Nell’annoso processo di autodistruzione della sanità siciliana, dove a mancare non sono certo i soldi (il budget a bilancio della Regione è di circa 9 miliardi), la Regione ha provato a mettere un punto. Ieri. Prendendo in contropiede gli addetti ai lavori, e un po’ anche se stesso, Renato Schifani ha annunciato che entro fine mese verranno partorite le 18 nomine relative ai vertici delle Aziende sanitarie e ospedaliere. Sembrava tutto allestito per un rinvio, l’ennesimo, e per la proroga dei commissari fino al 31 dicembre. Ma non sarebbe bastata neppure l’imponente diga di Pietrarossa a contenere l’imbarazzo. Così è giunta l’accelerazione. Dettata, in parte, dall’iniziativa di un pezzo di Forza Italia, che aveva chiesto al governatore di prendere il toro per le corna, evitando l’impressione (diffusa) che a decidere sarebbero stati pochi attori nel retrobottega di Cuffaro.
Laddove subentrano le dispute politiche, però, è difficile parlare di sanità. Se come sanità ci si riferisce ai problemi, e non soltanto alle nomine. Poniamo il caso che bastino davvero venti giorni per dirimere le diffidenze (reciproche) fra i partiti e individuare i 18 direttori generali (da un unico elenco di ‘idonei’, come stabilito da un recente decreto assessoriale): poi che si fa? Potranno mai i manager raccogliere i cocci di una gestione frammentaria, affidata alle cure dei commissari, e tramutarla in un castello incantato dove tutto funziona alla perfezione? La risposta, ovviamente, è insita nella domanda. “La sanità non è roba loro – dice il segretario del Pd, Anthony Barbagallo -. In Sicilia infatti si discute di sanità ma si trascura l’elemento principale, la salute dei cittadini e un servizio sempre più carente”. Gli fa eco il collega Nello Dipasquale: “Non è possibile leggere ogni giorno sulla stampa di indiscrezioni o, peggio ancora, di liti nel centrodestra su ‘tavoli’ e ‘tavolini’ nei quali si dovrebbero decidere le sorti della sanità siciliana. Tutto questo non interessa ai cittadini, che ogni giorno fanno i conti con una sanità pubblica sempre più in ginocchio”.
La sanità pubblica ha dei vulnus immensi, legati ai fattori più disparati: il principale è la carenza di medici. Ma poi c’è anche la carenza strutturale, a cui si era in parte cercato di ovviare utilizzando la “spinta” del Covid. La struttura commissariale in seno alla Regione, con tanto di soggetto attuatore, avrebbe dovuto accelerare sul fronte della riqualificazione edilizia, utilizzando per lo più i finanziamenti statali. Ma dopo il rimescolamento delle carte da parte di Schifani, col cambio di guida (Lizzio al posto di D’Urso) la situazione non è affatto migliorata. Lo dimostra l’incontro di un paio di giorni fa in commissione Salute, di cui ha relazionato Sud chiama Nord, il gruppo di Cateno De Luca: “Purtroppo – spiega il deputato Giuseppe Lombardo – l’incontro ha rivelato una situazione inaccettabile. A sei mesi dalla richiesta di convocazione, scopriamo che alla conclusione dei lavori per il Pronto soccorso del Policlinico di Messina, uno dei 74 interventi previsti in ambito regionale, ci vorranno ancora 9 mesi, dopo tre anni dall’inizio di questa fondamentale opera”.
Inoltre “è emerso che il budget originale di 200 milioni di euro destinato per il potenziamento della rete ospedaliera per l’emergenza Covid è stato chiaramente insufficiente”. I costi sono decuplicati, come dimostra la situazione del Pronto Soccorso del Policlinico di Messina: “Dopo tre anni dalla sua chiusura, il costo previsto è passato da 4 milioni a 8 milioni e mezzo, e la riapertura è ancora lontana”. Insomma, la situazione è critica, quasi drammatica: “Siamo preoccupati per la gestione finanziaria e sanitaria di questo piano. È evidente che è stato sottostimato dal punto di vista economico e sopravvalutato dal punto di vista sanitario. Questo non è solo un problema di gestione, ma una questione che riguarda direttamente la salute e il benessere dei cittadini siciliani. È paradossale pensare che stiamo parlando di interventi che dovevano essere completati nel giro di pochi mesi per far fronte all’emergenza Covid e ci troviamo invece a distanza di tre anni, con l’emergenza ormai fortunatamente superata, a dover ancora fare i conti con cantieri aperti”.
