Santoni & Santori. Propaganda & Cotillon. La danza della democratura, per dirla con Eduardo Galeano, lo scrittore uruguaiano de “Las venas abiertas de América Latina”. Uno che aveva sperimentato sulla sua pelle che talvolta la democrazia può convivere con la dittatura, mescolarsi in una sola parola. Fino ad arrivare ad una data fatidica, il punto di svolta del modello di sistema politico. Lui che aveva vissuto di persona il golpe militare in Uruguay nel 1973 e poi quello dei generali in Argentina nel 1976. E che per due volte era finito nella lista nera dei condannati dagli “squadroni della morte”.
Noi il cotillon della democratura lo vediamo in tv. Ballando con stelle scadenti che già a guardarle danno la misura dello spirito del tempo. E anche del luogo. In Italia la situazione può essere grave, mai seria. La farsa è inevitabile. Perfino nella tragedia in cui viviamo.
Per dire, la drammatizzazione si consuma soprattutto negli studi televisivi. Dove pontificano i santoni del pensiero unico, gli interpreti del mestiere di vivere, gli esegeti per talento innato delle regole, non si sa come e perché codificate e imposte. Sono loro i protagonisti del politicamente corretto. Di lotto. E soprattutto di governo. Quelli che dell’arte d’attaccare l’asino dove vuole il padrone hanno fatto virtù e professione. Di fede e di carriera. Chissà. Dopo il geniale “identikit dei putiniani d’Italia”, stilato da Johnny Riotta, forse più amerikano del suo editore Jaki Elkann, adesso ci si mette pure il Corrierone, a firma anche della vicedirettora Fiorenza Sarzanini, che strilla in prima pagina la lista di proscrizione degli opinionisti e degli influencer, “putiniani d’Italia tra social, tv e stampa”, con “il materiale raccolto dai servizi” per individuare “i canali usati per la propaganda e ricostruire i contatti”. Una “rete”, così la definisce il primo quotidiano d’Italia, manco fossero terroristi, “di politici e manager, lobbisti e giornalisti… che tenta di orientare o peggio di boicottare, le scelte del governo”. Ohibò. Come si permettono? Tanto i “Putinversteher”, come li chiama Riotta, sono sparsi in quantità per tutto l’emiciclo del parlamento italiano. E non solo. Fino a tre mesi fa non ne facevano mistero. Non solo Berlusconi e Salvini. Ha voglia il Copasir di indagare.
Certo, a questa informazione di qualità i “migliori” hanno contribuito da par loro. Cioè, senza parere. Sottotraccia. Hanno raddoppiato negli ultimi due anni i fondi del governo destinati all’editoria con la causale della pandemia. Poi, non c’è stato bisogno neppure di chiedere. L’applauso è partito prima ancora di parlare.
C’è una storia esemplare per eccesso di zelo e cortigianeria. Che alla fine creano imbarazzo anche nei padroni del vapore e trovano spazio nel far west dei social. Exempla trahunt, direbbe sant’Agostino. L’occasione è la conferenza stampa del premier a fine anno, gestita come sempre dall’Ordine dei giornalisti. La prima volta di Mario Draghi nella funzione, la prima volta di un’ovazione all’arrivo del presidente del Consiglio. Senza dargli manco il tempo di aprire bocca, di rispondere almeno a una domanda. Forse solo il tempo di un sorriso. Sornione.
Ma in qualsiasi narrazione, anche mainstream, serve un antagonista. Lo sanno anche i bambini che ascoltano le favole. Se Biancaneve fosse vissuta serena con sua madre e suo padre, sarebbe stata solo una leggiadra principessa. Fine della storia.
Nei talk show puoi mettere assieme i migliori talenti, quelli che conoscono linguaggio, tempi, interruzioni. Che sanno pilotare la diretta senza finire in gabbia. Anzi, tendendo trappole al dissidente di turno. Ma se non c’è, appunto, un dissidente, un antagonista che faccia il controcanto, la narrazione non regge. E soprattutto non fa audience. Alla fine pure le truppe cammellate più esperte in propaganda fanno la figura del Coro dell’Antoniano allo Zecchino d’oro dei tempi che furono.
