Sanità: resiste il partito dell’emergenza

L'assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, è uno degli artefici del flop di Nello Musumeci in questa legislatura

Sotterrato mediaticamente dalle bombe dell’Ucraina, il Covid prova a sopravvivere. Il 31 marzo, però, cessa lo stato d’emergenza e, più o meno, torneremo liberi. Peccato che in Sicilia, dove si registra la media di 6-7.000 nuovi positivi al giorno, quasi nessuno abbia intenzione di voltare pagina. Al contrario: l’argomento più dibattuto nei palazzi del potere è la proroga dei 9 mila precari Covid col contratto in scadenza fra tre settimane. Non ci sarebbe niente di male, analizzando il quadro complessivo degli ospedali: la definizione delle piante organiche, di recente, ha palesato la necessità di 17 mila assunzioni nel prossimo triennio (assunzioni che andrebbero fatte con regolari concorsi).

L’esigenza di stabilizzazione, nell’Isola, si incrocia però con la campagna elettorale e con le prossime elezioni (Amministrative e Regionali) che andranno in scena fra la primavera e l’autunno. Così le promesse si sommano. Assieme ai tentativi di far apparire questa catastrofe che è (stata) il Covid, dilatata nel tempo e nello spazio. Intramontabile. D’altronde, permette agli apparati di conservare potere e posizioni. E ai virologi, gli esperti, i commissari – categoria molto in voga in Sicilia – una sovraesposizione mediatica che in altri tempi si sarebbero sognati. E’ l’emergenza, bellezza.

Poi, però, ci sono i lavoratori. Per lo più precari. L’assessore alla Sanità Ruggero Razza, durante l’ultima audizione in commissione Salute all’Ars, ha promesso un provvedimento di giunta entro la prossima settimana “per rinnovare questi contratti”, utili a proseguire le attività di contrasto e prevenzione del Covid-19, in particolare le attività di tracciamento dei positivi, lo screening tramite tamponi, la somministrazione dei vaccini, l’attività delle USCA. Anche se la questione è più complessa di così e andrebbe affrontata nella giusta prospettiva. Cioè quella di una sanità che ha sempre arrancato ma che avrà bisogno di screening e tamponi, verosimilmente, per un periodo limitato di tempo. E non per sempre, come qualcuno lascia credere.

In un’interessante intervista a ‘Repubblica’, il responsabile medico del Covid Hospital di Partinico, Vincenzo Provenzano, ha dichiarato che adesso “bisogna insistere sulle terapie domiciliari con le nuove pillole antivirali che ancora vengono prescritte poco. Ormai il virus è endemico. Se esplode un cluster in corsia, bisogna trattare subito tutti i ricoverati con gli antivirali, non trasferirli in reparti Covid”. Il viziaccio di considerare gli ospedali l’unico presidio di cura (e di salvezza) non è arretrato di un millimetro nemmeno in questi due anni in cui le strutture sono state riempite di “positivi”, talvolta con pochissimi sintomi, facendo venir meno le cure extra Covid. Eppure, nonostante l’esperienza pregressa e la svolta all’orizzonte, il territorio rimane marginale. E il sovraffollamento dei pronto soccorso, per citare uno degli esempi più classici, una realtà insopportabile. Una concezione ospedale-centrica così radicata e immutata, necessita di nuove figure professionali come l’aria.

E qui si apre il capitolo delle assunzioni di massa. A sostenere l’ipotesi è un partito trasversale che va da Razza alla leghista Marianna Caronia: “Non si può disperdere il patrimonio di competenze e professionalità acquisite in due anni di pandemia e va comunque mantenuto alto il livello di attenzione rispetto alla possibile recrudescenza del virus”, ha detto la deputata al termine del confronto con l’assessore all’Assemblea regionale. Al contempo, Caronia ha richiesto di “andare oltre l’attuale impostazione, per garantire cure a tutti”, non solo ai soggetti Covid, “con un’adeguata programmazione dell’utilizzo delle strutture e del personale”. Resta il fatto che entro una decina di giorni, previo un nuovo confronto con la commissione sesta e il parere della conferenza Stato-Regione, la proroga potrebbe scattare per davvero. E’ impensabile, però, che avvenga con le stesse modalità per novemila persone.

