L’unico cenno di Caterina Chinnici, in questa campagna di scontri efferati e questioni morali, è sui muri: l’eurodeputata uscente (del Pd) e candidata in pectore (di Forza Italia) ha affisso i primi manifesti elettorali. La foto è la stessa quasi due anni fa, quando al termine delle primarie del centrosinistra, da cui ottenne la nomination per Palazzo d’Orleans, ringraziava i 14 mila elettori che le attribuirono la preferenza (tutti o quasi di sinistra, si presume). Cambia solo il simbolo. Quello nuovo, però, non è passato inosservato. Nell’editoriale su Repubblica, Massimo Lorello si sofferma sulla questione del gender gap, molto cara alla Chinnici, applicata in chiave trasformista: “La sua migrazione dal Partito democratico a Forza Italia – scrive – è un altro passo in avanti verso la parità di genere. Una missione che Caterina Chinnici ha portato a compimento senza farsi scoraggiare da qualche trascurabile dettaglio che pure avrebbe potuto indurla a recedere. Per esempio, il fatto che lei, figlia di Rocco Chinnici, il magistrato che ideò il pool antimafia e che venne ucciso da Cosa nostra il 29 luglio 1983, sia entrata nel partito co-fondato da Marcello Dell’Utri condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa”.
Su questo assioma – incontestabile – si fonda la terza campagna consecutiva della Chinnici. Che nelle precedenti si è rivelata una big delle preferenze. Pur non avendo mai proferito una parola che suonasse di destra o di sinistra. I primi segnali lasciano pensare che sarà così anche stavolta. Né l’eurodeputata uscente, tanto meno la “candidata” – che sono la stessa persona – hanno pronunciato una parola per svelare i motivi del suo ricorrente impegno politico. Siamo ancora fermi alla sconfitta del 25 settembre ’22 alla Regionali, quando la Chinnici non allestì neppure un comitato elettorale per seguire lo spoglio. Rieccoci, con una serie di interrogativi che aiuterebbero a dissolvere il giallo.
Il primo: a cosa è dovuto il passaggio da Pd a Forza Italia? L’ultima spiegazione, fornita al Corriere della Sera il 27 aprile 2023, è datata e, con tutto il rispetto, lacunosa. Riguarda il presunto disagio avvertito al Parlamento europeo: “Mi sono spesso trovata a condividere il mio lavoro e impegno con i colleghi del Ppe, con cui ho anche ottimi rapporti personali, che non con quelli del mio gruppo”. Tanto basta per giustificare il passaggio ai berluscones? “Conosco la Schlein – aggiunse la Chinnici – ne apprezzo l’autenticità dell’impegno. Ma su alcuni temi abbiamo visioni diverse, e inoltre il gruppo dei Socialisti e democratici nel tempo si è spostato sempre più a sinistra. Troppo, per me”. Insomma, avrebbe cambiato casacca per una questione di “visione”. Di valori, probabilmente.
Ma forse non basta. Perché ai 113 mila che l’hanno votata come espressione di un simbolo, piacerebbe sapere cosa non andava più in quel simbolo. E anche a quelli che vorrebbero votarla ora, piacerebbe sapere qualcosa in più della Chinnici politica, al netto della conoscenza e stima reciproca con Tajani (“dal 2014”). Quali sono, insomma, i motivi di questa trasformazione un po’ violenta, politicamente parlando? Quali lotte (comuni) hanno convinto la Chinnici a sposare la causa di un partito che, con Berlusconi vivo, non avrebbe mai permesso l’epurazione di un candidato alla Regione (Giuseppe Lupo) per presunta “impresentabilità”? Sono queste le risposte da offrire all’elettorato, senza alcuna polemica. Altrimenti la competizione verrebbe drogata da una sorta di diritto divino – l’intoccabilità – che non può essere applicato a una donna di legge come lei.
Lorello le ha fatto notare che FI è una creatura (anche) di Dell’Utri, che forse s’è lasciato alle spalle qualche peccatuccio in più di Lupo. Perché, tutt’a un tratto, la ‘questione morale’ viene dopo? Anche se, per la serie due pesi e due misure, proprio su diktat della Chinnici e di Tajani, un altro condannato per favoreggiamento, e riabilitato all’impegno politico da parte dei tribunali, Totò Cuffaro, è stato escluso dalla possibilità di stringere un patto con Forza Italia, con la presenza di un candidato democristiano in lista. Dove finisce, quindi, il giustizialismo e dove comincia la morale? Chinnici potrebbe spiegarlo in un comizio aperto, o magari con un post sui social, una vetrina che non glorifica – tranne che per qualche passerella – della sua presenza. Non lo dovrebbe ai giornalisti, ma a Giuseppe Lupo e ai potenziali elettori di Forza Italia, che così potrebbero “adottarla” e votarla convintamente.
Invece sembra che a Caterina dei Misteri sia tutto dovuto. Senza alcuno sforzo e senza alcuna spiegazione. I bene informati sussurrano che a Roma abbiano dato indicazioni a Schifani & Co. di inserirla, nella scheda elettorale, in tutte le terzine possibili. Un jolly. Può essere votata con Tamajo, ma anche con Falcone. Potrebbe drenare consenso dall’uno e dall’altro, e finire davanti a entrambi. O comunque essere un abile “sostituto”, qualora il primo degli eletti dovesse rinunciare al seggio per rimanere alla Regione. Ma questa enorme dote di credito non è finita: perché Chinnici, pensate un po’, potrà godere anche dell’appoggio incondizionato di Raffaele Lombardo e del suo Mpa.
“Noi voteremo Caterina Chinnici – ha detto Lombardo qualche giorno fa – il nostro candidato è lei, noi non interferiamo nelle gare interne di un partito che non è il nostro. Abbiamo meno di due mesi di duro, durissimo impegno elettorale. Diamo il massimo e il meglio per il nostro movimento, per la Sicilia, per la Chinnici e per l’Europa”. E ancora: “Viviamo questa scelta come un grande onore per noi”. Ma un grande onore per cosa? Solo per il fatto di scrivere nella scheda il cognome di una persona perbene, che però non è abituata a spiegare le sue scelte o a fornire prova del suo impegno parlamentare? Neppure ai suoi elettori? Tra Lombardo e Chinnici ci sono trascorsi comuni – lei fu assessore nella giunta di lui – ma pare che le frequentazioni, negli ultimi tempi, siano state molto rarefatte. Su quali affinità si fonda il sostegno? E cosa c’entra, se c’entra, il fatto che dopo le elezioni il Mpa aspiri al secondo assessore in giunta, secondo un patto già esistente con Forza Italia? E’ tutto avvolto nel mistero. Una campagna elettorale, però, val bene una messa. Una spinta. Una preferenza.