Schifani, il Grande Lottizzatore

Il presidente della Regione Renato Schifani, regista di un sottogoverno a tinte azzurre (foto Mike Palazzotto)

Anche l’osservatore più distratto si sarà accorto del “balletto inqualificabile” per l’assegnazione delle poltrone di Asp e ospedali. Ma un osservatore privilegiato come Renato Schifani – da due anni presidente della Regione – questo balletto avrebbe potuto (e dovuto) impedirlo. E invece, come una specie di voce bianca, ha preferito unirsi al coro degli indignados, pronunciando parole di disistima nei confronti di chi ha architettato tutto: “Non me la prendo con i singoli esponenti della maggioranza, è un sistema che condiziona anche loro”, ha precisato però nella sua denuncia contro ignoti. Più o meno dello stesso tenore la dichiarazione di Lombardo a ‘La Sicilia’: “Non mi piace che a prendere le decisioni sia un club ristretto o una cricca”. Ma insomma: chi ha deciso i nomi dei direttori sanitari e amministrativi degli ospedali? Davvero vogliono farci credere che siano stati i manager, nominati a loro volta dalla politica, ad assumere decisioni così complesse, che hanno richiesto – peraltro – lo slittamento dei termini per ben due volte?

Nessuno ne sa niente. O qualcuno fa lo gnorri. Ma la caduta dal pero è fin troppo plateale. Lo stesso Schifani racconta di un manager che “con molto garbo mi ha chiesto indicazioni: io ho detto che non darò nessuna indicazione in merito. Ho lasciato questa persona libera di scegliere. Qualche giorno dopo, ho visto che questa persona ha fatto delle scelte che hanno un nome e un cognome, di partito”. Non c’era modo di fermarlo? O di richiamare all’ordine segretari di partito e deputati, che negli ultimi giorni hanno dato spettacolo, nel senso deteriore del termine? La sanità è sempre stato un terreno di caccia e di conquista: mai, però, come stavolta. Una lottizzazione in piena regola, di cui tutti colpevolmente sapevano, a cui si cerca di riparare imponendo strettissime condotte sul piano dei risultati: fino a ieri l’assessore Volo ha ribadito l’inserimento di una clausola nei contratti dei direttori sanitari e amministrativi che prevede la decadenza dopo appena un anno dalla nomina.

Ma è la Regione, non soltanto la sanità, ad essere lottizzata. Schifani e la sua area politica sono i maggiori interpreti di questa esperienza, avendo coniato una nuova forma di governo: il feudalesimo. A partire dall’imposizione dei due assessori più importanti: sia Giovanna Volo che Alessandro Dagnino, rispettivamente titolari della Salute e dell’Economia, sono scelte del governatore (non di Forza Italia). Li chiamano ‘tecnici d’area’, ma non hanno mai ricevuto una preferenza nelle urne o avuto a che fare con la politica; garantiscono al presidente un margine d’azione sconfinato in materia di sanità e conti pubblici e zero interferenze sino al termine della legislatura.

Anche il sottogoverno è un cespuglio di fedelissimi, che garantisce alla massima istituzione regionale un potere incontrastato. Persino la cultura è succube di queste logiche: nel consiglio d’indirizzo della Fondazione Teatro Massimo è stata designata l’imprenditrice palermitana Caterina Marcella Cannariato, che fra le altre cose è nel Consiglio d’amministrazione di Sicily by Car. Cioè il colosso dell’autonoleggio gestito dal compagno, Tommaso Dragotto. Che, per inciso, era stato il primo a beneficiare di un passepartout per i palazzi (e le poltrone) che contano: Schifani lo aveva messo alla guida dell’Irfis, la banca della Regione. Ma Dragotto si dimise dopo aver appurato che “l’impegno era troppo gravoso”, anche se sull’addio ha pesato come un macigno una vicenda giudiziaria che lo rendeva incompatibile. La vicenda fu archiviata con l’arrivo di Iolanda Riolo, un’altra riccastra che ha fatto fortuna con le concessionarie d’auto. Il caso volle che la stessa Riolo, a distanza di pochi mesi, venisse insignita del titolo di Cavaliere del lavoro: “Conferma la bontà delle nostre scelte”, disse Schifani.