Con Myrta Merlino a dirigere, per esempio. Con la bacchetta che fu di Mariele Ventre. Myrtona, come la chiamano i suoi fan. Ieratica come una sacerdotessa cretese. Polso di ferro in guanto di ferro. Una che blocca immediatamente anche l’idea di un pensiero divergente. Tra le santone più accreditate dei salotti televisivi. Girone donne. Ma potrebbe giocare anche in una squadra maschile.
Questo schema narrativo è un po’ come la sceneggiata napoletana, non a caso elemento identitario di un paese come l’Italia, mai diventato nazione. Isso, esse e o’malamente. Chi cura la sceneggiatura decide protagonisti, antagonisti e storia. Il pubblico può scegliere con chi empatizzare, ci mancherebbe. Ma intanto o’malamente è il trasgressore. Non rispetta regole, morale e comune senso del censore. O del comunicatore, fate voi. Ma se colpisce l’immaginario collettivo, si può reiterare all’infinito. Se serve. Il che fa capire perché siamo passati in un Fiat (la maiuscola non è un refuso) dal martellamento pandemico h 24 negli studi televisivi, al martellamento della guerra d’Ucraina.
Sabina Guzzanti, che non è una pivella del mezzo televisivo, spiega “il motivo della apparente contraddizione per cui in tv convivono pensiero unico e il fatto che l’antagonista possa dire la sua, è squisitamente drammaturgico. L’informazione è sempre più simile alla fiction”. E aggiunge, lei che da anni mette alla berlina la politica e la società italiana: “La censura oggi si chiama linea editoriale. Mentre ci disperiamo impotenti per la violenza atroce che sta subendo il popolo ucraino, siamo pure coscienti che in questo momento nel mondo ci sono ben 169 conflitti. Se le telecamere fossero puntate anche su quelli provocherebbero altrettanta indignazione. Siamo quindi consapevoli che la nostra commozione, angoscia, solidarietà siano provocate ad arte”. Sabina Guzzanti, antagonista per vocazione, punta l’indice sulla televisione “strumento di controllo” di una democratura dove neppure gli sceneggiatori “possono esercitare appieno i loro diritti costituzionali”. Con una certezza: “La maggioranza degli italiani non vuole la guerra ma su questo non c’è dibattito. Pubblico, parlamentare”.
Il leitmotiv degli italiani che non vogliono la guerra e neppure l’invio delle armi a Kiev, come risulta pure dai rilevamenti più vicini al governo dei “migliori”, è uno dei cavalli di battaglia dell’antagonista per eccellenza, Michele Santoro, il Masaniello della tv italiana, di cui conosce fasti e nefasti come pochi. Infatti non perde occasione per chiedere un sondaggio finalizzato a sapere se gli italiani sono soddisfatti dell’informazione del servizio pubblico. Come fa la BBC che questi dati li pubblica in testa al bilancio. Quindi va per i talk show, dove lo invitano, e illustra la sua proposta.
Animando la discussione. Da condottiero che conosce i suoi polli e la stia del mezzo in uso.
Uno che ha domato le peggiori piazze d’Italia, figuriamoci se si confonde a dibattere con Paolo Mieli, Marcello Sorgi e altri santoni dell’informazione italiana, pure formato expat, come Federico Rampini. Invano Rampini, per difendere la “sua” America, agita la chioma fluente che fa volume e si appende alle bretelle rosse, icona di un outfit democratico, stiloso e pensoso. Invano insiste Rampini: “Biden ha detto che non avrebbe fatto la no fly zone che Zelensky ha chiesto ad oltranza; ha detto che non avrebbe mandato soldati. E non lo fa”. Santoro schiva e controbatte: “Stiamo tranquilli, gli americani sono sul campo. Se poi sono collegati in smart working, questo non lo so dire. E’ certo che stanno partecipando direttamente alle azioni militari. Stanno puntando i cannoni e saranno loro a puntare i missili.” Poi il gancio finale, da knock out: “La cosa grave è che lo faranno senza che noi abbiamo preso parte a queste decisioni. Ci troviamo in una guerra che sta già producendo, in modo sconsiderato, miseria per il mondo. Presto diventerà miseria anche per gran parte della popolazione italiana. Si creerà un baratro tra la condizione dei privilegiati e la condizione di quelli che sono già stremati da due anni di pandemia”.
