Schifani e i suoi troppi nemici

Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, a fianco del sindaco Roberto Lagalla, diventato ormai un rivale

Il nucleo schifaniano di Forza Italia chiede con insistenza al sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, un cambio in giunta: Pietro Alongi, l’ombra del governatore, al posto di Andrea Mineo. Non perché Mineo abbia particolari colpe nella gestione delle sue deleghe; bensì perché è amico di Gianfranco Micciché, e da qualche tempo – dicono – più vicino alle posizioni della Lega e di Luca Sammartino. Gli schifaniani, che da qualche mese hanno preso possesso di Forza Italia e l’hanno portata a sbattere alle Amministrative, non possono accettare una cosa del genere: pretendono il controllo assoluto.

Ma in questo modo il presidente della Regione rischia di crearsi ogni giorno un nemico nuovo. Nel capoluogo, come racconta il Giornale di Sicilia, avrebbe provocato le ire del mite Roberto Lagalla, che all’ennesima telefonata di Alongi, avrebbe finito per redarguirlo: non accetta pressioni, tanto meno ricatti. Oltre a Mineo, Schifani ha messo nel mirino anche l’altro assessore vicino a Micciché: la brava Rosi Pennino, che il sindaco apprezza per il suo lavoro a sostegno delle fasce deboli. Da un lato c’è chi prova a curare le ferite dell’anima con politiche attente; dall’altro chi prova a spodestarla per mero tornaconto partitico. Il pressing di questi giorni non trova altre spiegazioni.

Ma il giochino, negli ultimi due o tre mesi (Caruso diventa commissario l’11 marzo), è stato svelato. All’interno di FI – dopo la guerra senza quartiere nei confronti di Micciché, che negli ultimi giorni è arrivato a denunciare un’azione di spionaggio nei suoi confronti (senza fare nomi) – il bersaglio preferito di Schifani è Marco Falcone, che a Catania ha dovuto ingoiare la nomina di un assessore vicino a Nicola D’Agostino: l’imprenditore Salvatore Tomarchio, non eletto alle ultime Regionali. Falcone ha provato a far leva fino in fondo sui numeri, ma non c’è stato verso. Peraltro la sua posizione all’interno della giunta regionale è a rischio: col governatore non corre buon sangue dai tempi dell’ultima parifica ed è peggiorato con la Finanziaria, per aver lasciato troppo spazio alle opposizioni. Fino a deflagrare quando Falcone non votò la delibera che ridefiniva il perimetro delle Camere di commercio (un’operazione utile a lanciare l’assalto sulla Sac e su Fontanarossa).

Sempre all’interno di Forza Italia, c’è un altro nemico che cova vendetta. E che in realtà è già riuscito a capitalizzare, a Siracusa, la prepotenza dei nuovi leader: cioè Edy Bandiera, che si è autosospeso dal partito alla vigilia del voto e, oltre ad aver impedito la vittoria al primo turno di Sebastiano Messina, ha dimezzato le preferenze di FI (passato dal 14 al 7 per cento) e spinto l’uscente Italia ad imporsi al ballottaggio. Insomma, della kermesse festante del Politeama dello scorso aprile, in cui Forza Italia dava prova di compattezza come mai prima d’ora, è rimasta la foto sgranata di Cancelleri in seconda fila: i suoi candidati, a Catania, non si sono aggiudicati alcun seggio.

Ma la schiera dei ‘nemici’ di Schifani prosegue fuori dal recinto azzurro. Uno di questi è Mimmo Turano, cui il presidente della Regione le aveva già promesse alla vigilia delle Amministrative di Trapani: il fatto che l’assessore alla Formazione non sia riuscito a portare il suo gruppo al fianco di Miceli (candidato di FdI) ha fatto scattare la rappresaglia. Una valutazione definitiva sulla sua permanenza al governo è slittata al termine dei ballottaggi. Adesso ci siamo. Anche nell’ultima riunione di giunta Turano è andato via prima, quasi come un estraneo. La sua estromissione, però, rischia di creare un effetto domino anche nei confronti dei leghisti: Luca Sammartino è la personalità più influente fra i salviniani, e non accetta che il collega venga fatto fuori in questo modo. C’è di mezzo anche il rapporto con il Ministro delle Infrastrutture e vicepremier, che non può permettersi di perdere Mr. Preferenze per le scorribande di un governatore rancoroso. Si vedrà.

