Alla fine, tra le tante giravolte, il Movimento 5 stelle è giunto persino a scoprire la Costituzione e a invocare il rispetto dell’articolo 68, quello che prevede l’autorizzazione del Parlamento per sottoporre i suoi membri alle intercettazioni. Proprio l’articolo più massacrato dalla propaganda grillina negli ultimi anni (celebre lo slogan “Intercettateci tutti”), rappresentato come un privilegio della casta politica anziché un istituto a tutela dell’autonomia del Parlamento da indebiti sconfinamenti del potere giudiziario. A indurre il M5s a questa rivoluzione copernicana è stato il caso che ha travolto il senatore grillino Roberto Scarpinato. L’ex magistrato è stato intercettato 33 volte nell’ambito di un’inchiesta che vede coinvolto Gioacchino Natoli, ex presidente della Corte d’appello di Palermo, indagato dalla procura di Caltanissetta per favoreggiamento a Cosa nostra e calunnia per il presunto insabbiamento dell’indagine mafia-appalti. Nonostante Scarpinato non fosse indagato, e nonostante le chiacchierate con l’ex collega Natoli non hanno alcuna rilevanza penale, le conversazioni sono state trascritte dalla polizia giudiziaria su ordine dei pm.
Come da tradizione italica, la notizia dell’esistenza di queste intercettazioni è finita sui giornali, alimentando la polemica politica: i partiti di centrodestra hanno infatti accusato Scarpinato di avere preventivamente concordato con Natoli i contenuti di una successiva audizione di quest’ultimo alla commissione parlamentare Antimafia, della quale lo stesso Scarpinato fa parte. Il cerchio si è chiuso quando la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo (FdI), ha chiesto e ottenuto dalla procura di Caltanissetta la trasmissione delle intercettazioni che coinvolgono Scarpinato, senza alcuna autorizzazione preventiva da parte del Senato come prevederebbe la Costituzione.
Così il M5s ha improvvisamente scoperto il valore dell’articolo 68 della Costituzione. Scarpinato ha inviato al presidente della giunta delle immunità del Senato, Dario Franceschini, una lunga lettera – che il Foglio ha potuto visionare – in cui denuncia “la violazione di legge” compiuta dalla procura di Caltanissetta e dalla commissione Antimafia, e chiede di avanzare un conflitto di attribuzione tra poteri dello stato di fronte alla Corte costituzionale. Dopo aver precisato di non aver mai concordato domande con Natoli, ma di aver avuto con lui soltanto un confronto su fatti risalenti nel tempo, Scarpinato attacca: “Nonostante sin dalle prime conversazioni risultava evidente che il dott. Natoli stava parlando con un parlamentare che talora chiamava dal Senato, con il quale aveva frequenza di conversazioni e con il quale si dava spesso appuntamento telefonico per telefonate successive, non solo si è proseguito all’ascolto prolungato di tutte le conversazioni successive, certo non più qualificabili come casuali, senza richiedere l’autorizzazione di cui all’art. 68 della Costituzione e all’art. 4 della legge Boato”. Continua su ilfoglio.it