Inutile nasconderlo, non è un gran momento per la sanità siciliana. Forse non lo è mai stato, ma almeno per quattro ordini di motivi, questo è il peggiore degli ultimi due anni e mezzo.

A Trapani è successo l’irreparabile: cioè che un uomo, in attesa del referto di un esame istologico, nel frattempo andasse incontro alla morte. Anche un’altra donna, un’insegnante, ha dovuto attendere la biopsia per 8 mesi, durante i quali il tumore è andato in metastasi. Episodi isolati, ma fino a un certo punto. Il manager dell’Asp di Trapani si chiama Ferdinando Croce: è stato a capo della segreteria tecnica dell’ex assessore alla Salute, il patriota Ruggero Razza, nonché capo di gabinetto vicario dello stesso assessorato. Seppur giovane, conosce il mondo: ma non è stato in grado di rispettare gli impegni, cioè di smaltire l’arretrato degli esami istologici entro gennaio (ora ha promesso che avverrà entro marzo). Ha lamentato “la grave carenza di medici specialisti in Anatomia patologica che ha comportato una profonda crisi e che ha impedito di rispettare la tempistica”. Su una dotazione organica di nove specialisti, ne mancano sei.

Croce utilizza il classico parafulmine (l’insediamento più o meno recente: in realtà arrivò da commissario il 1° febbraio 2024) per giustificare se stesso di fronte al bug di sistema. La Faraoni, che a Piazza Ziino s’è insediata da ancora meno (il 21 gennaio) ha disposto un’ispezione i cui risultati saranno resi pubblici. Davide Faraone di Italia Viva chiede addirittura l’intervento del ministro Schillaci, “finora una fantasma”. Come traspare dalla sequenza dei fatti, in Sicilia è sempre colpa di qualcun altro. Ma a dirla tutta, è stata la politica a tergiversare in modo insopportabile prima di giungere alla nomina dei nuovi manager, dopo un lungo periodo commissariale in cui, comunque, a capo delle aziende qualcuno continuava ad esserci. A Trapani, per la precisione, Vincenzo Spera: cioè l’unico manager che ebbe il coraggio di denunciare le “ingerenze” dei deputati sui concorsi. Ovviamente è uscito subito dal giro. Questo per dimostrare che la politica non può ritenersi inerme, e che non basta individuare un capro espiatorio ogni tanto per risolvere le questioni.

La settimana che si è appena conclusa racconta inoltre della dura reprimenda da parte della Corte dei Conti sullo stato di avanzamento dei lavori per la realizzazione dei posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva. Opere avviate nel 2021 dalla Struttura commissariale anti-Covid, di cui era soggetto attuatore l’ing. Tuccio D’Urso (incaricato da Musumeci). Al netto del reciproco scambio d’accuse fra il governo e la magistratura contabile, con l’intervento del Direttore generale del Ministero della Salute in favore del primo, resta un elemento di fondo: che in alcuni presidi come il “Garibaldi” di Catania o il “Borsellino” di Marsala, gli interventi non sono mai cominciati; e che altrove, tranne in pochi casi, risultano in corso (talvolta mancano i collaudi). Dopo quattro anni. Chi è responsabile di tutto questo? “L’assessorato della Salute ha già convocato i direttori generali delle Aziende sanitarie e ospedaliere – fa sapere la presidenza – partendo da quelle nelle quali vanno accelerate le procedure di realizzazione delle opere”.

Un altro motivo per cui la sanità siciliana, fra qualche decina di giorni, potrebbe sprofondare in un incubo, riguarda la protesta delle strutture convenzionate. L’ultimo incontro con l’assessore Faraoni, a Palermo, si è rivelato un bluff. Mentre i privati chiedono un segnale inequivocabile per sopperire ai tagli del nuovo nomenclatore – che le costringe a erogare prestazioni sottocosto e, probabilmente, li porterà a chiudere – l’assessore ha messo sul piatto un’elemosina da dieci milioni di euro. Non tanto per riparare alle storture romane, cioè destinandoli all’aumento delle singole voci del tariffario; bensì agli aggregati di spesa, cioè il budget messo a disposizione di aziende pubbliche e strutture private, che dovranno spartirselo in maniera equa. Per avere accesso alle briciole, i convenzionati dovranno garantire un numero di prestazioni più elevato. Anche quelle – prevedibilmente – sottocosto.

La questione è tecnica, ma è facilmente intuibile che si tratta di una furbizia. Il presidente Schifani aveva garantito il proprio impegno, non solo economico, per addivenire a un esito diverso; e si era sforzato di indicare una via (l’art.1 comma 322 dell’ultima Legge di Bilancio dello Stato) per andare in deroga al piano di rientro e garantire un investimento “vero”. Il tempo sta scadendo, anche se le parti si rivedranno a breve. La protesta, va da sé, rischia di paralizzare gli ospedali, che non sono più in grado di garantire le prestazioni erogate dai privati. Le liste d’attesa potrebbero allungarsi ulteriormente e ai cittadini – se vorranno garantirsi la tempestività delle cure – non rimarrà che rivolgersi al privato. A pagamento.

Il quarto elemento che genera allarme nella sanità siciliana, infine, resta la carenza di personale. Che si ripercuote sull’assistenza territoriale (anche in questo caso è arrivata la bocciatura del Ministero) e sui Lea, i Livelli essenziali delle prestazioni. Non siamo più in grado di garantirli. E lo saremo ancora meno con la “rivoluzione” prevista da qui al 2026 per quanto concerne la medicina di prossimità. La missione 6 del Pnrr ha riservato all’Isola investimenti corposi (per oltre mezzo miliardo), spalmati su oltre 200 interventi previsti dal Cis, il Contratto Interistituzionale di Sviluppo. Nasceranno come funghi case e ospedali di comunità, che puntano alla domiciliarizzazione delle cure ed allentare il carico sugli ospedali tradizionali, specie sui Pronto soccorso. Si chiama integrazione ospedale-territorio ed è prevista da uno specifico decreto del 2022: il n.77. Ma la domanda che nessuno osa fare è la seguente: data la perdurante carenza di personale, chi andrà a lavorare in queste strutture? Qual è il piano per evitare che diventino delle cattedrali nel deserto? E’ stata una settimana tremenda, ma anche il futuro non è poi così roseo.