Non si tratta, purtroppo, di un’eccezione. Il quadro è disarmante. Da qualche mese, ormai, il governo sventola il vessillo delle liste d’attesa e crede di poter risolvere la questione – si parla addirittura di azzeramento entro il 2023 – grazie ai 48 milioni di contributo statale da suddividere equamente fra strutture pubbliche e private. I soldi serviranno, ad esempio, a garantire prestazioni aggiuntive a medici e infermieri (allo scopo di coprire più sedute operatorie), o a rinegoziare il budget delle prestazioni con le strutture accreditate dal Sistema sanitario regionale, che per quest’anno è già esaurito (e quando ciò accade, da ‘convenzionate’ le prestazioni diventano ‘a pagamento’). Ma anche questo è un provvedimento contestato e poco allineato alla realtà. Di medici ce ne sono pochi, pochissimi, specie negli ospedali di provincia e nelle branche dell’emergenza-urgenza; mentre abbondano le prestazioni chirurgiche e ambulatoriali arretrate.
Dai dati emerge che la Sicilia è sotto la media nazionale per numero di medici dipendenti, penultima per gli infermieri e ultima nel rapporto fra medici e infermieri. Le statistiche sono contenute nel 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale presentato il 10 ottobre al Senato dalla fondazione Gimbe. Nell’Isola, sono presenti 2,06 medici ogni mille abitanti. La regione è sotto la media nazionale pari a 2,11. Gli infermieri sono 3,77 ogni mille abitanti, a fronte di una media nazionale di 5,06. Per recuperare personale nei presidi sofferenti si punta a una sorta di precettazione: “I presidi ospedalieri di frontiera – spiega il deputato questore del Mpa, Giuseppe Lombardo – sono autorizzati ad implementare i propri contingenti medici dell’area dell’emergenza urgenza attraverso procedure di reclutamento che riguardano non soltanto le figure di anestesisti e rianimatori, ma anche internisti, chirurghi, cardiologi, gastroenterologi, neurologi ed ortopedici. Al fine di orientare l’interesse del personale sanitario verso tali presidi, il provvedimento in questione ha altresì disposto un divieto assunzionale, riferito alle medesime figure sanitarie, nei confronti di quelle Aziende ospedaliere, ARNAS e policlinici universitari che registrino una copertura di organico pari o superiore all’80% della propria dotazione”.
Questa è una piccola finestra in un mondo imbalsamato. I pagamenti dell’ASP di Palermo ai convenzionati sono fermi a maggio. Quasi tutti i laboratori, avendo esaurito il budget assegnato già a metà mese, non prendono più le ricette in esenzione. Per cui persino i meno abbienti – e questo dovrebbe far riflettere sul significato di sanità pubblica – o pagano o devono rinunciare a curarsi. Anche in tutti gli altri ambiti, compresi quelli relativi al Pnrr, si lavora con una lentezza a tratti disarmante. Sono 800 i milioni messi in palio dalla Missione 6 Salute per la realizzazione di numerosi interventi su scala regionale (da concludere entro il 2026). Fin qui sono state ultimate due Case delle Comunità, a Catania e Caltanissetta, mentre del resto non si sa nulla. Parlare di nomine, o di proroga dei commissari delle ASP, in uno scenario così cupo e immutato, è uno schiaffo alla realtà e al buonsenso. E’ il classico magheggio della politica, che si riempie la bocca di cambiamento, di competenza, di merito. Che non si spende per la sopravvivenza dei malati, ma di se stessa.