Direttori generali sì, ma con una clausola nel contratto: cioè il raggiungimento di specifici obiettivi, quali la riduzione delle liste d’attesa, pena la “decadenza automatica anche dopo il primo anno dall’insediamento”. Con questa novità Renato Schifani, che le liste d’attesa voleva azzerarle alla fine del 2023, ha dato il benvenuto ai 17 manager di nuova nomina – si fa per dire – dalla sanità siciliana. Il loro contratto di lavoro sarà ispirato dal principio dell’efficienza. Dettare un cronoprogramma per il raggiungimento di specifici obiettivi sarebbe normale ovunque, tranne in Sicilia, dove ci sono voluti cinque mesi (dal 31 gennaio) per tramutare i commissari in direttori generali.

Manca ancora la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale e la firma sui contratti (senza tener conto che l’Asp di Catania verrà traghettata dal Direttore sanitario aziendale), ma ci siamo quasi: il governo, dopo aver atteso l’esito della commissione d’esame dello scorso luglio, aver pasticciato sugli elenchi (tra ‘idonei’ e ‘maggiormente idonei’), aver regolato i conti fra i partiti della maggioranza, aver aggiornato l’elenco di direttori sanitari e amministrativi, aver superato lo scoglio delle elezioni Europee ed Amministrative, ed essersi inventata mille alibi per giustificare i ritardi, finalmente si appresta a fare un passo verso la normalità.

Sono trascorsi giorni e settimane infiniti, quasi un anno. La sanità è monca dalla scorsa estate e in tutti questi mesi ha vissuto di tante illusioni e pochissimi risultati. La cosa peggiore è che alcune delle nomine decise a tavolino dai partiti, e decretate dall’assessore Giovanna Volo, hanno offerto una seconda o terza chance a personaggi non proprio capaci che, come nel caso dall’attuale Commissario straordinario dell’Asp di Palermo, Daniela Faraoni, non riesce neppure a liquidare i pagamenti arretrati alle strutture convenzionate per le prestazioni erogate in extrabudget (prestazioni, cioè, che hanno diminuito il carico di visite e controlli negli ospedali già saturi); o, come nel caso del nuovo direttore del ‘Civico’ di Palermo, Walter Messina, era già stato commissariato due volte a Villa Sofia (la seconda proprio dalla Volo) per aver sprecato dei finanziamenti europei. Ma qui non è più il tempo dei processi ai meno bravi, bensì alla politica che li ha scelti scrupolosamente e nominati. Infischiandosene dei precedenti e delle competenze.

E’ la stessa politica che oggi “minaccia” di farli fuori se non avranno ridotto le liste d’attesa o non avranno rispettato il cronoprogramma per l’avanzamento dei lavori previsti dal Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza che “chiude” a marzo 2026). In pratica, è il bue che dice cornuto all’asino. Schifani si prende un anno – prevedendo monitoraggi trimestrali – per decidere se qualche manager andrà licenziato, ma non ha fatto nulla, in tutto questo tempo, per dare una svegliata a chi dirige l’assessorato, e che lui stesso ha scelto come “tecnico”. La Volo è al suo posto dall’inizio della legislatura, pur non avendo portato a casa un solo risultato in grado di ribaltare la prospettiva di una sanità finita. Basterebbe l’elenco dei disagi (dalla carenza di medici, all’abbandono delle apparecchiature specialistiche negli scantinati) per far accapponare la pelle. L’assessore, peraltro, è finita a rotta di collo nell’inchiesta sul Policlinico di Messina, cioè la stessa che ha determinato la sospensione per 12 mesi di Giuseppe Laganga Senzio, scelto dal governo della Regione come commissario straordinario dell’Asp di Catania. L’inchiesta parla di corruzione e peculato.

Il manager non è più “eleggibile”. Nonostante ù la Commissione Affari istituzionali all’Ars, incaricata di vigilare sui curricula e sui casellari giudiziali di ognuno, avesse garantito il via libera grazie alla formula del silenzio-assenso. Schifani ha avuto pressoché mani libere, ma ha dovuto attendere le Europee prima di passare alle vie di fatto. E commenta pure con la spocchia tipica del professore: “Introdurre, tra gli obiettivi dei nuovi manager, il pieno rispetto del Piano regionale approvato dalla giunta nel luglio dell’anno scorso, pena la revoca dell’incarico, servirà a garantire ai pazienti tempestività di accesso alle cure. Trovo sacrosanto che i dirigenti che hanno responsabilità vengano sottoposti alle necessarie verifiche dei loro obiettivi. È nostra intenzione dare ai cittadini risposte qualificate e rapide ai loro bisogni di salute”. Sarebbe tutto perfetto in un mondo perfetto. Ma nel mondo della sanità siciliana non c’è nulla di perfetto, tanto meno l’intreccio di potere con la politica.

In realtà a Schifani fa comodo poter contare su strutture deboli e un assessore fantasma al vertice, così da poterne governare umori ed errori senza perderne il controllo. Anzi, ogni intervento – da una nomina a un decreto a una strigliata – passerà come una rivoluzione. Eppure i fallimenti non mancano: si è risolto in una bolla di sapone l’episodio denunciato a Repubblica da una mamma, che aveva suscitato la gogna mediatica nei confronti della dottoressa Desirée Farinella (dell’ospedale dei Bambini) per le condizioni del suo reparto; la direttrice era stata demansionata dal nuovo commissario Walter Messina (pensate un po’, che strano scherzo del destino), prima che sindacati e colleghi si mettessero di traverso e persino il Dasoe, uno dei dipartimenti dell’assessorato alla Salute, rivelasse come le risultanze ispettive “non prospettavano responsabilità individuali bensì di sistema”.

Anche su un altro tema di grande attualità, come la deroga per il reparto di Cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale di Taormina, siamo soltanto ai preliminari. Il Ministro Schillaci, su insistenza di Schifani, ci starebbe pensando – in Sicilia c’è una struttura similare al ‘Civico’ di Palermo, peraltro gestita in convenzione con il Gruppo San Donato di Angelino Alfano – ma questo tira e molla, oltre a risultare inutilmente propagandistico (la prossima scadenza è fissata per il 31 luglio), ha aperto un fronte di guerra col governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, che vorrebbe accaparrarsi il servizio. In un perfido giochino di ambizioni e di egoismi, i due governatori pontisti hanno “rotto”, e questa rottura ha avuto il suo culmine durante l’ultimo congresso di Forza Italia. Ma questa è un’altra storia, sebbene serva a dimostrare come la sanità sia succube della politica (ora c’è Tamajo che si sfrega le mani). Oltre che una strana e preoccupante coincidenza fra i tempi dell’una e dell’altra.

Questo sistema – impreciso, incompleto e inaffidabile – permette a Schifani di sentirsi il padrone del mondo. Anche con un certo agio. Peccato che se dovesse diventare operativa la postilla inserita nell’ultimo contratto dei manager, si porrà una questione di non secondaria importanza: se davvero un direttore generale dovesse decadere dopo un anno, quanto tempo ci vorrà al presidente della Regione per rimpiazzarlo? Almeno due… Forse non gli basterebbe la legislatura.