Secondo la stessa teoria i tenori del Volo dovrebbero vincere l’Eurovision, ma per il momento sono fermi al concerto di Natale, il 31 agosto, alla Valle dei Templi. Sempre in tema di lottizzazione, e di cultura, non può passare inosservata la lunga parentesi di Andrea Peria – già cerimoniere della campagna elettorale di Schifani e presidente del Corecom – ai vertici dell’Orchestra Sinfonica, nelle vesti di sovrintendente. Mentre la sua agenzia, passata di mano alla moglie, continuava a organizzare i festini e le kermesse di Forza Italia. Lo stesso Peria, costretto a dimettersi dall’incarico per la sussistenza di motivi d’incompatibilità (troppe poltrone!) resta tuttora in ballo per la guida del Massimo, dove Schifani s’è messo di traverso sulla riconferma di Marco Betta. Una riconferma chiesta a gran voce dal sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.

Anche sul versante palermitano, al Comune, Schifani è stato abile a districarsi. Dopo una prima parte della legislatura tutto sommato sufficiente, ha imposto al sindaco un rimpasto e la nomina in giunta di Pietro Alongi, il postulatore della sua santità (un altro bocciato alle Regionali). Innescando uno strano giro per fare fuori gli ex amici di Micciché, nel frattempo transitati in altri partiti. Alla Regione, invece, dopo avergli conferito un incarico da 60 mila euro l’anno per garantirsi la sua consulenza sul tema dei fondi extraregionali, ha imposto a Elena Pagana (ex assessore al Territorio), la scelta di Gaetano Armao come presidente della Cts, cioè la Commissione tecnico specialistica da cui passano tutte le autorizzazioni di natura ambientale. Una leva di potere come poche. Anche la zarina di Palazzo d’Orleans è farina del suo sacco: Simona Vicari, ex sindaca di Cefalù, gestisce le questioni energetiche e legate ai trasporti, come se due assessori non fossero abbastanza.

In Sicilia è stata lottizzata la Finanziaria, ma anche le manovre-bis e -ter: ovunque si innescano dei meccanismi di spartizione, con una suddivisione scientifica della spesa (le cosiddette mance) per non lasciare fuori nessuno. Però Schifani si meraviglia che ciò accada con la sanità. La scelta dei direttori generali di Asp e ospedali, dopo molteplici rinvii sui termini fissati dall’assessorato, è arrivata lo scorso 31 gennaio, a un passo dall’ultimo gong. Anche in quel caso con una spartizione in piena regola, facendo carta straccia di curriculum ed esperienze pregresse: persino la Commissione Affari istituzionali dell’Ars, che si era detta inflessibile organo di garanzia e di controllo, ha fatto spallucce di fronte ai desiderata del governo e dei partiti della maggioranza. E’ avvenuto lo stesso con i direttori sanitari e amministrativi, tanto che si fatica a rinvenire tra loro un indipendente.

Così come non può ritenersi plurale e inclusivo il partito del governatore. Schifani ha messo a capo di Forza Italia il suo ventriloquo e capo della segreteria particolare, Marcello Caruso, dopo aver convinto tutti gli ex adepti di Micciché a saltare sul suo carro dopo la (auto)demolizione di quest’ultimo. L’ex assessore Scilla aveva qualche riserva, essendo tra i fedelissimi dell’ex presidente dell’Ars: ma è stato miracolosamente nominato esperto in ragione delle competenze acquisite “segnatamente nel settore della pesca”. A sessantamila euro l’anno. Anch’egli ha aderito alla Confraternita entrando dalla porta di servizio. E’ o non è anche questo un “balletto inqualificabile”?

Alberto Paternò :

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