I favoriti, sulla carta, sono gli infermieri, circa 4 mila. Per loro e per i 1.945 medici – anche se in questo caso la questione è più complicata – esiste una norma nazionale, approvata con l’ultima legge di Bilancio dello Stato, che consente alle aziende sanitarie e agli ospedali, dal primo luglio 2022 al 31 dicembre 2023, di poter “assumere a tempo indeterminato il personale a tempo determinato reclutato per l’emergenza Covid che abbia maturato almeno 18 mesi anche non continuativi, di cui almeno sei mesi tra il 31 gennaio 2020 e il 30 giugno 2020”. Chi non ha maturato i 18 mesi obbligatori entro il 30 giugno, però, è tagliato fuori. Resta l’alternativa dei concorsi, che le Asp dovrebbero bandire inserendo, ove possibile, una riserva per il personale arruolato durante l’emergenza. Ma su questo bisogna fare luce, così come sull’inquadramento di questo personale – con quale contratto e in base a quale norma? – fino al concorso (metterli temporaneamente in stand-by e poi ritrovarli a seguito della selezione pubblica non è considerata una soluzione).

E’ più impervio, invece, il cammino di circa 3 mila amministrativi che sono stati assunti attraverso un semplice click-day. Non basta, è chiaro, per annetterli alla pubblica amministrazione. L’assessore Razza dovrà trovare i modi per mantenerli in organico fino alla celebrazione degli eventuali concorsi. E come, se non appellandosi a uno stato d’emergenza che nel frattempo sarà venuto meno? Non è un caso che nei giorni scorsi dall’assessorato siano giunte delle direttive alle varie Asp per razionalizzare i punti vaccinali aperti sul territorio, molti dei quali non servono più a nulla. Anche il numero degli screening e dei tamponi ha subito una battuta d’arresto rispetto ai mesi di dicembre e gennaio, quando Omicron aveva ingranato le marce alte. In questo clima di prudente smobilitazione, perché tutti ci ripetono fino alla nausea che “non bisogna abbassare mai la guardia”, sarebbe una fatica dover giustificare il mantenimento in servizio di 9 mila persone deputate a smistare i canali dell’emergenza. Se l’emergenza non ci sarà più, occorre che facciano un’altra cosa. Ma solo dopo aver individuato con un’attenta ricognizione le necessità di ogni singola Asp o struttura sanitaria.

Concedere a tutti un lasciapassare per il futuro, non può essere una soluzione seria né praticabile. Nessuno contesta la necessità, da parte della sanità siciliana, di potenziare gli organici. Ma trattandosi di pubblica amministrazione, ci sono modi e modi: i più corretti prevedono delle procedure concorsuali aperte a tutti. Anche i sindacati, sempre dalla parte del diritto (oltre che dei lavoratori) in questa fase chiedono una forzatura. Secondo la Fials sarebbe necessario “prorogare fino a fine anno i contratti del personale assunto per l’emergenza” ed “estendere a tutte le categorie professionali del diritto alle procedure di stabilizzazione, atteso che il sistema sanitario, per funzionare, ha bisogno di un apporto multiprofessionale e che sarebbe assurdo disperdere le competenze maturate dai giovani assunti in questi mesi per procedere a nuovi reclutamenti, che dovrebbero acquisire la necessaria esperienza, con il rischio di paralizzare la macchina organizzativa”. Occhio, però. Giustificare 9 mila assunzioni con l’emergenza è un conto; giustificarli a emergenza finita, e con la campagna elettorale alle porte, un altro. Non sempre, dalle parti dell’assessorato alla Sanità, i numeri sono tornati. Anche stavolta il rischio è dietro l’angolo.

Enrico Ciuni :

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