Se fosse realmente un intellettuale e se fosse realmente scomodo non sarebbe stato tra i “superospiti” del programma ormai più mainstream in assoluto, per giunta della Rai, il festival di Sanremo. Nessuno l’avrebbe invitato per non turbare la gioiosa serata degli italiani.
Purtroppo per lui (e anche per noi), Roberto Saviano non è né Pier Paolo Pasolini né Leonardo Sciascia, non stimola alcun dibattito, se non le facili polarizzazioni da social. È un predicatore di banalità semplificate per un pubblico sedato dalle idiozie, che può diventare maitre à penser soltanto in un contesto in cui la “Ragione” si esprime per tweet e slogan.
La memoria è una cosa serissima perché è la base di un popolo realmente democratico che conosce la sua storia e può dunque migliorarla, evitare di cadere in facili trappole politiche, che agisce con la testa e non con la pancia.
L’Italia è un Paese che non ha mai realmente fatto i conti col suo passato recente, soprattutto perché ha una storia fatta di buchi neri: non sa la verità sulle stragi per esempio. Non solo quella di via D’Amelio, ma su tutte quelle che, andando a ritroso, arrivano almeno fino a Portella della Ginestra.
Saviano, che non è Pasolini, non sa, figurarsi avere le prove. Ci dice dal palco dell’Ariston che ci vuole coraggio, che chi si gira dall’altra parte è colluso. Elementare, Watson. I vuoti, i buchi neri, le verità negate, i depistaggi, l’antimafia di facciata, i processi per far carriera? Non contano, non ne parla, Saviano, anche se sono proprio queste cose ad impedire al Paese di ricordare realmente.
Fa alzare tutto il teatro per ricordare Falcone e Borsellino, Saviano. Bello. Dà quel tono engagé alla kermesse dell’ovvietà. Peccato che, in questa ipocrisia pornografica, non serva assolutamente a nulla: ci laviamo due secondi la coscienza – da bravi cattolici davanti al confessore – e poi chi se ne fotte. Grazie a uomini come Falcone e Borsellino (e a tantissimi di cui ricordano il nome solo i loro poveri parenti) è cambiata la nostra storia. Ma loro sono “eroi” irraggiungibili, noi poveri mediocri, ci assolviamo e passiamo col rosso, paghiamo il posteggiatore, ci facciamo raccomandare (mica siamo fessi), ci facciamo i cazzi nostri (mica siamo pazzi: le sfide le lasciamo agli “eroi”). C’è chi dice che l’importante è che se ne parli, come se i fatti terribili che hanno devastato questo Paese fossero prodotti da pubblicizzare, applicando alla memoria quindi becere logiche di marketing.
Se ne deve parlare certo, ma nei contesti giusti, non tra un balletto e uno sketch, non mentre una decina di deficienti vengono santificati come artisti, per giunta rivoluzionari. E soprattutto ne deve parlare chi ha qualcosa da dire e da raccontare, non certe icone dell’impostura costruite a tavolino.
Saviano condurrà a breve un nuovo programma in Rai, ma naturalmente non c’entra nulla con la sua predica di ieri sera, per la quale – ha tenuto a precisarlo – non ha percepito alcun compenso. Predica che non è servita assolutamente a nulla: oggi si parla di Drusilla e di altri anticonformisti per famiglie piccolo borghesi, oggi si parla di Iva Zanicchi, non della sua canzone, figuriamoci (io potrei scrivere un trattato sulla sua pausa tra “Prendi questa mano” e “zingara” nell’edizione del 1969, quando non ero neppure nata). Oggi non si parla di mafia, di memoria, di depistaggi. Oggi si continua a blaterare, esattamente come ieri e l’altro ieri e il giorno prima ancora. Oggi si continua a non ricordare e a non capire.
(tratto da Facebook)