazzata, recentemente, da un amministratore unico) e deve ancora presentare un piano industriale che giustifichi l’investimento di nuove risorse (40 milioni).

Sempre un anno fa, l’ex assessore Marco Falcone spiegava che grazie all’approvazione del bilancio consolidato ‘22 “prosegue la nostra azione di allargamento del perimetro di consolidamento e dunque degli enti legati alla Regione che vengono sottoposti ad attento controllo. Nel 2018 l’amministrazione regionale riusciva a inserire nell’elenco 21 enti, oggi invece siamo a 73, rafforzando così i principi di certezza e di trasparenza che devono connotare i conti del nostro ente. Stiamo facendo chiarezza su questi enti, in gran parte attivi e strategici, ma ci sono anche dei carrozzoni che già l’anno prossimo potranno essere cancellati a decine”. Già, ma quali? Dal recinto delle partecipate è scomparso l’Espi, l’Ente siciliano per la promozione industriale, soppresso dal governo nel 2023 (e in liquidazione dal ’99), degli altri non si ha notizia. E’ chiaro: liquidare o archiviare una società non ha sui territori lo stesso impatto delle mance, è un tema meno spendibile da un punto di vista elettorale. Ma servirebbe a liberare nuove economie. Già, anche per garantire nuove mance…

Costantino Muscarà :

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