Le inimicizie dell’ex presidente del Senato, però, trovano terreno fertile anche altrove. Negli ultimi giorni, dopo avergli perdonato (costretto da La Russa) la negligenza di Cannes, è finito di nuovo nel mirino Francesco Scarpinato. La colpa dell’assessore ai Beni culturali? Aver offerto collaborazione a un sindaco… Certo, si tratta di un sindaco particolare come quello di Taormina, che dall’inizio della campagna elettorale per le Regionali è stata una spina nel fianco. Ma non puoi pensare di escludere Cateno De Luca dal dibattito politico e delle decisioni che contano, e cavartela con un applauso. Al contrario: Scateno, oltre a minacciare la chiusura delle vie d’accesso al Teatro Antico, ha accusato Schifani di voler esautorare Scarpinato a causa del loro incontro: “Voglio manifestare la mia solidarietà all’assessore regionale ai Beni Culturali, reo di aver svolto pienamente e in autonomia il suo ruolo istituzionale aprendo al confronto con il sottoscritto nell’interesse di Taormina. Mi dispiace sinceramente per l’assessore Scarpinato – ha detto il sindaco – sminuito e smentito dal suo Presidente per mera acredine e vendetta nei miei confronti proprio da parte di Schifani”.

Sia Scarpinato che De Luca, per questo, si meritano l’etichetta di ‘nemici’. Come l’ex assessore al Turismo di Musumeci, Manlio Messina, che non ha mai perdonato a Schifani il tentativo di far ricadere sulla catena di comando patriota lo scandalo di Cannes e dei 3,7 milioni di affidamento diretto nei confronti di una società del Lussemburgo per l’organizzazione di una mostra fotografica all’Hotel Majestic. Il ritiro del provvedimento in autotutela e i sospetti di Schifani, gli costarono una durissima reprimenda televisiva: “In merito all’edizione del 2023 – disse Messina ad Antenna Sicilia -, tutto viene fatto in un arco temporale che va dal 20 ottobre all’11 novembre, ovvero quando io non sono più assessore al Turismo e non lo è ancora Scarpinato. L’assessore al Turismo ad interim, in attesa delle nuove nomine, era proprio il governatore Schifani. A questo punto, o Schifani non ha guardato le carte, e questo sarebbe gravissimo, oppure non le ha sapute leggere”. A quell’accusa Schifani non replicò mai, consapevole del rischio: cioè innescare una combutta col partito della Meloni che rappresenta – in Italia e in Sicilia – l’unica versa stampella su cui reggersi. Ecco perché mandare via Scarpinato, anche adesso, è un processo che richiede tempo ed ingegno.

Ma al di là di come finiranno le cose con l’assessore ai Beni culturali, con Turano e con Falcone, e al netto di come sono già finite con De Luca, Micciché e Messina, sorprende come un presidente della Regione provi ogni giorno a farsi terra bruciata intorno. Come riesca a far prevalere i rancori personali sui rapporti istituzionali; come tenti di spaccare, anche all’interno del suo partito, per ottenere la fetta migliore. Anche Tajani, per dire, non lo fa dormire sereno: il governatore, prima della scomparsa di Berlusconi, sperava di accaparrarsi il ruolo di responsabile del partito per l’area meridionale, poi finito al fedelissimo della Fascina, Tullio Ferrante. E aveva parlato di un “malessere” nel partito, di uno “strabismo che va corretto”, di “una Forza Italia con una classe dirigente del Nord e con i voti che vengono dal Sud”. Oggi Tajani gli ha risposto dalle colonne del Corriere della Sera: “Sono sempre stato contrario alle correnti, non credo ai personalismi ma alle persone e sono sicuro che tutti avranno qualcosa di importante da fare. Come dimostrano i capigruppo, c’è già una rappresentanza Nord, Sud e Centro. E ripeto: ci sarà un ruolo per chiunque voglia lavorare”. Non sembra l’inizio di un gran sodalizio, semmai dell’ennesimo litigio.

Alberto Paternò :

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