Da qualche parte bisognava pur ricominciare: così Renato Schifani, reduce dal mancato rimpasto e dalle invettive taorminesi di De Luca, ha ripreso a riempire le caselle dei ‘buoni’ e dei ‘cattivi’. Finisce in quest’ultima il nome dell’assessore all’Economia Marco Falcone, che s’è visto scippare in poche ore le deleghe alla Programmazione e ai Rapporti col parlamento: quest’ultima, transitata anche da Di Mauro, è stata assegnata a Luca Sammartino, vicepresidente in carica. Una evidente contromisura all’ultima crisi che s’è consumata con l’Ars sul tema Taormina: le paventate dimissioni del governatore, da sempre “parlamentarista convinto”, hanno costretto il presidente Gaetano Galvagno a interrompere e rinviare la seduta di qualche giorno. Il tempo necessario a Schifani, forse, per chiarirsi le idee.

De Luca, al contrario, le idee ce le ha molto chiare. Il nuovo sindaco di Taormina, da qualche settimana, lavora al colpo grosso. Prima ha abbandonato la fondazione TaoArte per la mancata modifica dello Statuto che avrebbe concesso al Comune di avere pari dignità rispetto alla Regione (che esprime tre membri del Cda contro uno); poi ha avanzato all’assessore ai Beni culturali una serie di proposte che consentissero al Comune una partecipazione agli utili del Parco archeologico, allo scopo di garantire alcuni servizi accessori come la viabilità, il decoro urbano e la raccolta dei rifiuti durante i grandi eventi. La proposta, accolta inizialmente da Scarpinato, è stata bocciata da Schifani: non perché abbia un costo insostenibile per le casse della Regione (d’altronde vengono sborsati 120 mila euro l’anno per garantirsi le prestazioni di due ‘esperti’ come Gaetano Armao e Simona Vicari) ma perché, a quanto pare, il presidente non vuole concedere neppure le briciole al suo principale oppositore in campagna elettorale. Per una questione di principio. Nisba.

Come può uno come Schifani, che idolatra il proprio ego e coltiva rancori, cedere alla lusinga di una collaborazione istituzionale con un sindaco come De Luca? La domanda suonerebbe retorica in qualsiasi altro scenario politico. Ma in Sicilia, no: è reale. La crisi di queste ore, così com’è stata approcciata, può avere un solo sbocco: un’ordinanza del primo cittadino che vieti l’accesso all’area del Teatro Antico a partire dal primo luglio. “Non mi fermo qui – ha detto Scateno nel corso di una diretta Facebook – E’ inaccettabile che per un capriccio di Schifani, per la sua acredine nei miei confronti, non si abbia l’onestà intellettuale di riconoscere la bontà di una norma che non riguarda solo Taormina ma tutti i comuni siciliani dove ricadono parchi e siti archeologici e addirittura si preferisca bloccare l’intero ddl piuttosto che dare ragione a De Luca”.

L’acredine, a Palermo, attecchisce facilmente. Ne è prova l’esperienza di Gianfranco Miccichè, costretto a dimettersi da commissario regionale del suo partito (lo scorso marzo) per evitare una diaspora che avrebbe provocato il dispiacere di Silvio Berlusconi. Proprio ieri Micciché non ha esitato un attimo quando c’era da schierarsi: “Solidarietà a Cateno De Luca e a tutti i sindaci siciliani dei Comuni dove ricadono parchi e siti archeologici per aver sperimentato sulla pelle dei loro cittadini, il rancore del presidente della Regione”. Poi si è spinto oltre: “Schifani è una persona che vive delle sue vendette e dei suoi rancori. Non gliene frega niente del bene della Sicilia, ma dovrebbe ricordarsi, tutte le mattine, di lavorare per la Sicilia e per il bene dei suoi cittadini, così come pensavano che avrebbe fatto quelli che lo hanno candidato e quelli che lo hanno votato”. Tra quelli c’era anche lui.

Oggi, però, la questione è più attuale. E vede in atto uno scollamento fra Schifani e il parlamento, e fra Schifani e lo stesso governo se – come sostiene il deputato del Pd Antonello Cracolici – “il presidente non si fida dei suoi assessori”.  Eppure non può rimuoverli a cuor leggero, perché i partiti della coalizione sono lì pronti a crocifiggerlo. Anche su Scarpinato, che era finito al centro dello scandalo di Cannes, s’è riaperta in questi giorni la partita. Dopo l’incontro fra l’assessore ai Beni culturali e De Luca per approfondire il caso Taormina, Schifani è andato su tutte e ha ridato corpo alla tentazione di alcuni mesi fa: cacciarlo. Ha dovuto fermarsi di fronte alle resistenze di Fratelli d’Italia. Proprio ieri, dopo un prolungato silenzio, l’ex ufficiale dell’esercito è stato costretto ad intervenire per calmare le acque ma soprattutto per confutare – con pochissima convinzione, per la verità – la tesi di De Luca: “Non ho mai ricevuto minacce dal presidente Schifani, con il quale stiamo lavorando in piena sintonia e totale sinergia per il bene della Sicilia e per andare incontro alle legittime istanze manifestate non soltanto dal comune di Taormina, ma da tutti i centri siciliani nei quali ricadono parchi e siti archeologici”.

E ha aggiunto: “Al sindaco Cateno De Luca, fin dal nostro primo incontro, ho dato piena disponibilità a lavorare a un protocollo che contempli le esigenze relative a questioni attinenti l’ordine pubblico e il decoro urbano, con particolare riferimento allo smaltimento dei rifiuti. Insieme al governo regionale siamo al fianco di tutti i sindaci per risolvere le problematiche relative agli enti locali”. De Luca, però, non è uno che s’arrende o si placa. Anzi, trae vantaggio dalla polemica per alimentare le proprie convinzioni. Schifani ha trovato un avversario difficilissimo da domare o silenziare, e che alla distanza rischia di prevalere.

Al netto delle ripicche e dei giochi di ruolo, la vicenda del Teatro Antico necessita di una pezza urgente. Come già rappresentato dal presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, neppure la maggioranza dirà ‘no’ in maniera pregiudizievole a una proposta dell’opposizione. Se quell’emendamento tornerà in aula, e accadrà al più tardi mercoledì prossimo, bisognerà trovare i modi e gli strumenti per sostenerlo. Altrimenti questo centrodestra ballerino e il suo presidente si ritroveranno a fare i conti con le solite imboscate che hanno falcidiato il povero Musumeci fino alla rassegnazione.

“Non siamo ricattabili”, ha sostenuto Schifani. Ma qui non si tratta di questione morale. O meglio, c’entra anche quella: per troppi anni la gestione del Teatro Antico (che secondo Scateno genera profitti per 30-40 milioni l’anno) e dei parchi archeologici ha ingrossato le tasche dei soliti noti. De Luca, che ha scoperto l’inganno, non ha più alcuna voglia di tollerarlo: “Non pensavo ci fosse un approccio politico-affaristico, quasi mafioso, sui siti archeologici – ha detto il sindaco -. C’è un clima omertoso che fa paura. Il Teatro Antico è l’affare degli affari. La società che lo gestisce non ha più la copertura contrattuale e ancora non si è neanche predisposta la gara: però incassa il 29% dello sbigliettamento e gestisce i servizi all’interno. Questa lobby si è schierata contro di me, ma io non ho accettato gli ammiccamenti né i biglietti gratis”. E’ pronto ad andare contro chiunque. Figurarsi se teme Schifani. La guerra di Taormina è appena cominciata.