Uomini e donne di Fratelli d’Italia celebrano oggi, legittimamente, il primo anniversario della vittoria elettorale. Sarà un atto di orgoglio e anche di ringraziamento a Giorgia Meloni che, dopo una lunga traversata nel deserto dell’opposizione, ha sfiorato il 30 per cento dei voti e ha portato i patrioti nelle dorate stanze del governo. Lodi meritatissime. Ma c’è un ma. Che riguarda la Sicilia. Nel giorno stesso in cui la destra sociale ha varcato la soglia di Palazzo Chigi, a Palazzo d’Orleans si è insediato, come presidente della Regione, Renato Schifani, un anziano signore scelto da Ignazio La Russa, colonnello della Meloni, e imposto amorevolmente – prendere o lasciare – ad una coalizione di centrodestra squinternata dalle liti e flagellata dalle ambizioni.

E’ stata una scelta dissennata. La Sicilia è sprofondata in una palude fatta di incompetenza, di inefficienza, di rancori, di indecenti giochi clientelari. L’ultima conferma dello spessore politico e culturale del governatore si è avuta ieri. Quando il vescovo di Cefalù, con un grido di dolore, ha lamentato l’assenza della Regione sul fronte degli incendi – un inferno di fuoco che devasta il territorio come la fuga dei giovani in cerca di lavoro dissangua paesi e campagne – Schifani, offeso nell’onore al pari di un qualunque Mimì Metallurgico, l’ha subito bollato come un nemico, come un sovversivo: “La sua critica è inaccettabile”, ha strillato.

“Inaccettabile”. E perché? Ha un vescovo, come ogni cittadino, il diritto di criticare l’immobilismo di Renato Schifani oppure no? Il guaio è che questo presidente della Regione non sa che cosa significa governare: non l’ha mai fatto, non ha retto nemmeno le redini di un condominio. E un narciso che si esalta solo se qualcuno bussa alla sua porta per baciargli la pantofola. Chiunque osa avanzare una critica diventa immediatamente un suo nemico personale e il destinatario obbligato di ogni permalosità, di ogni risentimento, di ogni livore.

Lui, il presidente, è chiuso nel palazzo con la sua corte di giocolieri e pagnottisti: un finto coordinatore regionale di Forza Italia, un avventuriero della politica travestito da avvocato di affari, una gentile signora alla quale bisognerà prima o poi assegnare un ruolo pari allo stipendio percepito, un impresario di musica e musicanti, promosso sempre a più alti incarichi per meglio allietare i giorni e le ore dell’allegra compagnia. La crisi che affligge la Sicilia non lo riguarda. E se qualcuno, come il Vescovo di Cefalù, lo richiama con forza ai suoi obblighi e ai suoi doveri, lui – il malmostoso Schifani – lo iscrive immediatamente nel registro dei reprobi.

Ci riflettano oggi gli uomini e le donne di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni, che pure ha indubbiamente i suoi meriti, ha regalato alla Sicilia una sciagura.

Nella foto Monsignor Marciante, Vescovo di Cefalù