A Palazzo dei Normanni non c’è verso di mettere d’accordo la maggioranza su niente. Alla seduta n.53 dell’Assemblea regionale, l’epilogo è lo stesso: tutto rinviato. Come una partita per nebbia. A mancare, più che la visibilità, è la visione. E pensare che in aula si sarebbe dovuto discutere degli emendamenti aggiuntivi, i cosiddetti “fuori sacco”, da calare nel secondo collegato alla Finanziaria. In pratica la sessione di bilancio è sempre aperta, ormai da febbraio; ma i partiti e i 70 parlamentari non trovano il modo di spartirsi i (pochi) milioni a disposizione per le marchette. Inizialmente si era pensato di assegnare una dotazione da 100 mila euro a deputato per sfamare le esigenze territoriali di ognuno, poi ci si è accorti che i soldi non bastavano: si dovrà procedere col misurino.

Per evitare che la maggioranza imploda, la seduta è stata rinviata a martedì prossimo. Con la precisazione, però, che la commissione Bilancio rimane convocata per affrontare il nodo di queste norme, alcune ordinamentali e altre di spesa, e portare in aula una versione definitiva: magari un maxi emendamento che contenga le proposte più importanti (chiedere che corrispondano alle più sensate, però, è fare un torto al tornaconto elettorale). Questa, ad oggi, la situazione all’Ars. Dove da novembre  sono state approvate pochissime leggi e continua a mancare la carne al fuoco invocata dal presidente Galvagno: Schifani e il suo governo non riusciranno neppure a discutere la riforma delle province, con il ritorno all’elezione diretta, che è già slittata sull’agenda di settembre. Al ritorno dalle ferie.

Questa è la realtà e toccherà farci l’abitudine. Il centrodestra, nonostante la prestanza numerica, non riesce a dettare ritmi e condizioni. Fin dall’inizio Galvagno e Falcone, l’assessore all’Economia in parte delegittimato da Schifani (ha perso la delega ai rapporti col parlamento e in seguito quella alla Programmazione), hanno cercato sponde in aula pur di arrivare all’approvazione degli atti. In occasione della Legge di Stabilità è stato possibile procedere grazie al maxi-inciucio (o accordo, come preferite) che ha coinvolto i partiti dell’opposizione. E anche a questo giro la debolezza della maggioranza appare plastica nelle dichiarazioni del Movimento 5 Stelle: “Abbiamo aspettato a lungo questo collegato bis e alla fine non c’era praticamente nulla per i siciliani. Il paradosso è che hanno trovato 600 mila euro per le sagre, ma non hanno previsto nulla per i Comuni, che in questo momento hanno pure difficoltà a pagare le bollette”.

Il centrodestra vive nella finzione che vada tutto bene, che il governo stia lavorando a ritmi incessanti e il nuovo Rinascimento della Sicilia sia alle porte. Schifani ha evitato il rimpasto perché – sostiene – tutti gli assessori meritavano la riconferma e il clima in giunta è fantastico; qualche minuto dopo, però, Fratelli d’Italia riapriva la caccia alle streghe, chiedendo la rimozione di Mimmo Turano per l’infedeltà di Trapani, mentre a Siracusa proseguiva il balletto per contendersi la presidenza del Consiglio. Il governatore, inoltre, sostiene la necessità di alcuni interventi urgenti per il bene dei siciliani, citando a mo’ d’esempio la catastrofica riforma delle province. Lo ribadirà questo pomeriggio nel vertice coi segretari di partito (unico assente giustificato Totò Cuffaro, in missione in Burundi), anche se la legge parte già azzoppata da una sentenza della Corte Costituzionale che impone di accelerare con le elezioni di secondo livello, evitando il ricorso a ulteriori commissariamenti.

Altro tema su cui dibattere è quello relativo alla sanatoria proposta dal patriota Giorgio Assenza per tutti gli edifici ricadenti in zona vincolata, che sorgono a meno di 150 metri dalla battigia, realizzati fra il 1976 e il 1985. Si parla di circa 200 mila case. Ecco: su questo provvedimento borderline la coalizione potrebbe ritrovarsi, anche se in passato la smania del condono ha portato a pessime operazioni stroncate sul nascere e a proteste bipartisan. Schifani, però, non potrà storcere il naso di fronte alla proposta di Fratelli d’Italia, che sulle province ha dovuto ingoiare il primo boccone amaro (lo stesso Assenza aveva palesato il rischio impugnativa in caso di mancata approvazione della Delrio). Tirare la corda coi meloniani non conviene al governatore, che ha già dovuto rimangiarsi i buoni propositi sul turismo – vedi il licenziamento di Scarpinato dopo il caso Cannes – ed è tornato a elogiare l’operato della “corrente turistica” di Fdi anche su SeeSicily, nonostante le critiche della commissione Ue e la revoca dei contratti con gli albergatori (ad opera dello stesso assessorato). Persino l’idillio fra Schifani e il primo partito della coalizione, lo stesso che l’ha voluto alla guida della Regione per il dopo Musumeci, sembra esso stesso una finzione.

E’ tutto artefatto: il rapporto fra partiti e dentro i partiti; la stima nei confronti degli assessori; l’annuncio delle riforme. E infine la revisione degli accordi con lo Stato. Ieri Schifani ha incontrato il ministro Giorgetti in videocall e ha annunciato i nuovi termini per sbloccare le assunzioni e il turnover dirigenziale: “A fronte di un impegno ad aumentare gli accantonamenti utili alla riduzione del disavanzo – ha spiegato il governatore siciliano – potremo avviare realmente la macchina dei concorsi per una vera e propria rigenerazione amministrativa dei nostri uffici e per colmare i vuoti nelle piante organiche”. Già, ma quanti soldi dovrà risparmiare la Sicilia ogni anno? “Gradualmente fino a 500 milioni”. E che sarà mai? Mezzo miliardo da accantonare sul bilancio regionale (mica puoi pagare i debiti coi fondi europei) per rientrare dal disavanzo e sbloccare altre voci. Un impegno reale di riqualificazione della spesa o un tentativo estremo di addolcire l’estate con l’ennesima pantomima? Prima le mance, poi si vedrà.