Essere donne, in Sicilia, presenta una complessità duplice. Ed è quella che prova a esplorare Gaetano Savatteri, giornalista e scrittore originario di Racalmuto (lo stesso paese di Leonardo Sciascia) nel suo ultimo saggio: si intitola ‘Le siciliane’ (272 pagg, edito da Laterza). Il volume, a cavallo fra il 24 e 25 novembre, data in cui ricorre la giornata contro la violenza sulle donne, è stato presentato a Palermo e Bagheria. E’ un libro che vuole infrangere i luoghi comuni sulla fimmina siciliana. Savatteri, in premessa, ci aiuta a capire quali sono: “Da un lato l’eccessiva sensualità, come ne La Lupa di Verga; dall’altro l’eccessiva remissività, al limite della schiavitù psicologica, come nell’immagine di ‘Carmelina, ricomponiti’, il personaggio di fantasia interpretato da Claudia Cardinale ne I soliti ignoti. Nella descrizione della donna, sia cinematografica che letteraria, ci si è mossi fra queste due polarità. Ma non si può ridurre la storia delle donne siciliane a semplici stereotipi. Ci sono anche quelli, ma non bastano”.
Cosa fa il suo libro?
“Racconta una serie di figure storiche che contraddicono o confermano questi luoghi comuni. Utilizzando una lunga storia di donne uscite da questo schemino, che somiglia più a un bozzetto, a una foto in bianco e nero, dove la donna è dipinta con lo scialle o con la giarrettiera”.
Fra le numerose interpreti a cui attinge, c’è anche la santuzza di Palermo: Rosalia.
“La prendo come spunto perché è la santa nel cui nome vengono fatte fuori le altre quattro: Agata, Ninfa, Cristina e Oliva, ch’erano raffigurate ai Quattro Canti di Palermo. E’ ovvio che ognuna di esse sia stata usata secondo la funzionalità politica ed ecclesiastica del momento. Ma alla fine si riducono a semplici statue di marmo. Invece la Santuzza, la fanciullina che si presume avesse salvato Palermo dalla peste, è testimone di una lotta santa, ma al femminile. Ed entra nella devozione popolare”.
Riconducendo la questione di genere all’attualità, fa specie che in Sicilia – nel 2021 – si siano consumati otto episodi di femminicidio. Qual è la percezione della donna nell’immaginario collettivo siciliano?
“Intanto vale una premessa: c’è un modello di Sicilia come terra di machismo e di onore, di cui gli uomini sono vittime. Questa narrazione per cui “sono siciliano e mi faccio rispettare”, è un malinteso. Costruito a posteriori. E su cui incide una potentissima rappresentazione teatrale, letteraria, musicale. Come nel caso della Cavalleria Rusticana. La Sicilia è permeata di questo malinteso senso dell’onore, e sono le donne, alla fine, a pagarne le conseguenze. D’altra parte i mafiosi, definiti uomini d’onore, diventano uomini del disonore; e gli uomini che uccidono le donne sono anch’essi del disonore”.
Come si fa a scardinare questi tratti culturali un po’ beceri?
“E’ una cosa che potrebbe fare benissimo la scuola – credo che in parte lo faccia – ad esempio esaminando casi e storie. Non si parla tanto d’identità siciliana. Ecco, bisognerebbe spiegare un nuovo modo di concepire le donne in questa terra: parlare di quanto abbiano contribuito, sofferto, combattuto”.
Un legame da rinfoderare è quello fra donne e politica. Sa che alla Regione non esiste nemmeno l’alternanza di genere sulla scheda elettorale? E’ favorevole alle quote rosa?
“Non credo che le quote rose siano la ricetta. A molte donne non piacciono. Secondo me è solo un modo per avvicinarsi quanto più possibile alla parità di genere. E’ una tappa intermedia, nell’attesa che ci si renda tutti conto che sulla politica, sulla cultura, sulle professioni le disparità sono figlie di un tempo vecchio e andato. Se può essere un primo passo, ben venga l’alternanza di genere. Purché le donne non siano presenti in lista solo per garantire un certo numero di uomini. E per consentire loro di continuare a comandare. Altrimenti non ha alcun senso”.
Il suo Quattro indagini a Makari ha ispirato una serie televisiva di successo. Suggerirebbe qualcuno dei suoi personaggi televisivi a qualche produttore tv per farci una fiction?
“C’è una storia di cui parlo, quella dell’attrice Daniela Rocca, che è di per sé una fiction. Questa donna ha interpretato la moglie del barone di Cefalù, Marcello Mastroianni, in Divorzio all’Italiana. Si presentò al grande pubblico nel ruolo di una signora baffuta e bigotta, pesantemente condizionata da un trucco che nascondeva la sua bellezza. Era talmente brutta e molesta che il barone di Cefalù, perdutamente innamorato di Angela, alias Stefania Sandrelli, inventa mille modi per farla fuori. Dopo aver recitato quella parte, che le diede successo e grande visibilità, la Rocca non riuscì più a imporsi come una bella attrice. Doveva essere per forza brutta. Imprigionata da quegli schemi, iniziò per lei un lungo tramonto sfociato nella pazzia. E’ morta in una casa di cura a Milo, sulle falde dell’Etna”.