Formidabile il siparietto con Marcello Sorgi, ex direttore del Tg1. Forse il giornalista italiano più vicino all’avvocato Agnelli, ambasciatore della famiglia più potente d’Italia a Roma, in Vaticano e anche altrove. Uno che ispirava “il venticello caldo del potere” a un direttore di pelo e contropelo come Vittorio Nisticò, già quando era ragazzo e imparava il mestiere in quella fucina di talenti che fu il giornale L’Ora a Palermo. Naturalmente si parla del quotidiano diretto da Nisticò. Quelli venuti dopo sono fuori concorso.
Allora, Sorgi e Santoro si incontrano nel salotto di Myrta Merlino. E Santoro dà inizio alla sua filippica contro il governo Draghi che invia armi all’Ucraina: “Sta espropriando gli italiani dalle decisioni e rappresenta quasi una minoranza”. Non a torto. Visto che anche il parlamento è “espropriato” dalle sue funzioni e governato a colpi di fiducia. Sorgi la butta in politica, il suo terreno: “Ci sono materie sulle quali il governo deve essere libero di decidere”. Cita la Costituzione per marcare la differenza tra referendum e sondaggi. E conclude attendista: “Poi gli elettori giudicheranno al momento delle elezioni”. Mal gliene incoglie. Perché Santoro si infila nel varco e ribatte al collega: “L’errore che sta facendo Sorgi è confondere l’informazione con la politica. Il punto è che l’informazione deve rappresentare l’opinione pubblica. Qualsiasi percentuale di opinione sia contraria alle armi, questa va rappresentata dai media. La Rai viene pagata anche da chi dice ‘no’ all’invio di armi”.
Poi la sfida a Sorgi, che mette in dubbio l’attendibilità dei sondaggi: “Se vuole avere la prova concreta che questa maggioranza esiste ed è vera, venga a fare un giro con me per Roma. Gli italiani non vogliono la guerra, non vogliono un’escalation militare”. E chiude da par suo. Mettendosi il ferro dietro la porta: “Non sono contro la Nato e sono contro Putin. Spero che, come al solito, non mi dipingiate come filo-putiniano. Proprio io che sono l’unico in Italia ad essersi occupato dell’invasione russa in Cecenia quando tutti se ne fregavano. Come se ne sono fregati in Siria”.
Ce n’è pure per un santone navigato come Paolo Mieli, passato ormai da tempo dalla cronaca alla storia. A PiazzaPulita su La7, Michele Santoro lo lascia attonito: “Gli americani hanno voluto le armi a Baghdad e in Afghanistan. Qual è stato il risultato? Lo stesso che ci sarà in Ucraina. Sarà la distruzione dell’Ucraina”.
Ecco. Santoro potrà anche essere l’istrionico custode di un dissenso che, forse, non maturerà mai. Ma questo dipende anche dal paese che ancora si illude di potere mangiare brioche se manca il pane.
E’ certo che pochi come lui sono in grado di intercettare gli umori del paese reale e il distacco tra questo e chi lo governa. Chapeau. Un distacco ormai tale che sembra una bazzecola della natura, una quisquilia geologica la frattura della Rift Valley etiopica, una valle larga anche parecchi chilometri e talvolta profonda come un dirupo. Ecco, a vederla desta stupore misto a sbigottimento questa voragine.
La voragine culla dell’umanità. E forse non è un caso che sia il luogo dell’antenata Lucy, ominide vissuta tra quattro e tre milioni di anni fa e conservata al Museo nazionale di Addis Abeba.