Scandali. Schiaffi per i cuffariani, inchini davanti ai patrioti

Ruggero Razza (foto Mike Palazzotto)

La legge è uguale per tutti ma per i Fratelli d’Italia è ancora più uguale: nel senso che i gerarchi, appartenenti alla casta dei vincitori, possono non pagare pegno. Come la ministra Santanché, già rinviata a giudizio, o come il sottosegretario Delmastro, condannato addirittura in primo grado. Se il vertice dell’Ospedale di Villa Sofia – un sottogoverno di stampo cuffariano – è stato terremotato subito dopo lo scandalo di un paziente abbandonato per diciassette giorni su una barella, altrettanto non può dirsi dell’Asp di Trapani dove la storiaccia infame delle colpe e delle inadempienze sembra molto più grave: oltre tremila esami istologici accumulati e dimenticati in un cassetto tra il 2024 e il 2025.

Pensate quali gravi conseguenze potranno abbattersi sulla Regione il giorno – ovviamente non lontano – in cui sarà depositata presso il giudice civile la class action dei centosettanta malati di tumore che potevano essere salvati facilmente e che invece dovranno sottoporsi a cure sicuramente più spietate e meno efficaci. Quanti milioni di euro saranno necessari per i risarcimenti e per i rimborsi? Ma Ferdinando Croce, il manager dell’Asp di Trapani è un patriota, per giunta protetto da Ruggero Razza, un gerarca che ha segnato per cinque anni l’amministrazione della sanità in Sicilia. Quindi è un intoccabile come Delmastro o la Santanchè. O come il famigerato Balilla, capo della potente e spregiudicata corrente turistica di Fratelli d’Italia. Il quale, anche se costretto alle dimissioni da vice capogruppo della Camera in seguito a un repulisti imposto in Sicilia da Giorgia Meloni, gode, malgrado tutto, di alcuni sorprendenti privilegi.

Intanto gode ancora di buona stampa. Lui, il Balilla, spaccia la tesi secondo la quale le dimissioni dal vertice del gruppo di Montecitorio sarebbero state un suo atto di responsabilità, finalizzato esclusivamente ad agevolare la rigenerazione e il rilancio del partito in Sicilia. Una tesi a dir poco bislacca che alcuni giornali, anche autorevoli, hanno accettato e fiancheggiato, senza nulla obiettare. Ma non c’è solo l’inchino di una fetta, per quanto minoritaria, dell’informazione. Il Balilla viene trattato con i guanti gialli anche da un organo di controllo come la Corte dei Conti. La quale ha aperto certamente una inchiesta sugli sprechi e gli azzardi che hanno segnato la stagione più arrogante e nefasta dell’assessorato al Turismo; ma sembra essersene già pentita.

Qualche giorno fa, su Repubblica, è uscito un sommario elenco di circa duecento indagini promosse dalla magistratura contabile, ma in quell’elenco mancava proprio l’accenno alle malefatte del Balilla: SeeSicily, Cannes, Bellini Contest; e ciò nonostante la stessa magistratura avesse già inoltrato una rogatoria in Francia per acquisire i retroscena di un appalto milionario assegnato dal Turismo, ai margini del festival cinematografico di Cannes, a un avventuriero lussemburghese. Nell’elenco, monco e approssimativo che una “manina manona” ha rifilato a Rep, figurava invece un’inchiesta, sempre della Corte dei Conti, su Nomura: cioè su quell’opaco filo rosso e truffaldino che ha legato il governo della Regione presieduto da Totò Cuffaro a una banca giapponese. Siamo agli albori del Duemila. Dopo vent’anni l’inchiesta su Nomura non è ancora approdata a nulla e viene pure segnalata ai giornali. Ma sulle nefandezze del Balilla meglio una parola in meno che una parola in più.

Chiunque può prendere a schiaffi i cuffariani: dall’affare Nomura allo scandalo di Villa Sofia, tutto fa brodo. Perché il loro leader è un politico segnato da una condanna, addirittura per mafia; quindi, per la cosiddetta società civile, una sorta di appestato. Mentre le prodezze e le arroganze dei patrioti vengono tutelate dal riserbo, avvolte amorevolmente in una bambagia di silenzi, di comprensione, di fiancheggiamento e genuflessione. Vae victis, guai ai vinti. Solo ai vinti.

Giuseppe Maria Del Basto :

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